Non c’è nessuna maxi-inchiesta sugli abusi della Chiesa in Spagna

Di Caterina Giojelli
28 Dicembre 2021
Denunce anonime, accuse non verificate. Ecco perché la maggior parte dei casi arrivati alla email del País non finirebbe in tribunale, spiega José Luis Restán, direttore del gruppo Cope
epa08344384 Aranda de Duero's priest chairs a mass on occasion of Palm Sunday at the Santa Maria church in Aranda de Duero, Burgos, Spain, 05 April 2020. Easter celebrations have been canceled as Spain faces the 22nd consecutive day of mandatory home confinement in a bid to slow down the spread of the pandemic COVID-19 disease caused by the SARS-CoV-2 coronavirus. EPA/Paco Santamaria

Il 19 dicembre i titoli dei giornali italiani erano tutti uguali: a poche settimane dall’uscita del rapporto “choc” sugli abusi sessuali della chiesa francese la notizia era “Pedofilia, il Papa (o il Vaticano) apre una maxi-inchiesta sugli abusi in Spagna”. Un’inchiesta «senza precedenti», ha scritto il Fatto, «su 251 membri del clero e alcuni laici di istituzioni religiose accusati di abusi su minori documentati», e «che rischia di terremotare la Chiesa spagnola», sottolineava Repubblica, grazie al «lavoro approfondito, minuzioso, di un gruppo di reporter di El País per rompere il muro di omertà».

Cosa è successo? Per mettere ordine nella vicenda bisogna partire proprio da qui, dalla “banca dati” allestita dal quotidiano spagnolo con tanto di casella mail dedicata alle segnalazioni di abusi da parte del clero ([email protected]) e sezione online per consultare «l’elenco delle 251 denunce di abuso che El País ha consegnato al Vaticano e alla Chiesa spagnola raccolti in tre anni con imputati, data e luogo dei fatti», violenze avvenute tra il 1943 e il 2018 che porterebbero a 602 il numero di “mostri” noti in tonaca nella storia di Spagna e 1.237 vittime complessive.

Partiamo da qui perché a dispetto delle allusioni dei titoli e del rapporto richiesto a una commissione indipendente dalla Chiesa cattolica di Francia stessa, nel caso della Spagna «né il Papa, né alcun organismo vaticano, hanno ordinato questa fantasiosa maxi-inchiesta. Il dossier delle denunce raccolto da El País è stato consegnato a una persona dell’entourage del papa durante il suo viaggio in Grecia», ricorda a Tempi José Luis Restán, direttore editoriale del gruppo Cope.

E poi cosa è successo?
La Santa Sede ha ovviamente trasferito queste denunce alla Conferenza episcopale spagnola, che le ha affidate ai rispettivi destinatari: le diocesi e gli ordini religiosi interessati. Ora sarà possibile indagare, purché ci siano sufficienti riferimenti e dati. Teniamo presente che alcune denunce non riportano il nome del presunto colpevole, altre sono anonime, altre ancora non specificano nemmeno la data dell’abuso. La Chiesa ha detto chiaramente che indagherà per quanto possibile, anche se la maggior parte dei casi è caduta in prescrizione o i suoi protagonisti sono morti.

Si sapeva a cosa stava lavorando El País, la pubblicazione del dossier era attesa?
Sono tre anni che El País svolge la sua indagine sviluppando la narrazione secondo la quale la Chiesa spagnola non vuole assumersi le proprie responsabilità in materia di abusi. È vero che poco prima di consegnare il dossier all’entourage del Papa hanno avvisato la Conferenza episcopale: in questo senso sì, la pubblicazione era attesa, tuttavia il contenuto delle denunce era sconosciuto ai vescovi e agli ordini religiosi fino al momento in cui sono state pubblicate.

Come si è svolta l’inchiesta giornalistica? Queste accuse sono verificate e attendibili?
Il giornale ha creato una casella di posta elettronica cui indirizzare denunce e reclami, raccogliendo in tre anni varie storie. Dicono di aver vagliato le segnalazioni e tralasciato quelle meno credibili, eppure la gran parte delle denunce resta anonima. E molte sarebbero difficili da sostenere in un tribunale. Ciò non toglie che, una volta che Chiesa ne sia venuta a conoscenza, tutti i casi siano oggetto d’indagine, per quanto possibile.

Come hanno reagito i vescovi e le congregazioni coinvolte, e cosa succede ora a livello procedurale?
I vescovi e gli ordini sono rimasti stupiti che le denunce non siano state presentate negli oltre 70 uffici per la tutela dei minori e la prevenzione degli abusi aperti dalle diocesi spagnole proprio per accogliere e indagare ogni segnalazione, denuncia o reclamo. Hanno anche sottolineato che le denunce avanzate da El País sono di natura molto diversa, cosa che rende difficili le indagini: ripeto, il fatto che manchino i nomi degli accusati o l’indicazione degli anni in cui si sono verificati gli abusi, o il fatto stesso che si riferiscano a persone decedute complica certamente le cose. In ogni caso, vescovi e congregazioni hanno insistito per incoraggiare tutte le vittime a presentare le loro denunce nelle istituzioni legali, canoniche o sociali che meglio corrispondano alla loro volontà.

In Francia, in seguito al rapporto «scioccante», come l’ha definito lo stesso episcopato, si è scatenato un dibattito e la Chiesa ha messo in vendita immobili per risarcire le vittime di abusi. Tuttavia il rapporto Sauvé – è la denuncia di molti intellettuali (qui l’intervista di Tempi a Pierre Manent, tra gli autori del contro-rapporto che critica le falle dell’indagine) – è pieno di vizi metodologici, pregiudizi evidenti e poco rigore scientifico. In Spagna l’inchiesta ha provocato un dibattito tra laici e cattolici?
Non esiste un dibattito tra laici e cattolici a riguardo. Esiste però una campagna di El País per costruire un grande “caso”, in cui la Chiesa appare responsabile di un massiccio occultamento di abusi al suo interno negli ultimi cinquanta o sessant’anni. Il problema è che hanno cercato di costruirlo per molto tempo e con scarsi risultati. E sta di fatto che esistono studi indipendenti, come quello della Fondazione Anar, che indicano che solo lo 0,2 per cento degli abusi che si commettono nel nostro Paese è attribuito a sacerdoti o religiosi. Ovviamente gli abusi che ci sono stati, sempre troppi, restano in ogni caso per la Chiesa motivo di vergogna, di pentimento e, naturalmente, sono stati all’origine di una conversione, un cambio di mentalità e di procedure per affrontarli in atto da più di dieci anni. Non si può certo dire che la Chiesa in Spagna sia stata negligente o pigra, o che abbia trascurato le vittime. Quello che è certo è che nonostante la pressione di gruppi come El País, i vescovi spagnoli non seguiranno la “via francese”. A loro non interessa uno studio sociologico-statistico sugli abusi degli ultimi settant’anni che offra un titolo appariscente: vogliono affrontare ogni denuncia guardando negli occhi e nella storia delle vittime di questa tragedia, chiedendo perdono e cercando di accompagnare e curare le ferite.

Quali conseguenze avrà sulla Chiesa, già provata da tante questioni eticamente delicate (si pensi alla legge trans, alla legge sull’eutanasia e alla riforma della legge sull’aborto) in Spagna?
Ovviamente la pubblicazione di questo dossier tende a erodere l’immagine pubblica della Chiesa e, in parte, ci riesce. Ma non credo che sarà decisivo. Si parla molto della cattiva immagine e del discredito della Chiesa nella società spagnola, e senza negare che esista anche questo, il paradosso è che un’altissima percentuale di spagnoli continua a puntare sulla Chiesa quando educa i propri figli, praticando la solidarietà con i più poveri, o contribuendo gratuitamente con una parte delle proprie tasse per sostenerne l’attività. Quel che è certo è che la Chiesa deve cercare nuove forme di presenza nella società spagnola e non restare prigioniera di vecchi schemi. Deve mostrare la novità di vita che porta con sé, una novità che si manifesta attraverso la carità e una nuova cultura. Quello degli abusi non è un problema di strategia di autodifesa, ma un problema da affrontare con umiltà, determinazione e verità.

Foto Ansa

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