Storia tragicomica di fecondazione assistita, madri single, donatori di sperma convertiti (e bambini)
È una storia tragicomica e si gioca tutta sull’asse Florida-Israele. Galit (nome fittizio) è una donna single di 39 anni che tre anni fa ha deciso di volere un figlio. Per questo, ha comprato lo sperma di un israeliano e ha concepito con la fecondazione assistita. Tre anni dopo, soddisfatta del risultato (alias la figlia), ha deciso di volere un altro bambino. Desiderando dare alla figlia un fratellino “naturale” dal punto di vista biologica, ha comprato dallo stesso israeliano altre cinque “porzioni” di sperma, pagandolo per conservarle in Israele. Al momento di andare a recuperarle per sottoporsi a un nuovo trattamento di fecondazione assistita, le arriva una chiamata inaspettata: «Il donatore ha cambiato idea, dopo essere diventato un religioso osservante non vuole più donare il suo sperma. Ovviamente, lei riavrà i suoi soldi».
SI VA IN TRIBUNALE. La donna si è recata subito in Israele e ha fatto causa all’uomo dopo essersi rivolta a un avvocato, perché «i miei sentimenti sono stati completamente ignorati. Tutto questa storia riguarda il mio futuro figlio. Se non potrò più avere bambini da quel donatore, mia figlia non potrà avere un fratellino biologico». Due settimane fa, l’Alta corte di giustizia israeliana ha dato torto a Galit, pur provando «simpatia» per i suoi sentimenti. Come si legge nella sentenza, riportata dal quotidiano israeliano Haaretz, «la priorità deve essere data al donatore e alla sua personale autonomia. È comprensibile che una persona cambi idea, dopo averci pensato, e non voglia che un bambino nasca dal suo sperma, perché non l’ha scelto e non ha scelto la madre».
«HO PIANIFICATO UNA FAMIGLIA». La donna ha ottenuto solo il misero risarcimento dei soldi spesi per la conservazione dello sperma dell’uomo e si è così lamentata: «Mi addolora che questo possa succedere ad altre donne. Un donatore di sperma non può cambiare idea. Io ho pianificato una famiglia e lui cambia idea, un bel giorno. Lui ha cambiato il suo stile di vita, ma chi pensa al mio? Che differenza gli fa avere un figlio in più?». La risposta dell’uomo è arrivata al processo tramite una lettera: «Tempo fa sono stato sposato e con l’aiuto di Dio ho avuto un bambino con mia moglie. Il male che ho fatto a mia moglie e a mio figlio è responsabilità mia. L’incertezza in cui loro vivono perché hanno parenti che non conoscono è terribile e io sono pentito di avere fatto questo alle persone che amo».
L’AUTONOMIA VS STATO EMOZIONALE. La Corte ha considerato però solo una cosa nel suo verdetto: non si può minare l’autonomia dell’uomo costringendolo a essere padre anche se non vuole. La donna però insiste: «Dovrebbero rispettare il mio desiderio, io sono una donna sola che ha cresciuto una figlia senza padre. E poi come potrei dire a mia figlia che il suo fratello è nato da un altro donatore di sperma? Spero che altri giudici considerino il mio stato emozionale e arrivino a un giudizio differente».
QUANTI DIRITTI. In questa storia intricata e complessa si è tenuto conto di tutto: dei sentimenti della donna, dei sentimenti del donatore di sperma, dei sentimenti della famiglia del donatore di sperma, dell’autonomia del donatore di sperma, del desiderio di avere un altro figlio della donna, del diritto della figlia della donna di avere un fratellino “naturale” dal punto di vista biologico e del problema dell’affidabilità della banca del seme israeliana. Solo del diritto del prodotto (alias il figlio) ad avere una famiglia normale non gliene frega niente a nessuno.
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3 commenti
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Con tutto quello che ha speso per non farsi trombare……………
“…Solo del diritto del prodotto (alias il figlio) ad avere una famiglia normale non gliene frega niente a nessuno…”
Amara la conclusione dell’articolo ma unica possibile allo stato attuale.
Per avere a cuore il diritto del figlio bisognerebbe infatti cominciare a rovesciare la prospettiva e invertire l’ondata ideologica che ci ha portato finora divorzio, aborto, “donazioni” di sperma o di ovuli, e, tra poco, “matrimoni” omosessuali e conseguente possibilità di adozione per i gay. Tutto spinge verso il riconoscimento giuridico di desideri e capricci individuali. Per invertire la rotta bisognerebbe cominciare a ripensare all’essere umano non come ad un individuo monade della società, particella atomizzata titolare di desideri e capricci da convertire subito in legge, ma come persona, in relazione con altre persone e con la società.