«Subito amnistia e indulto: non per clemenza, ma per rientrare nella legalità»
Pubblichiamo l’intervento che il professore Andrea Pugiotto ha letto ieri al Quirinale davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un incontro durato un’ora e mezzo. L’incontro è avvenuto dopo l’invio da parte di Pugiotto a Napolitano di una lettera aperta firmata da 136 costituzionalisti e Ordinari di diritto penale e di diritto processuale penale sui temi della situazione delle carceri italiane. La lettera è stata anche sottoscritta, tra gli altri, da Tempi.
Signor Presidente della Repubblica,
voglio sinceramente ringraziarLa a nome dei Colleghi qui presenti e, soprattutto, a nome dei 136 firmatari (tra giuristi e garanti dei diritti dei detenuti) e degli oltre 1.600 cittadini consapevoli che hanno aderito alla lettera-aperta a Lei diretta. La ringrazio, infatti, per il supplemento di attenzione che intende prestare alle ragioni del nostro appello, onorandoci di questo invito, come già aveva fatto con la Sua lettera di risposta, pubblica e formale, del 25 luglio scorso. E sono certo di interpretare il pensiero di tutti – anche il Suo – nell’affermare che è ragione di profondo dispiacere e sincero rammarico l’assenza del Consigliere Loris D’Ambrosio. Sarebbe stato certamente qui, con noi, interlocutore partecipe, sagace, competente come pochi altri.
Sono persuaso, Signor Presidente, che il modo migliore per onorare la Sua disponibilità all’ascolto sia sottrarre alla lusinghiera e, per molti di noi, inedita e appagante ritualità l’occasione odierna, per farne, invece, un momento di dialettica, che è la scienza degli uomini liberi (come la definisce Platone ne Il sofista). Del resto, la lettera aperta che Le abbiamo inviato il 3 luglio scorso si proponeva esattamente questo: contribuire – per quanto è nelle possibilità della dottrina giuridica – a un’interlocuzione tra Presidenza della Repubblica e Parlamento affinché le Camere recuperassero alla legalità costituzionale i tempi della giustizia penale e la condizione delle carceri. Giustizia e Carceri, quasi un’endiade. Perché la galera è il punto di caduta e insieme di rivelazione e di verifica della Giustizia, il suo precipitato in corpi umani. Ecco perché la nostra lettera-aperta saldava insieme i due problemi, nella convinzione che l’unica soluzione possibile sia la loro soluzione contestuale.
Questo, Signor Presidente, Lei lo sa bene. Perché la “questione di prepotente urgenza” che denunciò, con autentica indignazione, il 28 luglio 2011 riguardava sia la Giustizia sia la Galera. E la nostra lettera aperta – se così posso esprimermi – altro non faceva che mettere in prosa giuridica quelle Sue parole di verità. L’abbiamo copiata, Signor Presidente, ai limiti della violazione del diritto d’autore. Ecco perché, davvero, non è necessario che io, qui, ripercorra il contenuto e le argomentazioni del nostro appello. Se non per due profili. Entrambi fondamentali. Il primo attiene al fattore tempo, evocato dalla Sua felice espressione verbale: “prepotente urgenza”. Nel comune parlare una questione urgente è tale perché richiede interventi immediati e rapidi. E’ l’antitesi del “puoi farlo quando credi”. Nel linguaggio giuridico, non a caso, l’urgenza connota di sé quelle fonti o quei provvedimenti adottati per evitare che la situazione non esca pregiudicata dal decorso del tempo.
Se poi quell’urgenza è anche prepotente, vuol dire che la soluzione al problema è un pensiero egemonico, dominante su tutto il resto. L’invito non è solo a fare presto, a procedere senza indugio, ma anche con priorità assoluta. È andata così? Dalla denunciata “questione di prepotente urgenza” sono trascorsi 427 giorni, 14 mesi esatti. Se ci voltiamo a guardarli, rischiamo la sorte della moglie di Lot (Genesi,19,26): ci trasformeremmo in statue di sale, impietriti dalla persistente situazione d’illegalità costituzionale della Giustizia e delle Galere. Per essere oggettivi, proviamo a guardarle da fuori, per meglio guardarvi dentro. Proviamo cioè a ricorrere a uno sguardo esterno, a un terzo occhio, dalla rilevanza giuridica certa: come parla di noi il Consiglio d’Europa?
Quanto alla Giustizia, siamo lo Stato membro con il maggior numero di condanne – dopo la Turchia – per violazione della CEDU. Siamo lo Stato più condannato per violazione dell’art. 6, § 1 CEDU in ragione dell’irragionevole durata dei processi (oltre 2.000 condanne). Siamo lo Stato con il maggior numero di sentenze della Corte di Strasburgo non eseguite. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (in data 13 marzo 2012) ha affermato che l’attuale funzionamento della giustizia italiana “costituisce un serio pericolo per il rispetto della supremazia della legge, che si traduce in una negazione dei diritti sanciti dalla CEDU, e che crea una minaccia seria per l’efficacia del sistema che sottende alla stessa convenzione”. Al termine della sua recente visita in Italia (avvenuta dal 3 al 6 luglio 2012), il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, afferma nel suo rapporto che “l’eccessiva lunghezza dei processi (…) è un problema di lunga durata in Italia, che si ripercuote sull’economia nazionale (…). In tempi di crisi economica questo dato dovrebbe essere un incentivo per trovare soluzioni atte a invertire la rotta”. Un’eco di ciò viene da uno studio della Banca d’Italia, che pesa in 1,5 di PIL il costo della nostra giustizia a rilento.
Quanto alla Galera, è il caso non solo di sentire, ma anche di ascoltare, cosa il Consiglio d’Europa dice di noi. Siamo lo Stato membro – dopo la Serbia – con il più alto tasso di sovraffollamento delle carceri. Siamo stati condannati, in questo fazzoletto di tempo, ben cinque volte per le condizioni inumane e degradanti in cui sono ristretti i detenuti. Proprio in questi giorni il Comitato dei Ministri sta valutando l’esecuzione della sentenza sul caso Sulejmanovic, e più in generale quanto finora fatto dal Governo italiano per risolvere le cause strutturali della condanna. Pendono a Strasburgo oltre 1.200 ricorsi da parte di detenuti nelle carceri italiane che denunciano la violazione dell’art. 3 CEDU. Ed è realistico attendersi, dati anche i precedenti, una sentenza-pilota di condanna dell’Italia per le condizioni in cui teniamo ristretti 66.271 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti (dati ministeriali aggiornati al 31 agosto 2012). Nel frattempo, Signor Presidente, in questi 14 mesi sono 116 le persone ristrette in carcere o internate in ospedali psichiatrici giudiziari morte dietro le sbarre (di questi, 66 i casi di accertato suicidio).
Signor Presidente, quando la quantità di un fenomeno supera una certa misura, ciò ne cambia la qualità. Diviene qualcosa d’altro. Giustizia e Galera, guardate con gli occhiali del Consiglio d’Europa, ci appaiono non come un problema umanitario, ma di legalità costituzionale violata. Non credo di violare, a mia volta, i miei doveri di cortesia nei Suoi confronti se oso affermare che le Sue parole non sono state ascoltate. E che la prepotente urgenza da Lei denunciata è stata dimenticata. Qui irrompe l’altro profilo della nostra lettera aperta, che sento il dovere di richiamare alla memoria di tutti.
Sta scritto nell’incipit dell’appello: ci siamo rivolti a Lei, Signor Presidente, quale primo garante della legalità costituzionale del nostro ordinamento, con la massima fiducia in un Suo ricorso al potere di messaggio alle Camere, affinché il Parlamento desse una risposta, concreta e non più dilazionabile, alla crisi della giustizia ed al suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri. E che, sulla spinta del Suo messaggio, lo facesse approvando, preliminarmente, una legge di amnistia e indulto, opportunamente congegnata. Amnistia e indulto non quali atti di generosa e umanitaria clemenza. Semmai quali strumenti costituzionali capaci di far rientrare nella legalità la Repubblica, base di partenza per ulteriori riforme di sistema.
Ad oggi, Lei ha scelto diversamente. Se è lecito chiedere, vorremmo capirne le ragioni che La inducono a questa astensione. Vorremmo esserne persuasi. Perché, ai nostri occhi, più ancora di tre mesi fa il ricorso a questo formale potere costituzionale ci sembra, se possibile, più necessario che mai. Come sa, abbiamo affidato, per questo, il senso della nostra prepotente urgenza ad una citazione di Primo Levi come chiosa a chiusa del nostro appello. Ci permettiamo, in spirito di leale collaborazione, di riproporla a Lei, quale primo Custode della Costituzione chiamato a rappresentare uno Stato in un consesso internazionale che giudica – con preoccupante frequenza – l’assenza di legalità nel nostro Paese, temendone il contagio. Grazie per il tempo che ha inteso dedicarci. E grazie fin d’ora per le parole che intenderà ancora adoperare sul tema della Giustizia e della Galera.
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