Per il mondiale nipponico riscopriremo il mito dell’“Estremo Oriente antico e misterioso”, più affine a mistici mantra e alle astrusità zen che alla fredda linearità occidentale? Dovremmo dire “sì”, volendo rispolverare un po’ di romanticismo coloniale. No, se è vero come è vero che le grandi compagnie asiatiche (Honda, Sony, Toyota eccetera) non sono andate alla conquista dei mercati internazionali armate di esotismi. Ci butteremo allora sul tema del riuscito “equilibrio di antico e moderno”, geishe e robot, monaci e computer? Anche qui: al di là dell’esotico fumo d’incenso, c’è poca sostanza. Certamente terra di miti il Giappone lo è – a partire da quelle 800.000 divinità di cui si dice essere la patria – miti liberamente accolti o costruiti in Occidente, che così si è trovato liberato dalla fatica di immedesimarsi in una società che gli è profondamente estranea. E allora tutti a immaginarsi un Giappone spirituale ed edenico, che una volta c’era e adesso non c’è più. Ma al di là dei miti, cos’è il “Giappone”? Quando nel 1800 gli occidentali tornarono a bordo delle loro cannoniere, ai giapponesi non rimase che rispondere proprio a questa domanda. E si convinsero che la soluzione era adottare le strategie e tecnologie dell’Occidente. Da allora prese avvio la cosiddetta modernizzazione del paese, che nel giro di pochi decenni trasformò una contrada feudale armata di spade ed archibugi in un paese centralizzato con la sua bella flotta di cannoniere pesanti. La strategia sembrò ripagare quando l’imperialismo e colonialismo nipponico, sulle ali dell’affondamento a Tsushima della flotta zarista nel 1905, valse un impero coloniale e il riconoscimento, se non proprio il rispetto, delle Grandi Potenze occidentali. Il credo espansionista generò il mito della prodezza militare e dell’imperatore-dio e di vittoria in vittoria portò infine il Giappone alla sconfitta totale della Seconda Guerra Mondiale. I bombardamenti americani, e massimamente quelli atomici, avevano purgato il paese dai sogni di gloria di Grande Potenza. Si trattò allora di ricominciare daccapo, ripartendo dalla desolazione di un paese letteralmente raso al suolo. Come in Germania e in Italia, la gente si rimboccò le maniche e non si fermò più. Il Giappone divenne la seconda economia mondiale e raggiunse il suo apogeo agli inizi dei formidabili anni ‘80. Poi l’ennesimo sogno svanì, tradito da un sistema finanziario minato dall’orgoglio e imploso nella cosiddetta “bubble economy”, l’economia della bolla di sapone dove valori e prezzi non rispecchiavano più la realtà. Da 10 anni a questa parte è in scena il film della recessione e quello di un altro mito infranto per il Giappone, quello dell’invincibilità economica. È questo il Giappone di oggi, un paese che pur rimanendo la seconda potenza economica mondiale, sembra proprio non sapere dove sta andando. Da qui le grandi insicurezze sociali che lo tormentano. Da qui l’inquietudine mai spenta della follia dell’Aum Shinrikyo, il gruppo terrorista che tentò di avvelenare con il gas Sarin i milioni di viaggiatori della metropolitana di Tokyo. E poi gli scandali politici che fanno molta paura e ancor più clamore per l’incertezza rispetto alla leadership che producono sul popolo. Per questo la delinquenza giovanile fa tanta paura e ogni delitto o impresa di un folle, ripresi ed amplificati dai media, causano tanta emozione; perché sembrano annunciare il crollo dell’antico patto (o mito) nipponico di astenersi da pratiche antisociali per il buon vivere della comunità. Ma dov’è il Giappone chic e raffinato che ci presentano sulle pagine di riviste patinate e fa vendere tanto bene letti duri e bassi di cui i giapponesi stessi fanno volentieri a meno? Che realtà c’è dietro quelle fotografie di giovani spensierati e bizzarramente agghindati che le case di moda ci presentano a compendio dei loro cataloghi? Immagini e miti commerciali, niente di più, niente di meno. Pure va detto che i grandi magazzini e centri commerciali rimangono affollati a tutte le ore di tutti i giorni della settimana anche se sicuramente si compra meno e si è più sensibili a saldi e svendite di fine stagione. E rimangono affollati i treni dei pendolari che portano avanti e indietro l’esercito degli impiegati: una volta lavoravano come schiavi per la scalata sociale, oggi per non perdere il necessario e difendere le conquiste da media borghesia formatasi nell’era del boom. Sempre affollati anche gli esami per le scuole e università più prestigiose, perché anche se nessuno crede più nel mito che università rinomate garantiscono educazione di qualità superiore, è pur vero che rimangono gli unici trampolini di lancio per i posti di lavoro più ambiti. Pertanto, nonostante le incertezze, il Giappone non si ferma mai, neanche di notte, quando si fanno i lavori stradali per non ostacolare il traffico diurno.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
Codice ISSN
online 2499-4308 | cartaceo 2037-1241
Direttore responsabile
Emanuele Boffi