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Se volete dei buoni giudici intervenite sui loro “seminari”

Ecco perché e come bisogna approfittare del Recovery Fund per riformare la magistratura e porre finalmente rimedio ai tre grandi scandali della giustizia italiana

Alfredo Mantovano
17/03/2021 - 16:34
Giustizia, Magazine
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Magistrati in toga

Quando la “riforma” luterana ruppe l’unità della cristianità europea, la Riforma vera, quella realizzata col Concilio di Trento, promosse l’istituzione dei seminari quale luogo dedicato alla formazione tendenzialmente omogenea e salda dei sacerdoti, in un contesto che ne aveva visto abbassare il profilo medio, con la formazione che in precedenza era stata lasciata per lo più alla buona volontà degli ordinari diocesani. Il nesso fra qualità del sacerdote e seminario resta stretto oggi, perché la crisi delle vocazioni è crisi anche dei luoghi di formazione.

Il richiamo alle vicende ecclesiali di cinque secoli fa non è eccentrico rispetto alle vicende di oggi della magistratura. Con tutte le distinzioni da fare fra i due ambiti, è però innegabile che il giudice incide sulla carne e sul sangue delle persone, e – per quanto di sua competenza – sia chiamato a indicare la via giusta nel caso concreto, un po’ come fa il sacerdote quando qualcuno gli si rivolge. Indossa financo una veste nera non dissimile da quella che ogni sacerdote dovrebbe indossare. Nessuna riforma, di codici, di leggi, di ordinamenti, è immaginabile se si saltano le voci relative alla formazione, allo statuto, alla progressione in carriera e al grado di responsabilità di chi quei codici e quelle leggi è chiamato ad applicare (così come nessuna riforma della vita consacrata era pensabile cinque secoli fa senza una radicale incidenza sul modo di essere sacerdoti).

Quando perciò si legge nell’ultima bozza del Recovery Plan (quella diffusa a metà gennaio) la sezione dedicata alla giustizia – una sezione per la verità tanto limitata quanto le risorse che prevede di destinare al settore –, si constata un eccesso di fiducia, per usare un eufemismo, nelle virtù taumaturgiche della digitalizzazione, e una attenzione quasi inesistente a quello che potrebbe definirsi il “capitale umano” dedito alla giurisdizione. Eppure è dalla cura di esso che dipendono i tre numeri-scandalo dell’amministrazione della giustizia: il denaro pubblico che viene speso per indennizzare le ingiuste detenzioni, i procedimenti penali che si estinguono per prescrizione, i magistrati sottoposti a giudizio o condannati. 

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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A questi numeri, con cui i governi e i parlamenti avrebbero dovuto confrontarsi già da tempo, invece che lasciarli progressivamente lievitare, si somma – e qui la “ripresa” e lo “sviluppo” sono chiamati in causa direttamente – il numero smisurato di indagini avviate su fronti di rilevante interesse collettivo, che grazie a sequestri, informazioni di garanzia e talora pure arresti, comunicati “live” per provocare il maggior danno, fermano interventi istituzionali spesso strategici, e poi si concludono nel nulla: le macerie dell’Ilva e le ceneri degli ulivi pugliesi distrutti dalla xylella sono due fra numerosi esempi di scelte giudiziarie ideologizzate, che costituiscono parte dei problemi nazionali, e non della loro soluzione.

L’equilibro instabile della maggioranza che regge il nuovo esecutivo non rende prevedibili gli sviluppi riformatori che sarebbero necessari e indilazionabili: ed è un peccato, perché in assenza di riforme vere sulla separazione delle carriere, sul procedimento disciplinare dei magistrati, sull’accesso alla funzione e sulla titolarità degli uffici direttivi, è illusorio sperare che qualcosa cambi nelle aule giudiziarie. È però auspicabile che se sul capitale umano non si pensa di intervenire quanto al profilo qualitativo, per lo meno si tratti l’aspetto quantitativo, utilizzando a tal fine le risorse aggiuntive del Recovery Fund. 

Profilo quantitativo significa incremento del personale, e quindi nuovi concorsi per chi lavora nelle cancellerie, ma prima per la magistratura togata. Una parte dei giudizi, soprattutto in primo grado, viene gestita da giudici onorari, quindi non incardinati in ruolo, precari, mal pagati; l’intera giurisdizione tributaria di merito è nelle mani di magistrati che non sono a essa interamente dedicati, e peraltro sono nominati dal Mef, parte in causa dei giudizi. Il Recovery fornisce il denaro per assorbire costoro attraverso corsie concorsuali preferenziali. O ci sarà anche su questo l’opposizione militante dell’Anm, perché non si corra il rischio che un incremento dell’organico dei magistrati renda meno agevole il controllo correntizio?

Foto Ansa

Tags: Alfredo Mantovanomagistraturamario draghirecovery fundtempi marzo 2021
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