«Sì, sì» o «no, no»? Francesco e le unioni civili
A un mese dalla pubblicazione della lettera Samaritanus bonus della Congregazione per la dottrina della fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, appare stridente il confronto tra la recezione di questo documento da parte dei mass media e nelle discussioni tra credenti e non credenti e quella riservata in questi giorni al documentario Francesco del regista e produttore cinematografico russo Evgeny Afineevsky, presentato nei giorni scorsi alla Festa del cinema di Roma, che contiene alcune espressioni di papa Francesco sulle relazioni sessuali omofile ed il loro riconoscimento giuridico, pronunciate in diverse circostanze e ora estrapolate dal contesto e rilanciate a spezzoni nel filmato.
Ciò che colpisce e ferisce chi ama la Chiesa perché sa di esserne figlio – o anche solo la stima, come alcuni non credenti che le riconoscono un’esperienza bimillenaria in umanità che li affascina – non è tanto la freddezza o l’acredine nei confronti della Samaritanus bonus, che è stata subito archiviata o cestinata dalla stampa e nel dibattito privato e pubblico, a confronto con l’entusiasmo e l’esaltazione di fronte al filmato e al suo presunto contenuto “rivoluzionario” rispetto al Magistero della Chiesa sulla omosessualità e le cosiddette “unioni civili”. Nella temperie culturale e sociale in cui viviamo, tutto questo era scontato o quasi. L’interesse o l’accoglienza verso ciò che la Chiesa dice non di rado è proporzionale al desiderio che l’ascoltatore ha di vedere condivisa o appoggiata la propria situazione personale o il proprio punto di vista, oppure l’opinione della maggioranza nella società in cui egli vive e di cui respira l’aria. Non è una novità: accadeva così anche per le parole dei profeti del popolo di Israele e per quelle di Gesù, come ben documentano i Vangeli.
La convenienza della chiarezza
Quello che fa riflettere e provoca alcune considerazioni, scomode per chi le esterna non meno che per chi le riceve, è l’osservazione che la lettera della Congregazione è stata accolta o rigettata per quello che realmente dice ed che è stata capace di trasmettere inequivocabilmente ai cattolici e ai “laici” che l’hanno letta. Il giudizio in essa contenuto circa le cure dovute agli ammalati inguaribili, l’eutanasia, il suicidio assistito, il cosiddetto “accanimento terapeutico”, la sospensione di idratazione e nutrizione, la sedazione del dolore ed altro ancora è stato formulato e trasmesso con una modalità comunicativa e in termini tali da non dare adito a dubbi sulla posizione del Magistero in materia.
Si può essere d’accordo oppure no, si possono accettare o criticare le ragioni addotte a sostegno delle affermazioni che in essa si trovano, ma Samaritanus bonus – come innumerevoli altri testi del Magistero romano che la hanno preceduta – parla con un linguaggio sistemico e precisivo, che richiede pazienza e qualche fatica per essere compreso ma articola un discorso non ambiguo né oscuro o sfuggente, e per questo non facilmente strumentalizzabile da parte di coloro che accolgono questo insegnamento oppure lo rigettano. Dalla lettura di un testo così ci guadagnano tutti: sia chi vi trova conferma di una consonanza delle parole della Chiesa con il proprio pensare e agire, sia chi si studia di contraddire teoricamente o praticamente l’insegnamento della Chiesa. I “sì” e i “no” contenuti nella lettera sono scritti a caratteri chiari, nitidi e ben distesi.
Manipolazione facile
Al contrario, il messaggio lanciato dal documentario Francesco – al di là delle singole affermazioni riprese da dialoghi e interviste del Papa – utilizza un approccio comunicativo per immagini e parole frammentate e scoordinate ed un linguaggio disorganico e sfuocato che ben si prestano ad essere letti attraverso le lenti (spesso sfuocate, che distorcono la realtà) di chi cerca di trovare una conferma di quello che pensa e si attendeva, forzando le frasi a divenire eco stonata e rimbombante di una voce che desiderava udire oppure non si aspettava di ascoltare dal Sommo Pontefice.
Nonostante la chiara intenzione del Papa – reperibile anche nel documentario – di non modificare il Magistero della Chiesa di sempre in materia di omosessualità e convivenze omofile (di questo occorre senz’altro dare atto al Santo Padre), è stato possibile utilizzare con una certa facilità le sue parole, come le ha riproposte il filmato, per affermare il contrario di ciò che la Chiesa insegna, sia da parte di chi è entusiasta per questa sua presunta “svolta”, sia da parte di coloro che lamentano un supposto cambio di rotta inaccettabile.
Il prezzo della comodità
La perizia nel mostrare e nel celare una parte del pensiero del Papa, nell’accostare ciò che stato detto separatamente e nel disgiungere affermazioni che devono stare insieme, nello sfumare talune espressioni e nell’accentuarne altre, nel ritornare più volte su uno stesso concetto da posizioni diverse o addirittura opposte, nel richiamare immagini e situazioni che si prestano a interpretazioni differenti, legate al contesto cui si riferiscono: tutto questo ha come esito una fluidità comunicativa che rende l’ascolto più facile, gradevole perché meno impegnativo della lettura di un consueto testo magisteriale, ma che presta il fianco a non comprendere o a travisare la mens di chi parla dalla cattedra di Pietro.
I confini tra posizioni opposte appaiono sfumati e per questo più comodi da attraversare, addolcendo il profilo delle montagne che separano un’affermazione dalla sua negazione, il vero dal falso, i giusto dall’ingiusto, il bene dal male, l’accettabile dall’inaccettabile. Arrivando, talvolta, a violare anche i più elementari princìpi della logica, quello di identità e quello di non contraddizione. Ma è questo il prezzo che conviene pagare per una facilità, immediatezza di comunicazione dell’insegnamento del Magistero volta a risparmiare la fatica del pensare, o per un “nuovo linguaggio” degli addetti ai lavori adottato per risultare accattivante agli orecchi di chi è abituato sentire un altro genere di musica, più leggera e alla moda?
Parabole, non formule ad effetto
Ancora una volta, nella storia della Chiesa, nell’annuncio del messaggio cristiano occorre tornare alla “semplicità evangelica”, quella autentica che il nome “Francesco” richiama a chi è familiare con la figura del santo di Assisi. Nella sua predicazione e nei dialoghi (incontri o scontri verbali con i suoi interlocutori, allora come oggi sia benevoli che malevoli), Gesù si esprime in forma semplice, chiara e diretta, con parole e parabole che chiunque può intendere se apre ad esse il suo cuore e la sua mente, anche senza una laurea in filosofia o una licenza in teologia. Le parole del Nazareno fuggono da ogni ambiguità e non si lasciano intrappolare in schemi e dialettiche precostituiti. Non esimono chi le ascolta dalla fatica dell’intelligenza delle frasi, da una lettura attenta e riflessiva, da una meditazione paziente e prolungata. Non sono formule “ad effetto”, cattura-attenzione, espressioni che accarezzano la pigrizia di chi cerca “ricette” veloci da mordere per poi fuggire da esse quando si rivelano scomode, o affermazioni che inseguono il pensiero dominante, l’opinione di maggioranza, la cultura egemone duemila anni fa come oggi.
La regola aurea
La forma della comunicazione non è indifferente rispetto al messaggio che è chiamata a veicolare. Il messaggio cristiano chiede di essere comunicato, in ogni epoca e cultura, secondo il metodo della Rivelazione di Dio nel suo figlio Gesù, «annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento» alcuno (At 28,31). Ogni altra strategia verbale o espediente retorico che fa apparire come incerto ciò che è sicuro, come volubile quello che è immutabile, come superato quello che è invalicabile, non è un buon servizio reso al messaggio cristiano da parte di chi è chiamato a comunicarlo.
La “regola aurea” della comunicazione della fede e delle sue inseparabili implicazioni antropologiche, morali e sociali è quella incisa nel capitolo quinto del Vangelo di Matteo: «Il vostro parlare sia: “Sì, sì; no, no”» (Mt 5,37). Una regola che la Chiesa ha cercato di seguire, nel suo insegnamento e nel dialogo con i non credenti, per venti secoli, noncurante della sua “scorrettezza” secondo i canoni culturali, etici e sociali del tempo, e del suo “dispiacere” al mondo per “piacere” al Signore. Ogni scorciatoia facile e indolore per evitare di finire sotto l’accusa di non essere al passo con il mainstream espone al dramma serio della vita cristiana: come hanno detto Pietro e gli apostoli dinnanzi al Sinedrio, «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29).
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!