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Sud Sudan, 450 persone massacrate in una settimana. «Ora cominciano le piogge tropicali, rischiamo una catastrofe umanitaria»

Padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani del Sud Sudan, spiega a tempi.it perché nel più giovane stato del mondo la Pasqua non è ancora arrivata: «Viviamo una lunga Quaresima di passione»

Leone Grotti
23/04/2014 - 3:00
Esteri
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Prima il massacro di Bentiu, poi quello di Bor, avvenuto all’interno di un campo profughi dell’Onu. È come se la Pasqua non fosse mai arrivata in Sud Sudan, un paese che continua a vivere «una lunga Quaresima di passione». Durante la Settimana santa sono morte circa 450 persone, trucidate nel mezzo di scontri etnici tra la fazione del presidente Salva Kiir e l’ex vicepresidente Riek Machar, che si contendono il potere nello Stato più giovane del mondo e le zone ricche di petrolio.
A chiarire a tempi.it la situazione «di una guerra sempre più assurda», cominciata lo scorso 15 dicembre, è padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani del Sud Sudan.

L’Onu ha denunciato un massacro di circa 300 persone a Bentiu. Che cosa è successo?
La città è la capitale dello Unity State, uno dei tre stati ricchi di petrolio, ed è passata dai ribelli al governo almeno quattro volte negli ultimi mesi. La scorsa settimana è stata riconquistata dai ribelli di etnia Nuer, che hanno massacrato i Dinka della città. Non li hanno uccisi solo per strada, hanno preso anche quelli che si erano rifugiati in moschea, in chiesa e negli ospedali. Tra le vittime ci sono pure soldati che si erano tolti l’uniforme e darfuriani, che essendo commercianti sono molto numerosi nella zona. Si tratta anche di una vendetta, perché mesi fa i darfuriani avevano stretto un’alleanza con i Dinka del presidente Kiir e il suo Spla, l’esercito regolare, per riprendere la città. Ma gli scontri non si limitano a Bentiu.

È stato attaccato anche un campo profughi dell’Onu a Bor.
Esatto, si tratta della capitale dello stato di Jonglei, ricco di petrolio come lo Unity State e l’Alto Nilo. Essendo una zona a prevalenza Dinka, nel campo c’erano soprattutto Nuer. Questi hanno esultato quando hanno saputo che i ribelli avevano ripreso Bentiu. Per questo, un gruppo di 300 giovani Dinka ha assaltato il campo per provocare i residenti. La situazione è degenerata e nonostante la Bbc parli di 50 morti, secondo le nostre fonti le vittime sono almeno 150, tra cui donne e bambini, oltre ad almeno 300 feriti. Questa violenza è assurda e rappresenta un precedente gravissimo perché significa che neanche i campi dell’Onu sono più un posto sicuro in Sud Sudan. Temo che episodi del genere possano avvenire anche negli altri campi profughi dispiegati nel paese.

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Gli scontri sono di natura politica o etnica?
Sia politica che etnica. Qui abbiamo 62 etnie ma a scontrarsi sono soprattutto i Nuer e i Dinka. Purtroppo il conflitto sta diventando internazionale: Kiir ha stretto un’alleanza con gli ugandesi, i darfuriani e non solo, e gli uomini di Machar si stanno vendicando. Inoltre, a Bentiu i ribelli hanno ordinato agli operatori russi, cinesi e indonesiani che lavorano nelle zone petrolifere di andarsene se non vogliono essere uccisi. La tensione è altissima, noi speravamo che i conflitti sarebbero scemati col tempo e invece aumentano. A Bentiu, dove era stato distrutto tutto, la gente cominciava a rifarsi una vita e ora sono stati costretti a scappare di nuovo nelle paludi e nelle foreste, come successo a Malakal. Ma presto non avranno più cibo né acqua.

A gennaio non era stato firmato un cessate il fuoco?
Sì, ma è stata fin da subito una farsa. Gli scontri non sono mai cessati e questa guerra non avrà fine fino a quando i due leader non si sederanno attorno a un tavolo per mettersi d’accordo. Per adesso non c’è dialogo e io temo che i due leader abbiano perso il controllo della situazione e dei loro uomini. Penso alla White Army dei Nuer di Machar: sono per lo più ragazzi giovanissimi, che difficilmente si potranno fermare con un semplice accordo di pace. Resteranno sempre ribelli.

Il paese come vive questa situazione di conflitto?
Tutti sono delusi perché vediamo vanificarsi i tanti sforzi compiuti in questi pochi anni dalla dichiarazione di indipendenza. Ma in Sud Sudan le notizie sono pochissime e non esistono giornali. Ora mi trovo in una zona a 50 chilometri dal confine ugandese: qui la vita va avanti normalmente e quasi non si ha notizia di quello che succede nei tre stati petroliferi. Negli altri sette stati del paese la vita scorre tranquilla come se non stesse succedendo niente. Sono come due mondi diversi.

Come ha vissuto la Pasqua la popolazione del Sud Sudan?
È come se fossimo ancora in Quaresima. A fine aprile comincerà la stagione delle piogge, che si protrae fino a ottobre. Farà sempre caldo ma le piogge tropicali renderanno la vita impossibile a chi ha perso tutto ed è costretto a vivere nelle foreste e nelle paludi. Non ci saranno cibo e medicine per la malaria e moltissime persone potrebbero morire. È una situazione che può sfociare non solo in uccisioni violente ma anche in una catastrofe umanitaria che durerà anche l’anno prossimo a causa delle coltivazioni distrutte. Teniamo conto che ci sono già un milione di sfollati. Noi siamo convinti che c’è una speranza e che Gesù continua a risorgere dentro la storia ma noi stiamo vivendo ancora la passione e preghiamo perché giunga davvero questa resurrezione e la nuova vita che questi popoli hanno diritto a vivere.

@LeoneGrotti

Tags: alto niloborCristianicristiani sud sudandaniele moschettiDinkaguerra sud sudanjongleimassacri sud sudanNuerpasquariek macharsalva kiirsud sudanunity state
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