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Home Cultura

“Sei come sei”, patetico manifesto lgbt dove pure i maschi (gay) aspettano «la sveglia biologica» per affittare un utero

Quanti motivi per non leggere il nuovo romanzo della Mazzucco (già Premio Strega). Una storia piena di ideologia, luoghi comuni e stereotipi inseriti a sproposito

Francesco Amicone
28/10/2013 - 3:20
Cultura
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Un giorno una studentessa universitaria scoprì che alcuni paragrafi di un romanzo italiano famosissimo, che aveva vinto il Premio Strega, erano stati copiati da Guerra e Pace di Lev Tolstoj. Il romanzo incriminato era Vita. L’autrice, Melania Mazzucco, interrogata, si giustificò così: quando stavo «scrivendo il romanzo non vi ho proprio pensato coscientemente». Tolstoj era affiorato da solo. La passò liscia.
Sono trascorsi dieci anni da allora. Mazzucco, si può dire, ha voltato pagina. Dopo aver narrato l’amore lesbico, lo stalking e la guerra al terrorismo, ha deciso di affrontare un altro argomento scottante, molto lontano dalle tematiche tolstoiane: coppie omosessuali alle prese con la maternità surrogata. In Sei come sei (Einaudi), la scrittrice narra delle vicissitudini di un’adolescente, Eva, figlia di una coppia omosessuale falcidiata dal lutto e perseguitata dall’ingiustizia umana, che deve affrontare «la soma del pregiudizio e delle incomprensioni» (Michele Serra, la Repubblica) in un paese arretrato sul fronte dei «diritti Glbt» come l’Italia. Il libro è accessibile a tutti i lettori con un portafoglio e una licenza di quinta elementare disposti a spendere 17 euro e 50 cents per acquistarlo. Per ulteriori ragguagli, si legga sotto.

LA TRAMA. Eva è una «bambina precoce dall’intelligenza non comune». Dopo la morte di Christian, uno dei suoi padri gay, è stata adottata dagli zii. Eva vive con loro a Milano. Durante una gita scolastica, la ragazzina è vittima di un episodio di bullismo omofobo perpetrato dai suoi compagni di classe. Si ribella e butta un compagno sotto la metropolitana. Pensando di averlo ucciso, Eva fugge in treno da suo padre Yuma, che dal giorno della morte di Christian e dell’affidamento della bambina agli zii, vive ritirato sugli Appennini. Yuma ed Eva passano qualche ora insieme. Infine tornano a Milano. Il romanzo si conclude in un ospedale dove è ricoverato il bambino che Eva ha buttato sotto la metro. Nelle intenzioni della scrittrice, la storia di questa famiglia gay dovrebbe essere «un viaggio nell’Italia di oggi, ma soprattutto nella crescita».

FAMIGLIA NORMALE? «Due genitori gay, una figlia, una famiglia normale», recita la quarta di copertina. Una slogan a dir poco stravagante. Perché tutto si può dire della famiglia formata da Christian, Yuma ed Eva, meno che sia normale. Il primo motivo è semplice: Eva è stata concepita in Armenia, da una brava signorina che in cambio di una discreta sommetta ha offerto il proprio utero al seme di Christian. Cosa c’è di normale? Quante famiglie normali oggi avrebbero a disposizione decine di migliaia di euro per comprare una gravidanza in un paese esotico? Quante sarebbero disposte a farlo? Pochissime, senza dubbio. Non bastasse questo, sono i personaggi stessi, come li descrive l’autrice, a non essere affatto normali.

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EVA. Eva «non è una bambina qualunque», spiega Mazzucco. È «curiosa, acuta e pungente», ha gli occhi cangianti e persino la pelle, che nel romanzo è prima scura, mediterranea, e in un secondo momento è bianca, di porcellana. Eva è un’adolescente dottissima (vuole fare la malacologa) che possiede altre capacità, oltre a quella di cambiare il colore della pelle. Per esempio sa scrivere come Melania Mazzucco. Nell’introduzione, redatta dalla stessa Eva, si noterà l’uso smodato del trattino. Il medesimo uso ne fa Melania Mazzucco, e solo lei. Con il trattino Eva, come Mazzucco, sostituisce le congiunzioni e la punteggiatura. Il trattino sostituisce “e”, “o”, “perché”, “virgola”, “punto e virgola”, “due punti”, “punto”. Eva, come Mazzucco, lo adotta per segnalare un inciso, ma non per il discorso diretto. Alcuni esempi dell’uso del trattino reperiti in un testo di Eva: «Perché ritengo scontato mentire – ci si aspetta che le donne non dicano la verità»; «I nati sotto il segno del cavallo amano viaggiare – criniera al vento»; «Non è importante il numero – è solo un segno».

CHRISTIAN. All’apparenza Christian è un personaggio molto comune. Ma si tratta di un inganno. Mazzucco spiega che Christian è un ricercatore universitario e un «fanatico fautore della scuola pubblica». Scorrendo le pagine si scopre che è «riservato, timido, schivo», che vuole «vivere in armonia con il creato», che è «pudico come una fanciulla dell’ottocento». Christian, a cui non piace andare in moto, e che rispetta «sempre la legge», muore in un incidente in moto dopo aver violato il codice della strada. Lascia il compagno Yuma e la figlia Eva. Sulle cause dell’incidente prova a gettare una luce il narratore: quel giorno «forse un gatto gli aveva attraversato la strada». Forse «un cane, un capriolo o un porcospino». Christian non muore perché guida a 120 all’ora su una stradicciola di campagna o perché non sa guidare una moto. Non muore nemmeno per evitare uno scontro. Muore perché «non avrebbe mai schiacciato un animale sotto le ruote», «nemmeno un rospo». Perché «avrebbe pensato prima alla bestia che a se stesso». Le fondamentali regole della natura umana, e di ogni essere vivente, come l’istinto di sopravvivenza, si annichiliscono di fronte all’aura emanata da Christian. Lo conferma un altro fatto: a differenza di tutti gli esseri umani maschi sani, il cui corpo è in grado di concepire un figlio in età adolescenziale, Christian è costretto ad attendere l’età di mezzo e la chiamata di una poetica «sveglia biologica». Racconta il narratore: andava verso i trent’anni e a un certo punto sentì che la sveglia «trillava», che «il momento era venuto», che «il suo corpo era pronto». A quel punto Christian si sente in grado di andare in cerca di un compagno con il quale poter condividere non solo il letto, ma anche un bebè e un utero in affitto.

YUMA-GIOSE-GIUSEPPE. Christian, dopo aver inutilmente cercato fra tanti bei ragazzi la dolce metà, finalmente la trova in Giuseppe, detto Yuma, a volte anche Giose. Con lui, Christian pensa di poter trovare risposta al suo desiderio di paternità. Certo, Yuma è un cantante gay fallito, non il padre perfetto. Ma è anche «bello e maledetto» quanto basta per condividere con lui la chiamata della Sveglia Biologica. Perciò si recano insieme in Armenia e acquistano un utero. Nove mesi dopo nasce Eva. Porteranno la neonata in Italia e la alleveranno con sapienza paterna. Nemmeno Yuma è una persona normale: ha un «viso d’angelo arrogante», «il pepe nel sangue» e «indossa vestiti stravaganti». È «estroverso, disponibile, distratto, vistoso ed estremo» e, non si vergogna «di lasciarsi guardare dentro». Come se non bastasse, sente le voci. Per esempio quella di Christian, il giorno della sua morte, che lo rimprovera (sorridendo) mentre vaga disperato per i colli di Roma. «Che fai, Giose, dove te ne vai a quest’ora?», gli dice Christian. Non è finita. Yuma è perseguitato dal fantasma del padre, persona cattiva, aspra e analfabeta, che ha sempre tentato di castrare i suoi sogni e le sue ambizioni. Afflitto da queste turbe, e dalla perdita della potestà genitoriale di Eva, Yuma va a vivere sugli Appenini laziali, dove cerca, fallendo miseramente, di aprire un ristorante che avrebbe dedicato non a Christian, non a Eva, ma al Cigno Nero, in quanto, ci informa il narratore, «animale sessualmente indeciso».

SESSO E SORRISI. Il romanzo è immerso in una coltre di tenerezza, di «amore di papà», sorrisi e bacini e solletico ai piedini. Già nelle prime pagine del romanzo si esauriscono tutte le possibilità di sorridere. Dopo un «sorriso ingenuo», un «sorriso indulgente», un «sorriso mesto», si arriva alla sostituzione del parlare, del domandare, del rispondere, con il sorridere. È una mitragliata di sorrisi. Nella famiglia di Yuma, Christian ed Eva non si fa altro. Qualsiasi cosa accada. Yuma spalma la fetta al latte con la conserva per Eva, e sorride, le calca il berrettino con il paraorecchie di pelliccia, e sorride. Vede il fantasma di Christian e sorride. Sorride persino il fantasma. E quando Eva non sorride è solo perché le fanno «male i denti», a causa di «sacchetti di caramelle tanto dolci». In questa atmosfera di miele e zucchero, c’è anche poco spazio per il sesso, che compare in un cammeo malinconico e dal sapore amaro (una fellatio omosessuale in una doccia dopo gli allenamenti di calcio).

LUOGHI COMUNI. La narrazione si offre ricca di sentenze apodittiche di questo tenore: «la vita non si baratta», «i bambini non guidano», «i lupi evitano gli esseri umani», «le suocere vorrebbero per il proprio figlio lo sposo perfetto». E formule più ardite: «l’invisibilità è un privilegio», «la sfortuna si compensa», «il bene e il male si tengono in equilibrio». O anche: la scuola «ha subito troppi tagli», le professoresse «scendono in trincea, piuttosto che privare i ragazzi di ciò di cui hanno diritto», la scuola pubblica è «una delle poche istituzioni meritorie dello stato italiano». Le sentenze apodittiche vengono abbinate anche a coppie di parole che non brillano certo per originalità come «shopping selvaggio», «gesto efferato», «errore irreparabile», «bello e maledetto», «valori non negoziabili», «fortino inespugnabile», «campo minato», «affinità elettiva», e via dicendo.
Conclusione? Evitare di leggere questo libro.

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