Scuole serali

Sentite Francesco, il Papa senza patria che viene a risvegliare un continente stordito

Di Gianmario Gatti - Mauro Grimoldi
15 Marzo 2013

È da un pezzo che il processo di marginalizzazione dell’Europa si è imposto come un fenomeno preoccupante. La crisi economica ha ulteriormente acuito una progressiva irrilevanza del vecchio continente sempre più isolato in una sorta di triste cronicario. Se qualche decina di anni fa ci fossimo affacciati al balcone portoghese che dà sull’Atlantico avremmo visto i nostri dirimpettai statunitensi salutarci con attenzione e simpatia dalle loro finestre bostoniane o newyorkesi. Oggi il baricentro del mondo si colloca tra le sponde del Pacifico e gli americani salutano con la manina i loro nuovi interlocutori cinesi. Il nostro Continente manca di politica, di iniziativa, di fantasia operosa e di futuro.

Un rapporto del National Intelligence Council, che studia i probabili scenari del prossimo futuro, vede profilarsi all’orizzonte un’Europa sempre più popolata da vecchi e perciò esposta a flussi migratori crescenti, se non interverrà un’inversione decisa di tendenza nel nostro tasso di natalità. Siamo insomma a rischio di estinzione. E sembriamo avviarci tristemente sul viale del nostro tramonto rassegnati a un destino ineluttabile, mentre difendiamo testardamente i rigurgiti di un esasperato individualismo piccolo-borghese e li esigiamo come diritti. Le note parole di Teilhard de Chardin sono più che un colore di fondo dell’epoca che stiamo vivendo: «…il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame né la peste, è invece quella malattia spirituale, la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di vivere».

Quando abbiamo sentito pronunciare il nome del nuovo Pontefice è stato difficile non pensare al nostro Occidente logorato e all’impressione che farà a un argentino venire a risiedere a Roma, compiendo lui, con le sue origini piemontesi, in senso opposto il viaggio che molti italiani hanno dovuto affrontare tanto tempo  fa, per cercare fortuna lontano da casa. È davvero un Papa senza patria che può risvegliare un continente, un mondo stordito mentre la barca scivola placidamente verso il baratro! Perciò è più che una flebile curiosità, ma  piuttosto una decisione senza riserve quella che ci spinge a seguire il vento dello Spirito che soffia nella vela della Chiesa, e degli uomini, e del mondo, provocando la lieta sorpresa di questa nomina. Specialmente se consideriamo queste brevi risposte contenute in una intervista con l’allora arcivescovo di Buenos Aires, che il mensile 30 giorni pubblicava alla fine del 2007.

Ai miei sacerdoti ho detto: «Fate tutto quello che dovete, i vostri doveri ministeriali li sapete, prendetevi le vostre responsabilità e poi lasciate aperta la porta». I nostri sociologi religiosi ci dicono che linflusso di una parrocchia è di seicento metri intorno a questa. A Buenos Aires ci sono circa duemila metri tra una parrocchia e laltra. Ho detto allora ai sacerdoti: «Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po con quella gente, faccia un po di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono». Un parroco mi ha detto: «Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa». «Ma perché?» gli ho chiesto: «Adesso vengono a messa?». «No», ha risposto. E allora! Uscire da sé stessi è uscire anche dal recinto dellorto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono lorizzonte che è di Dio.

Questo vale anche per i laici
La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati È proprio una complicità peccatrice. E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane del Giappone che erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li ritrovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la Chiesa e tutti i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solamente il battesimo e avevano vissuto anche la loro missione apostolica in virtù del solo battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza

Noi, Giapponesi d’ Europa, come gli abitanti dell’isola inospitale raccontata nel grande, vecchio film Dio ha bisogno degli uomini!?! Straordinario!

Che cosa si dovrebbe fare?
Guardare la nostra gente non per come dovrebbe essere ma per com’è e vedere cosa è necessario. Senza previsioni e ricette ma con apertura generosa. Per le ferite e le fragilità Dio parlò. Permettere al Signore di parlare In un mondo che non riusciamo a interessare con le parole che noi diciamo, solo la Sua presenza che ci ama e che ci salva può interessare. Il fervore apostolico si rinnova perché testimoni di Colui che ci ha amato per primo.

Per lei, quindi, qual è la cosa peggiore che può accadere nella Chiesa?
È quella che De Lubac chiama «mondanità spirituale». È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. «È peggiore», dice De Lubac, «più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini». La mondanità spirituale è mettere al centro sé stessi. È quello che Gesù vede in atto tra i farisei: «… Voi che vi date gloria. Che date gloria a voi stessi, gli uni agli altri».

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