Good Bye, Lenin!

Storia di padre Gleb Jakunin, anima inquieta e rovente della rinascita religiosa nell’Urss sovietico

Gleb_JakuninUno spirito ribelle che si è sempre battuto per la verità del Vangelo e per i diritti umani, e in fondo al cuore un animo da poeta: ecco in estrema sintesi la figura di padre Gleb Jakunin, sacerdote ortodosso scomparso a Mosca il 25 dicembre. Fu, con padre Aleksandr Men’, uno dei protagonisti della rinascita religiosa durante l’epoca sovietica ma, a differenza di padre Aleksandr, scelse la linea dura, la denuncia esplicita, lo scontro con le autorità civili o religiose. L’eterna alternativa tra Marta e Maria, entrambe affascinanti e indispensabili.
Gleb nasce nel 1934, e nel dopoguerra resta orfano di padre, insegnante di musica. La madre si impiega come operaia per mantenere il figlio che cresce per la strada «con gli altri teppistelli antisovietici» – come racconta in un’intervista. «Mia madre era molto religiosa… Io mi sono avvicinato alla religione da un punto di vista filosofico, tramite lo yoga e l’antroposofia… Percepivo l’immortalità dell’anima e che un Dio doveva pur esserci, ma chi fosse ancora non mi era chiaro».

Su insistenza della madre, per un paio d’anni frequenta la scuola di musica, ma pur riuscendo bene capisce che non è quella la sua strada e si trasferisce all’Istituto Agrario di Irkutsk, in Siberia, per poter essere a contatto con la natura. Qui fa amicizia con Aleksandr Men’, con cui divide l’appartamento: «Io ero ancora alle prese con lo yoga mentre Aleksandr stava scrivendo uno dei suoi testi più famosi, Il Figlio dell’uomo». È grazie a Men’ che riprende a frequentare la Chiesa, e al termine degli studi entra in seminario, dove però resta deluso: troppa pressione da parte delle autorità, troppi infiltrati del KGB, da cui mette in guardia i compagni più giovani. E finisce male: viene messo alla porta con il pretesto di aver rubato dalla biblioteca Filosofia dello spirito libero di Berdjaev, «un libro che mi aveva accompagnato al cristianesimo, e che parlava non solo di filosofia cristiana ma anche dell’importanza della difesa dei diritti umani, della libertà di coscienza, dei diritti dei credenti».

In esilio, con la moglie e due figli.
In esilio, con la moglie e due figli.

Nel 1962 viene comunque ordinato sacerdote. Siamo all’epoca del disgelo, ma mentre Nixon e Chruščev si scambiano visite amichevoli, in URSS prende l’avvio una grande campagna di chiusura delle chiese riaperte durante la guerra. Nel ’65 con padre Nikolaj Ešliman scrive una lettera di protesta al patriarca Aleksij e una alle autorità civili. Circolata nel samizdat e ripubblicata anche all’estero, la lettera al patriarca sostiene che la Chiesa non deve pensare a salvare se stessa con i compromessi: «Sarà utile ricordare ai pastori che pensano di salvare la Chiesa, che non siamo noi, deboli figli suoi, a salvarla, ma che lei, nostra Madre, salva noi. E Cristo salva la Chiesa». La lettera al presidente del Soviet Supremo invece mette in luce il problema dal punto di vista del diritto e della libertà di coscienza, secondo lo stile del dissenso civile. Il risultato sarà la sospensione a divinis dei due sacerdoti.
Nel ’76 lo ritroviamo tra i collaboratori del Gruppo Helsinki per i diritti umani, e successivamente darà vita con altri al Comitato cristiano per la difesa dei diritti dei credenti. L’avventura dura poco: nel ’79 iniziano gli arresti in massa, Jakunin è accusato di propaganda e agitazione antisovietica e condannato a 5 anni di lager duro da scontare a Perm’-36, più 5 di confino in Jakutija.

Jakunin_illustrazione
Un’illustrazione al suo poema.

«Per oltre due anni ho scontato la pena nella zona a regime rafforzato, una specie di mini-carcere dove ti danno poco da mangiare e ti fanno svolgere lavori pesanti». Ciononostante, nelle ricorrenze dedicate ai diritti umani Gleb e gli altri «politici» fanno lo sciopero della fame e si rifiutano di lavorare. A Perm’-36 scopre anche il suo talento poetico. È il periodo di Pasqua, ma senza calendario liturgico come può sapere quando cade? È sconsolato: «Signore – dissi durante l’ora d’aria, – dammi conforto perché possa sentire la gioia pasquale. Guardai il filo spinato e pensai: ecco, la corona di spine di Cristo era qualcosa di simile». Così nasce la sua prima poesia, dedicata alla Sindone: «Una corona di filo spinato / e le tracce di rivoli insanguinati…». In esilio continua a scrivere, «ne uscì fuori una composizione dove le mie idee religiose sono espresse in forma ironica e primitiva… Poi l’ho limata e intitolata – con una certa presunzione – Il vangelo di Gleb, in cui cerco di spiegare come mai la Russia è ancora così infelice dopo il crollo della Babilonia sovietica».
Grazie alla perestrojka nel marzo dell’87 viene rimesso in libertà e riabilitato.

A Kiev, con gli amici ucraini.
A Kiev, con gli amici ucraini.

«Quasi per caso e senza crederci troppo» è eletto deputato al Soviet Supremo nella squadra che porta El’cin al potere. Collabora al comitato per la libertà di coscienza, è uno degli autori della legge che permette la riapertura di chiese e monasteri. Ha anche la possibilità di accedere agli archivi del KGB, e si rende conto di come la Chiesa ortodossa sia stata in balia degli organi di sicurezza. Secondo il suo stile, punta il dito contro i diretti interessati e viene scomunicato.
Chiede a Putin di invitare in Russia Giovanni Paolo II, di cui apprezza i viaggi nei paesi dell’ex-URSS, capaci di «attrarre tanti giovani e di avere un enorme influsso pacificatore sulla società». Nel 2000 con alcuni vescovi fonda la «Chiesa apostolica ortodossa» (non riconosciuta) allo scopo di riformare l’ortodossia russa che giudica «sganciata dalla vita sociale e culturale, in preda all’oscurantismo e all’odio verso le altre confessioni, verso la cultura e la tecnologia moderne». In una delle ultime comparse pubbliche nell’agosto scorso, paragona la Russia all’immagine di Lazzaro appena uscito dalla tomba, «maleodorante e ancora avvolto nel suo peccato, che solo Cristo può liberare e risanare».

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1 commento

  1. Cisco

    Questo Gleb Jakunin mi sembra un autentico cristiano e “martire” verso il potere nella sua duplice espressione: politico-totalitarista e religiosa. Facile, ma non scontato, criticare la Russia, meno facile criticare l’URSS e la Chiesa Ortodossa vivendone l’esperienza del linciaggio. O l’Ortodossia riconoscerà il Papa, o farà la fine di tutte le religioni di stato: un’istituzione ossequiosa nelle mani del presidente di turno che mendica denaro per mantenere aperti i propri musei.

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