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«State pronti per la Macerata-Loreto»

Monsignor Vecerrica ci spiega perché non è ragionevole rinunciare allo storico pellegrinaggio per l'emergenza coronavirus. Anzi, si farà proprio per questo. «Voglio la Luna»

Caterina Giojelli
13/04/2020 - 12:32
Chiesa
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Pellegrini lungo il percorso della Macerata-Loreto

Articolo tratto dal numero di aprile 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

All’inizio c’è un giovane prete, c’è sempre un prete quando gli eventi fanno la storia. O meglio c’era un prete, adesso è un vescovo: «Cos’è questo bisogno di impossibile se non il desiderio di un imprevisto che salvi tutto? Il desiderio umanissimo del cielo, dell’eternità, di un nesso con un oltre: ma insomma di cosa parlava sant’Agostino quando parlava di cuore inquieto? Ragazza mia, il bisogno innato di apertura a un orizzonte infinito non lo spegne nessuno, neanche il peccato, tanto meno le vicende dolorose e drammatiche umane. Io non mi sento definito da questa clausura, ma dal desiderio di uscire». 

Rivedremo Loreto, promette a Tempi monsignor Giancarlo Vecerrica, vescovo emerito di Fabriano-Matelica: nel primo chiarore del 13 giugno dell’anno 42, i rintocchi delle campane squarceranno il silenzio, e sarà anche questa volta come asciugarsi l’acqua dalla faccia dopo la pioggia e pestare la scarpe a terra per scrollar via fango e fatica.

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Chiunque abbia pellegrinato sulla Macerata Loreto lo sa – lo sa anche chi non c’è mai stato ma ha visto qualcuno rincasare dalle colline marchigiane, con le caviglie doloranti e in cuore il flusso delle maree, trascinato da quello che per tutti è ancora “don Giancarlo”, con megafono e scarpe da tennis. Sa che 28 chilometri per 41 edizioni di cammino notturno fanno sempre l’inevitabile: inevitabile chiedersi camminando di cosa siano fatte quelle orde di stelle lucenti e di cosa siamo fatti noi; inevitabile scoprirsi tutti sull’ultimo miglio creature dalle gambe corte, gli occhi stretti, in bocca un arido sapore di polvere umida; inevitabile – quando la basilica della Santa Casa di Nazareth sorge infine all’alba come un roveto ardente – scoprirsi gente ustionata da un bisogno impossibile. 

Poi, poi accade che arriva l’anno del pellegrinaggio numero 42 e con lui Covid-19, e forse proprio questo doveva accadere all’homo viator e ai suoi amici per rendere inevitabile il corpo a corpo con quell’intuizione scolpita nelle gambe da anni di cammino. Confinati da una pandemia tra quattro mura, forzati a coesistere con la voragine del vuoto incolmabile lasciato da paura, lutti e perdite, tastando pareti, «chi può dire di non essersi “sentito addosso un bisogno di impossibile”»?

È il grido di Caligola, l’imperatore pazzo a cui Albert Camus fece dire «voglio la Luna», in cui Luigi Giussani riconobbe l’insaziabile apertura umana all’infinito, ed è anche il titolo del prossimo pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, in programma il 13 giugno che, diciamolo subito, «si farà». Non sappiamo quale forma di cammino permetteranno le circostanze ma si farà, promette monsignor Vecerrica, e per capire come e perché – e cosa c’entri il cammino notturno con tutta questa premessa e con l’inquieto Caligola e don Giussani, ma anche con la croce di papa Wojtyla e una squadra di favolose pallavoliste russe, gli sbandati di un bar di Fermo e un vescovo seduto a cena alla sinistra di Francesco, con lo sciame virale sulla terra e Maria in volo nei cieli del mondo –, per capire, anzi ricordare, mettere insieme i tasselli della storia che ci è data da vivere oggi, dobbiamo ascoltarlo il vescovo emerito “don Giancarlo”, dal 1978 alla testa del serpentone dei centomila pellegrini che anche quest’anno, come ogni anno, rivedranno Loreto.

Monsignor Giancarlo Vecerrica davanti alla statua della Madonna all'arrivo del pellegrinaggio Macerata-Loreto

Cure, cibo, compagnia

Va detto che poco prima di parlare con Tempi – ricordarci Agostino, «Tu ci hai creati per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te», e che questo “cuore” è l’io che anela l’infinito e che “desiderio” viene da desidera, dalle stelle, insomma, tutte quelle cose di cui è raro ricordarsi tra tinello e termometro – monsignor Vecerrica aveva costretto al ripasso anche un signore con un’alta carica istituzionale che gli chiedeva del suo territorio «già martoriato da due terremoti e ora, monsignore, una pestilenza!»: «Militia est vita hominis super terram, la vita dell’uomo è una lotta nel senso nudo e crudo del termine, una lotta tra la vita e la morte. E non è un caso che questa pestilenza, questa lotta tra la miserevole condizione umana e l’apertura al mistero sia caduta di quaresima: io ho quasi ottant’anni e più vivo la precarietà di questi giorni tristi più capisco cosa significa vivere per una certezza. Più si fa buio, più ardente è l’attesa dell’alba, il desiderio di mettersi in cammino verso l’aurora – sorride il vescovo –, e questo è il cammino verso la Pasqua, dove l’impossibile diventa possibile. Ed è il motivo per cui la quarantena ci ha reso tutti pellegrini, la ragione per cui Cristo continua a risorgere per chi lo riconosce nel prossimo: non pensa ai tanti che in questi giorni stanno rinnovando il proprio sì a un altro, dedicandosi anima e corpo a chiunque mendichi cure, cibo, compagnia?».

«Quanto vorrei camminare con voi»

Dicevamo che di pellegrinaggi Macerata Loreto nelle gambe monsignor Vecerrica ne ha 41, tutti scaturiti dall’incontro con don Luigi Giussani, «a lui devo tutto, devo la scoperta che Cristo non viveva ieri ma è vivente oggi», e dal dna: «Io sono figlio di contadini marchigiani ed era consuetudine, nelle nostre terre, al termine di ogni raccolto o in occasione di battesimi o matrimoni recarsi a piedi di notte alla Santa Casa di Loreto per ringraziare Maria. Così nel 1978, un anno dopo aver visto tornare entusiasti dal pellegrinaggio polacco di Częstochowa gli amici di Comunione e lßiberazione, decido di proporre ai miei studenti la tradizione del cammino a piedi, portando la fine dell’anno scolastico alla Vergine lauretana. Io allora ero solo un giovane sacerdote che insegnava religione al liceo classico di Macerata, ma ricordo ancora quella prima notte, era il 17 giugno, ed eravamo in trecento sotto una pioggia battente. Pochi mesi dopo Karol Wojtyla venne eletto Papa: “Questi giovani me li devi curare uno ad uno”, mi disse, quando lo incontrammo l’8 settembre dopo la seconda edizione del pellegrinaggio».

Per cinque volte Giovanni Paolo II si recò a Loreto e nel 1993, dopo aver detto messa per i pellegrini, affidò loro «la Croce di Cristo, nella quale è salvezza, vita e resurrezione», la Croce che ancora guida il pellegrinaggio. «“Quanto vorrei poter camminare con voi”, mi disse il Papa, già malato, consegnandomela». Quell’anno c’è anche don Giussani, per la seconda volta, tra i pellegrini. Storico l’abbraccio con Wojtyla, profetiche le parole che il Giuss levò limpide al popolo pronto al cammino: «“E l’angelo partì da lei”. Anche nella mia vita, nella nostra, ci siamo trovati – ci troveremo – come se non potessimo appoggiarci a niente: come se le mani non trovassero appiglio e il cuore dovesse rimanere fedele. La Madonna ci dia questo luminoso coraggio (…) la gioia nasce solo dalla coscienza di appartenere ad un popolo, ad una comunione, a un disegno che abbraccia tutto, cielo e terra, fossi anche solo come Cristo è stato solo a morire. E Cristo morì veramente da solo».

Monsignor Giancarlo Vecerrica davanti alla statua della Madonna all'arrivo del pellegrinaggio Macerata-Loreto

«Lì si fa esperienza della Chiesa»

Anno 41, i trecento sono ormai centomila quando papa Francesco raggiunge Loreto per firmare e affidare alla Vergine l’esortazione post-sinodale Christus vivit: è il mese di marzo e provvidenza vuole che pochi giorni prima monsignor Vecerrica si trovi alla sinistra del Papa durante un pranzo con altri trenta cardinali: «Santità», azzarda Vecerrica, ben sapendo che Bergoglio come i suoi predecessori non ha mai mancato di esprimere sostegno e vicinanza al popolo del pellegrinaggio e devozione alla madonna di Loreto.

Tuttavia quel giorno il monsignore si sente ancora quel prete di frontiera al liceo classico e responsabile di ciascun ragazzo, «uno ad uno. Così gli raccontai della pallavolista sovietica e dei bighelloni di Fermo». Accade infatti, anno 1994, che una squadra di giocatrici russe in trasferta a Roma si presenti a Macerata alla partenza dei pellegrini. Non passavano certo inosservate, così, trovato un interprete, «riesco a “intervistare” una di loro. Ma tu, atleta russa, perché sei qui con noi? Risponde “perché sono atea”. Ma come, rincaro, e lei spazientita, “siccome sono atea sono qui. Qui perché voglio vedere Dio nel volto di quelli che ci credono”».

E non è finita, anno 2004, «un parroco di Fermo tutto indispettito mi dice che ha visto pellegrinare tra noi un gruppo di sbandati che è solito frequentare il bar davanti alla parrocchia, “drogatelli, mai visti in chiesa”. Gli suggerisco allora di provare a entrare nel bar invece di aspettarli in canonica e così fa. Entra a chiedere spiegazioni e finalmente un “drogatello” imbarazzato gli risponde, “andiamo a fare il pellegrinaggio verso Loreto perché è lì, e non in parrocchia, che ci sentiamo coinvolti”. A sentire queste parole Francesco mi ha fermato: “Ecco, è questo che dobbiamo fare, coinvolgere i giovani nel cammino della Chiesa. Ma tu devi parlare di più di questo pellegrinaggio”».

Alla chiusura dell’assemblea dei vescovi italiani Francesco non usa giri di parole: andate al pellegrinaggio Macerata Loreto, dice ai suoi, «perché lì si fa l’esperienza della Chiesa, lì i giovani camminano col vescovo. Non dite poi che non vengono in parrocchia». 

Le “case volanti” in guerra

E poi, poi accade Covid. Nell’anno 42 del pellegrinaggio intitolato al grido di Caligola uno sciame virale uscito dalle foreste ci ha sbarrato la strada ponendoci tutti catastroficamente davanti all’aut aut, o tutto credere o tutto negare. «E l’angelo partì da lei. Profeticamente Giussani ci aveva chiesto di pensare in quale solitudine si è trovata una ragazza nelle condizioni nuove in cui il Signore l’aveva posta, niente a cui appoggiarsi, a cui appoggiare una evidenza comunemente umana. E ci aveva esortato a chiedere il suo luminoso coraggio. Chiediamolo, perché il Coronavirus che si è fatto strada in Italia, impedendoci di varcare la soglia di casa, andare in chiesa, non ha potuto fermare lei». 

Lei, in questo 42esimo anno si è fatta Madonna pellegrina per «raggiungere l’uomo ovunque questo viva»: dal 9 dicembre tre statue raffiguranti la Vergine di Loreto stanno infatti sorvolando la terra, per raggiungere tutti gli aeroporti italiani e internazionali, da Buenos Aires a New York, da Toronto alle Fiji. Sì perché l’8 dicembre, poco prima che Covid inizasse a esigere il suo altissimo tributo dall’Italia, grazie all’infaticabile testimonianza di monsignor Fabio Dal Cin, vescovo di Loreto, e alla devozione di papa Francesco, ha avuto inizio il Giubileo Lauretano nel centenario della proclamazione della Beata Vergine Maria di Loreto Patrona di tutti gli aeronauti.

Fu papa Benedetto XV a firmare il decreto: la Santa Casa, dove Maria era nata e aveva ricevuto l’annuncio dell’angelo (e che secondo la tradizione fu proprio trasportata in volo dagli angeli sui colli marchigiani), aveva ispirato gli aviatori reduci della Prima Guerra mondiale a chiamare “case volanti” i loro aerei, e a lei affidarsi ogni volta che solcavano i cieli insanguinati dal conflitto.

«Chiediamo il luminoso coraggio di Maria, la cui cara immagine sta sorvolando la terra per raggiungere gli uomini “ovunque essi vivono”. A ricordarci, come ha detto il Papa affidandole il mondo nell’ora più buia, che siamo tutti sulla stessa barca, ma siamo anche figli dello stesso padre e della stessa madre. E sono certo che Maria interverrà. Pregheremo tantissimo. Io – conclude sicuro monsignor Vecerrica – sono arrivato a due, anche tre rosari al giorno. E tanti ne diremo insieme il 13 giugno. Portate tutti con voi le vostre intenzioni, quelle che ogni anno bruciamo nel braciere davanti al santuario. Portate tutto il dolore e la fatica, portate la carne e le ossa, grazie e peccati. Portate tutta la quarantena e tutto quello che è capitato in questo anno. E portate gli amici, siate responsabili e vigili l’uno per l’altro: ancora non sappiamo che forma prenderà il pellegrinaggio ma siate pronti alla notte in cammino. Da soli, in famiglia, a gruppetti, sui balconi: se non potremo raggiungere Loreto a piedi ci andremo insieme con tutti gli strumenti possibili, organizzandoci con telefoni, dirette, faremo insieme tutte le tappe, ascolteremo le testimonianze, le preghiere, le litanie, i canti fino all’alba e fino a Loreto». 

E allora suoneranno le campane e rivedremo la Casa Santa che da 42 anni muove contadini e studenti, Papi e giocatrici di volley russe, vescovi e drogatelli, santi e peccatori, e perfino la Vergine nei cieli: «Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora – è il grido di Caligola per cui non è realistico che l’uomo viva senza senza nesso con l’oltre, qualsiasi confine raggiunga –. Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile».

Foto Leonora Giovanazzi

Tags: Coronavirusgiancarlo vecerricaGiovanni Paolo IILuigi GiussaniPapa Francescopellegrinaggio macerata loretotempi aprile 2020
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