
Stacchio: «Non volevo farlo. Lo rifarei»

Ieri via libera della Camera al ddl sulla legittima difesa. Il ddl prevede l’ampliamento della fattispecie della legittima difesa alle aggressioni notturne e l’esclusione della colpa di chi reagisce in situazioni di “grave turbamento psichico”, ”comportanti un pericolo per la vita, per l’integrità fisica, per la libertà personale o sessuale” che verranno valutate dal giudice. Qui di seguito anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «La paura è una brutta bestia. Ti bracca una sera e non ti lascia più. Quello che è successo qui il 3 febbraio del 2015 ha suscitato reazioni controverse, che fanno a cazzotti con la logica di un ragionamento freddo e pacato. Mi chiedono cosa si dovrebbe fare, lo chiedono a me, ma io sono solo un uomo che fa il suo lavoro da cinquant’anni e che una sera ha avuto paura per sé e per le persone a cui vuole bene. Perché devo dare io una risposta come la diedi quella sera maledetta alla mia paura, alle paure di chi si è visto sparare addosso da un kalashnikov, alla morte di un uomo?».
Campagna vicentina, pochi chilometri da Rovigo. A Ponte di Nanto vivono tremila anime incastrate tra la statale 247 e il canale Bisatto. Lungo la statale c’è il distributore di benzina gestito da Graziano Stacchio. Vi lavorano anche la moglie Rosetta e il figlio, Enrico. Casa e bottega, si dice così da queste parti, da molto prima che il placido Stacchio diventasse un “personaggio”, molto prima che attorno a quella pompa di benzina si incrociassero storie e destini, divampassero tutte le contraddizioni e le carenze della disciplina della legittima difesa, e ci scappasse il morto.
Prima del 3 febbraio Stacchio dunque non è un ancora un personaggio: è popolare, questo sì, è il benzinaio che ha salvato una giovane dalle acque del Bisatto. È il 4 marzo 1985, «sono in banca quando una signora fa irruzione. C’è stato un incidente, grida, una macchina è finita nel canale e una donna sta affogando imprigionata nell’abitacolo», racconta Stacchio a Tempi. «E io corro al Bisatto e vedo questa Fiat 500 rossa che si sta inabissando nella corrente. Via il giubbotto, via le scarpe e mi butto. E tirarla fuori mica è semplice, devo cercare di ruotare la macchina e farla uscire dal finestrino, e quella però si agita e mi caccia giù in acqua con lei ogni volta che provo a riafferrarla. Alla fine tutto è andato bene». Così bene che la 22enne salvata, Gilberta, lo vuole alle sue nozze. E poi arriva la medaglia di bronzo al valor civile dell’allora ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro, e dopo ancora l’onorificenza di Cavaliere firmata dal presidente Ciampi. Questo è Stacchio, uno che ti salva la vita, prima del 3 febbraio 2015.
I volti della paura
Quella maledetta sera è buio pesto, sono appena passate le 18 quando Stacchio sente un cliente urlare «“c’è una rapina, c’è una rapina”. Esco e vedo un’auto di colore scuro ferma davanti alla gioielleria di Robertino Zancan, a meno di trenta metri dal distributore, col muso rivolto verso di me. Accanto, illuminato dai lampioni, un uomo con una lunga arma in mano controlla il piazzale, mentre altre quattro persone mascherate e armate di mazze stanno cercando di sfondare l’ingresso della gioielleria. Penso subito a Jenny, la commessa chiusa lì dentro». La paura quella sera ha il rumore fragoroso dei colpi inferti alla vetrata e il volto di tante persone. Quello di Jenny, che due anni prima, nella stessa gioielleria, aveva subìto un’altra rapina e che sconvolta aveva chiesto a Stacchio, «ma tu non ti sei accorto di nulla?».
Quello di Zancan, che ha ricevuto l’allarme, scende e corre verso il piazzale prima di vedersi scaricare addosso una raffica di mitra dall’uomo in piedi e cercare riparo. Zancan, che rivive ogni notte l’incubo della rapina subìta nel 2005 nella sua abitazione, quando un gruppo di romeni lo malmenò con un cacciavite sequestrandolo con moglie e due bimbi piccoli per poi scappare con i suoi averi, che venne tramortito dai ladri durante un altro tentativo di rapina alla sua azienda, che perse incasso e fiducia quando il colpo riuscì qualche anno dopo.
Il volto incredulo di Rosetta, per cui Stacchio aveva perso la testa durante le lezioni di scuola guida, e a cui ora lui sta urlando di rientrare in casa prima che vengano crivellate anche le scale su cui si è affacciata. Quello di Enrico, papà di quattro bambini che vivono lì e chiama disperatamente nascosto dietro un muro i carabinieri col cellulare. E quello dello stesso benzinaio, che maneggia le armi da quando a 16 anni scoprì la passione della caccia, e le conserva custodite lontano dai proiettili, che corre a prendere il fucile.
«Una soluzione io non ce l’ho»
«Non c’è notte che non riviva quel momento. Volavano raffiche ad altezza d’uomo. Sparai un colpo in aria urlando agli uomini di andarsene, riparato da una centralina alta un metro e non più larga di 30 centimetri. Il bandito iniziò ad avanzare verso di me sparando. Desistette solo quando sparai un secondo colpo verso l’auto alle sue spalle». I suoi compari risalgono a bordo, guidano verso Stacchio, esplodendo colpi attraverso i finestrini, il benzinaio risponde al fuoco sempre mirando alla carrozzeria, non sa che uno di questi proiettili raggiunge un bandito alla coscia. Poco più tardi, abbandonato dai compari in fuga, Albano Cassol, giostraio italiano rom che viveva nel campo di Fontanelle (Tv), una lunga lista di precedenti per furto, rapina e tentato omicidio, muore dissanguato.
«Io lo so cosa ho vissuto quella sera, a questo so rispondere, ma una soluzione al problema della criminalità io non la so dare», scuote la testa Stacchio. «Le risposte vanno date prima, prima di una sera di violenza. Io parlo sempre di educazione, scuola, valori, ma sembra che la gente faccia caso solo al pallone e a Sanremo e si accorga di cosa vale solo quando perde qualcosa, i beni, il lavoro, la salute, la vita. Ecco: qui il problema della vita e della morte è sentito, dalle nostre parti le persone hanno paura, parlano di sicurezza tutto il giorno. Perché dobbiamo vivere con la paura? Come ora a Molinella, giù nella Bassa emiliana, con il fantasma di Igor il russo che si aggira nei campi e nelle cascine, e ormai il terrore lo fa vedere da tutte le parti…». Il 4 febbraio il distributore è preso d’assalto dai giornalisti. Stacchio parla con tutti, ha la coscienza a posto. Apprende di essere stato iscritto nel registro degli indagati da parte della procura della Repubblica di Venezia, l’accusa è eccesso colposo di legittima difesa, «me lo aspettavo, accertare la verità andava anche a mio favore».
Legittima difesa, carissima accusa
La notte tra l’11 e il 12 febbraio una raffica di furti colpisce Ponte di Nanto e frazioni vicine: quindici in poche ore, un raid visto come una sorta di ritorsione-avvertimento. Il 23 febbraio qualcuno suona al campanello dell’abitazione di Zancan, lasciando una busta con due proiettili nella cassetta della posta. Una seconda busta viene lasciata sotto casa del gioielliere contenente una foto di Stacchio e Zancan che partecipano alla trasmissione Quinta colonna, insieme a due proiettili calibro 357 magnum. I due vengono messi sotto scorta. Sì perché la vicenda di Ponte di Nanto passa in brevissimo tempo da fatto di cronaca a questione politica. «C’era l’esasperazione della gente, tantissima gente, vittima di reati o che temeva di diventarlo. Dalla legittima difesa al suo eventuale eccesso, si è passati a discutere di sicurezza, certezza della pena, sovraffollamento carcerario, fino alle sanzioni che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva comminato all’Italia e alla riforma del codice penale. Fui invitato a Bruxelles a un convegno sulla legittima difesa nei paesi dell’Unione. I casi analoghi al mio aumentavano, intanto, altre rapine, altro sangue. Ci dicono che le armi non sono la soluzione, e lo so bene. Ma perché allora non abbiamo alcuna alternativa per difenderci?».
La vicenda ha un coinvolgimento popolare ed emotivo senza precedenti, si organizzano fiaccolate, manifestazioni. Stacchio, l’eroe del Bisatto, gode della solidarietà della gente del posto, ma non di quella dei media che iniziano a dipingerlo come un giustiziere, a parlare di Far West, fioccano i racconti del nomade che aveva messo la testa a posto e cercava di cambiare vita, vittima di un uomo dal grilletto facile: «Se Stacchio fosse rimasto fermo, nessuno rischiava la vita», «se saranno accertate le sue responsabilità è logico pensare a un risarcimento alla famiglia del rapinatore ucciso», «se sentirà l’esigenza di chiedere scusa alla vedova, tutti gliene saranno grati», sono le parole dell’avvocato della famiglia Cassol Francesco Murgia. «Siamo tutti con te», «eroe», «faccio le magliette con la scritta “Io sto con Stacchio”», sono invece le parole dei compaesani, dei militanti della Lega e del sindaco di Albettone Joe Formaggio, noto per le sue posizioni estreme in fatto di immigrazione. «Eroe no, non avrei mai pensato di rivolgere un’arma contro qualcuno, non avrei mai sparato per uccidere, io non ne sarei capace. Ma l’ho fatto. Non chiamatemi eroe».
Difendersi da un’accusa di eccesso di legittima difesa costa. Il Giornale ha calcolato dai 40 ai 100 mila euro. A Stacchio sono occorsi 16 mesi e quasi 40 mila euro di spese legali per essere archiviato senza nemmeno andare a processo, perché la difesa avrebbe sulla carta gli stessi diritti dell’accusa, ma le perizie, gli avvocati, li paga l’accusato, mentre l’accusa e le indagini le paga lo Stato, cioè noi, cioè lo stesso indagato, e se lo assolvono o lo prosciolgono senza processo non può nemmeno detrarre l’esborso dalle tasse.
Stessa cifra per Franco Birolo, condannato a due anni e otto mesi di carcere e al pagamento di 325 mila euro alla figlia del moldavo ucciso durante un tentativo di rapina nella sua tabaccheria a Civè di Correzzola (Pd) e poi assolto in appello. Birolo insieme a Stacchio e tanti altri come il macellaio di Legnaro Walter Onichini, accusato di tentato omicidio per aver sparato a un albanese che si era introdotto in casa sua (un mutuo e 60 mila euro di risparmi usati tutti per le spese legali) hanno dato vita all’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. «Spese legali, mediche, i danni: chi ci risarcisce? Nessuno. Così ci diamo una mano», spiega Stacchio. «E chiediamo una legge più severa, fermezza, la sospensione della condizionale sui reati predatori, pene certe sulla violazione di domicilio, furti, rapine e senza sconti sulle armi da guerra».
«Non ero io il bandito»
La Corte costituzionale ha bocciato il fondo istituito dalla Regione guidata da Luca Zaia per contribuire alle spese sostenute dai cittadini veneti accusati di eccesso di legittima difesa. Sono avanzati molti degli 80 mila euro raccolti dalla macchina della solidarietà guidata da Figisc-Confcommercio per aiutare Stacchio a sostenere le spese. Zancan ha creato una linea di gioielli apposta, la gente del posto si è messa in fila per fare benzina al suo distributore. Il resto è una storia che è diventata un libro, L’inferno di Ponte di Nanto. Il dramma di Graziano Stacchio e Robertino Zancan (Mazzanti, 2016), scritto dal capo della squadra mobile veneziana Paolo Citran con prefazione del procuratore aggiunto Carlo Nordio.
Caso archiviato: per il giudice Stacchio ha risposto a una minaccia mortale con un mezzo proporzionato, cercando di non colpire parti vitali dei rapinatori. Nel frattempo, il figlio di Cassol è stato arrestato un paio di volte per furto, il commando di banditi viene indagato per altri reati, e il 20 aprile scorso è arrivata la condanna a nove anni e dieci mesi di reclusione per Oriano Derlesi, giostraio veneziano che aveva preso parte all’assalto di Ponte di Nanto, l’unico a finire a processo, con l’accusa di duplice tentato omicidio nei confronti di Zancan e Stacchio.
«Mi sono chiesto tante volte se rifarei quello che ho fatto il 3 febbraio 2015 e la risposta è sì», confessa il benzinaio a Tempi. «Sono stato trattato come uno che chiedeva allo Stato l’autorizzazione a impallinare chiunque violi la mia proprietà. No, io chiedo allo Stato, alla politica, di non lasciare a me il compito di dissuadere un malvivente dal depredarmi dei risparmi di una vita e minacciare con un mitra mia moglie e i miei figli. Sono appena diventato nonno per la settima volta. Non è compito mio trovare soluzioni, ma compito loro. Quanto ai fiumi di inchiostro versati per dipingermi come un giustiziere in un giorno di ordinaria follia ricordo che non sono io il bandito armato di kalashnikov che ha assaltato una gioielleria. Che la solidarietà non è un incitamento alla violenza. Non siamo burattini ma è come se lo fossimo. Non c’è nessuno che tira i fili anche se a volte sembra il contrario».
Foto Ansa
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