Sul referendum Zingaretti ha il cerino in mano

Di Redazione
28 Agosto 2020
Metà della sinistra non lo segue, Di Maio incasserebbe il merito della vittoria. Il segretario dem in ambasce non sa che fare

Dopo aver votato per tre volte no alla riforma del taglio dei parlamentari, il Pd ha votato sì some da accordi col M5s per far nascere il governo giallorosso. L’altro giorno, il segretario Nicola Zingaretti ha ribadito l’indicazione del partito per il “sì” al referendum del 20 e 21 settembre. A parte il M5s, compatto con alcune eccezioni per il taglio, tutti i partiti (con grande ipocrisia) stanno in qualche modo “ritrattando” la propria posizione e il Pd non fa eccezione. Fra gli oppositori interni alla linea, i più espliciti sono Matteo Orfini e Tommaso Nannicini il quale è tra i promotori del comitato “Democratici per il No”.

Politica senza serietà

Nella vasta area di sinistra, infatti, non sono insensibili a certi richiami. Repubblica si è decisamente schierata per il “No” con un editoriale del direttore Molinari, e aumentano, di giorno in giorno, gli appelli di costituzionalisti e magistrati per non diminuire il numero dei parlamentari. Ieri, sempre su Repubblica, Luciano Violante ha elencato “sei motivi per votare No” e così anche Zingaretti ha dovuto correggere, almeno parzialmente, il tiro, chiedendo modifiche ai regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale. In sostanza, visti i tempi strettissimi, si dovrebbe votare “sì” al buio, sperando poi in una legge che “rimedi” agli scompensi creati dal taglio (soprattutto al Senato). Già, ma quale legge?

In un duro commento apparso ieri sulla Stampa (“La politica senza serietà”) il politologo Giovanni orsina scriveva:

«Non è serio difendere il taglio dicendo che, poiché le riforme ambiziose falliscono, conviene intanto di farne modeste. In questo caso la riforma modesta non è un’entità a sé stante, ma un ingranaggio in un meccanismo ben più complesso e assai delicato. […] Oltrepassa di gran lunga i limiti del ridicolo, poi, giurare e spergiurare che una volta approvata la riduzione si farà tutto il resto: ma quando mai, nelle attuali condizioni politiche e senza che ci sia uno straccio di disegno strategico né u minimo di convergenza sui passaggi ulteriori?».

Di Maio “io-io”

Un abbronzatissimo Luigi Di Maio ieri si è premurato in un’intervista al Corriere di garantire che il M5s è «pronto a votare una nuova legge elettorale già prima dell’estate». Bum!, ma chi ci crede? Per il ministro degli Esteri, poi, questo taglio non è figlio «dell’antipolitica». Bum bum! Ma è chiaro che l’intervista aveva una sola funzione: quella di ricordare all’alleato di governo che l’esecutivo sta in piedi perché si è fatto un accordo, di cui il taglio delle poltrone era uno dei capisaldi:

«Il governo l’ho formato io con Zingaretti e c’era un patto. Per noi quel patto va rispettato».

Vicolo cieco

Nella dichiarazione va sottolineata la parola “patto”, ma anche la parola “io”. Di Maio ha scelto il referendum come arma per ritornare al centro della scena dopo due anni in cui la sua immagine si è molto offuscata, prima per l’ingombrante presenza di Matteo Salvini alleato di governo, poi per l’ascesa di Giuseppe Conte che gli ha, di fatto, rubato la scena dentro il movimento.

Secondo i sondaggi il “sì” oggi è al 60 per cento dei consensi e, prevalesse al referendum, la vittoria sarebbe intascata politicamente da Di Maio, non dal riluttante Zingaretti che, anzi, finirebbe per “pagarla” all’interno del suo mondo. Questo fa capire le ambasce del segretario dem: sta portando acqua al mulino dell’alleato, in particolare a Di Maio che, dentro la galassia grillina, è il più lontano dalle istanze progressiste.

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.