Le primarie convocate per il 16 dicembre da Angelino Alfano sono lì. Nello splendore di gazebo già approntati e che resteranno lì. Vuoti, inutilizzati, buoni per la prossima stagione di saldi. Il Popolo delle libertà non si disintegra. Semplicemente resta uno straccio di bandiera piantata in un campo di patate dove si susseguono riunioni tra mezzadri che si credono generali. Ma dov’è l’esercito che sfondò il Piave nel 2008? Dov’è lo stratega che mise la sinistra in rotta? E il comandante in capo chi è? Ultimamente, il prescelto a raccogliere il testimone di Kim Il Silvio doveva essere proprio l’attuale segretario, fautore e organizzatore delle prime primarie Pdl. E invece il capo è sempre lui, quello del ’94 e del ’96. Quello che non va alla presentazione del libro di Bruno Vespa ma, altro che padre nobile, altro che fare un passo indietro, avanti o di fianco. D’altronde, come dargli torto, chi ha il coraggio di sfidarlo a viso aperto e correre il rischio di perdere il posto, l’amicizia, il lusso di un capo che “faccio-tutto-mi”? E così, Silvio Berlusconi rischia di condannarsi a guidare l’ultima battaglia, il Pdl a perderla e il prossimo governo a chiamarsi Governo Bersani. E Vendola? A lui tutti gli scranni di genere, e che scelga pure tutti gli zapaterismi alla carta. Ma è sicuro, dicono agli alti comandi Pd: «A Nichi niente stanza dei bottoni». È ai democratici (altro che Sel), che spetterà l’incomodo (richiesto dalla cintura europea del fiscal compact e dagli impegni presi con Merkel per non fare innervosire lo spread) di convocare Mario Monti e pregarlo, a nome delle responsabilità civiche, nazionali e internazionali, di caricarsi sulle spalle il superministero dell’economia. Ciliegina sulla torta dell’esecutivo che verrà, dicono ancora le voci di Palazzo, sarà Romano Prodi al Quirinale. E con quest’altra polizza assicurativa, la partita della prossima legislatura dovrebbe essere chiusa.
Dovrebbe. Perchè non sai mai cosa può uscire dal bipolarismo Sinistre-Grillo. E comunque, questo è il quadro politico-istituzionale che si profila all’indomani delle prossime politiche: il partito-Stato a contenere malessere e spinte sociali. Le personalità cosiddette di “alto profilo istituzionale” a garanzia del debito pubblico e degli impegni presi con l’Europa. E il nodo della “magistratura combattente”? Si scioglierà? E chi lo scioglierà? Un meeting del governo Bersani con i vertici di Magistratura democratica? In tema di giustizia, assicura chi si appresta a salire a Palazzo Chigi, le risorse istituzionali saranno ben più cospicue di quelle del centrodestra.
Cos’altro può succedere adesso? Può succedere che nel fuoco attizzato dalla pretesa berlusconiana di ottenere una legge elettorale che gli garantisca il listino bloccato e l’election day per regionali e politiche, prima di Natale salti il governo. E sarebbe un’altra cataratta che si apre e un ennesimo atout per Grillo, per l’astensionismo e, appunto, per il neo bipolarismo Democratici-Cinque Stelle. Insomma, roba da regalare all’Italia il Guinness della piazza politica più pazza e masochista del mondo. In tutto questo bailamme un dato sembra comunque assodato: la famosa lista Monti dei Montenzemolo & C. sta andandosene a ramengo. Tant’è che l’improvvido Andrea Olivero si trova ora col cerino delle Acli in mano e per questo auspica «un’ampia alleanza con Bersani». Povero Olivero, purtroppo la politica è geometria. Non c’è trippa per i romantici. Un seggio al buon presidente aclista non lo negherà nessuno. Però, di un terzo polo che faccia da mediazione centrista e postcasiniana tra l’egemonìa democratica e l’opposizione antipolitica, non si vede l’ombra. Nè si vede dove una Lista Monti possa andare a prendere i voti.
Scoppole di qua e di là
Com’è noto, spremere sangue dalle rape non si può. Come non si possono nemmeno fermare le onde di burrasca. L’onda del popolo del pubblico impiego, del posto sindacalizzato e del disoccupato del sud, che in questa crisi tremenda corre a ripararsi sotto le ali del partito-Stato. E quella degli antipartito che si fanno partito a forza di ululati anticasate e storpiature fascistoidi degli istituti della democrazia parlamentare. A forza di “non statuti” e di “parlamentarie”. La protesta grillina interessa l’intero paese, viene rafforzata dai berlusconiani delusi ed è organizzata in forme giovaniliste, spavalde, borghesi; pianificata dai Casaleggio della rete, dai giornali manettari, quanto dai Rotary e No Tav club. In aggiunta a tutto ciò, autentico e spesso terzo polo, c’è il malessere per l’impoverimento generale che spinge l’onda di rigetto totale, il vaffa generalizzato a tutto e tutti: si manifesterà (come già accaduto in Sicilia) in una valanga di astensioni? Se questa è la sostanza del panorama politico attuale (per cui si spiegano le oscillazioni tra il 30 e il 34 per cento dei consensi attesi per il Pd, M5S stabilmente secondo partito al 18-20 per cento e quel che resta del Pdl tra il 13 e il 16, tutto il resto sta nella media del 5-6 di Lega, centristi, Sel, mentre Di Pietro è dato per morto), di Kim Il Silvio si può dire tutto. Eccetto che non sappia fare di conto. Già, perso per perso, chi è in grado di sfidarlo a casa sua, dopo che si è capito che Alfano è bravo ma non ce la fa proprio a seguire il Capo come se fosse il suo clone? Non c’è un euro in giro per fare comizi come Dio comanda e mettono alla campagna elettorale di ogni candidato pure il tetto massimo di spesa di 80 mila euro. L’unico che ha risorse finanziare che mobilitino militanti, indotto televisivo, giornali, gigantografie da smuovere il voto, è lui, il padrone di casa Pdl. Chi altri, al di là dei Montezemolo che ci possono mettere i denari degli imprenditori e gli avvisi a pagamento sui giornali (ma nemmeno una virgola fuori dal ruolo e dallo stipendio da Ferrari), ha la forza di mettere la faccia e sostenere una campagna elettorale in condizioni strategiche da copertura in ritirata? E via da Berlusconi, dove vanno i “nominati”? Sono bastate un paio di interviste del mite – ma ferocissimo quando comandato- Sandro Bondi a far capire l’antifona e a far squagliare il coraggio ai capitani coraggiosi. Scoppole a destra e a manca.
Rivivere antiche emozioni
Da Formigoni alla Roccella. Da Quagliariello a Sacconi. Dice che quelli sono i pidiellini più capaci politicamente e anche umanamente più leali. E allora? È la famosa storia di quando il gioco si fa duro. Dunque, Berlusconi attende una condanna per Ruby e, soprattutto, una sentenza della Cassazione sui 564 milioni che Fininvest ha dovuto gentilmente depositare nelle casse dell’Editoriale Repubblica-Espresso per sentenza di un giudice monocratico del tribunale di rito ambrosiano. Quel malloppo da capogiro giace ora immobilizzato in una banca, ben consapevole l’Ingegnere che l’Alta Corte potrebbe ribaltare il verdetto. O per lo meno ridimensionare il conto debenedettiano. E volete che non sia teso a recuperare almeno un po’ di quei denari e a salvaguardare gli altri beni al sole? Volete che le campagne elettorali trascorrano normali e lievi (c’è pure la Lombardia, imperdibile, pena una lunga stagione di ferie alle Bahamas) senza che lui, Silvio, carta e penna alla mano, non stia lì a calcolare e ricalcolare che a farsi da parte sempre lì finisce il conto, a zero? Prepariamoci perciò a rivivere le antiche emozioni. Perché, poi, l’alternativa quale sarebbe? L’alternativa sarebbe quella che dalla Lombardia consiglia Formigoni rilanciando la candidatura Alfano. Il Governatore uscente dice di avere avuto un lungo colloquio col Cavaliere. Spera di averlo convinto a non battezzare una sua ridottta di amazzoni e fedelissimi alla Bondi. Dice «sono un fautore della ricomposizione dell’unità del Pdl, non credo che l’ipotesi dello spacchettamento sia positiva, credo invece che un Pdl guidato da Angelino Alfano sia capace di attrarre di nuovo molti elettori». Sui “molti elettori” forse Formigoni si sbilancia un po’. Però, con quel poco vento a favore che ha il centrodestra, con Alfano, c’è caso che il Pdl ritrovi vitalità e futuro. Invece di cadere, d’autunno, come cadono le foglie.