La preghiera del mattino
Se Salvini annaspa, non è che Letta o Gelmini abbiano grandi visioni
Su Formiche Carlo Fusi scrive: «La verità è che nessuno sembra possedere la necessaria lungimiranza per immaginare in che direzione far viaggiare il paese una volta chiuse le urne e l’esperienza di Draghi. Le convergenze politiche si strutturano sulla base di progetti e visioni comuni sul futuro. Al momento, ognuno sembra procedere per conto suo».
Fusi come tanti è sconcertato dall’annaspare di Matteo Salvini, ma da osservatore intelligente nota come il problema non sia solo del leader della Lega, bensì dell’insieme di un sistema politico privo di visione. E in effetti le esibite banalità di un Enrico Letta o di una Mariastella Gelmini sono tutto tranne che una visione politica.
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Su Open si scrive: «Le forze dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk hanno annunciato di aver raggiunto “il pieno controllo” della città di Lyman, nel Donbass. Secondo un leader separatista filorusso del Donbass, inoltre, “più di 5.000 ucraini sono tenuti prigionieri nei territori di Donetsk”».
C’è un’inammissibile aggressione di Mosca a Kiev e insieme c’è una guerra civile tra ucraini e ucraini, tra i quali quelli etnicamente russi (non filorussi ma più propriamente russi) sono stati discriminati e in qualche modo sottomessi. Questo spiega anche come la guerra stia prendendo un altro ritmo quando contro Kiev c’è anche chi si batte per i propri diritti.
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Su Strisciarossa Oreste Pivetta scrive: «Fermiamoci a quei dati, ovviamente smentiti dai concessionari in lotta, che negano tutto, assicurano di pagare il giusto e chiedono, nel caso di gara persa, equi indennizzi: cioè, spiegano, ho investito tanto, ho speso tanto, voglio essere ricompensato se non ne potrò più godere».
Anche Pivetta sostiene che dovremmo fare un po’ come in Spagna dove le spiagge sono libere e la concorrenza si può concentrare sulle licenze per i chioschi. Questa idea, non di imparare dai modelli stranieri ma di copiarli, è stata negli anni post ’92 largamente assunta per affrontare i problemi per esempio delle università o delle banche, producendo seri guasti per la nostra società e la nostra economia. Zone turistiche come quella ligure, quella della Versilia, quella romagnola hanno dato vita a un’industria turistica che ci è invidiata nel mondo. Possono essere corrette le storture, introdotti elementi di maggior competizione, ma tenendo conto della particolare forma economico sociale sulla quale si sta intervenendo. Non è un compito semplice per un sistema politico destabilizzato nel 1992 e destrutturato da Giorgio Napolitano tra il 2008 e il 2011, rendendo più semplice arrendersi alle influenze esterne che difendere alcuni interessi nazionali di fondo.
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Su Affaritaliani si riporta un intervento di Carlo Bonomi nel quale si dice: «Una parte del sindacato ha sempre risposto che avrebbe solo parlato con il governo, e non certo con noi: disconoscendo ogni possibilità di uno scambio di comune convergenza tra produttività e salari, nuove politiche attive del lavoro e nuovi ammortizzatori volti alla formazione e non più meri sussidi. Atteggiamento che il ministro Orlando ha del resto sempre incoraggiato, avendo a propria volta la stessa visione per cui il lavoro non va delegato alle parti sociali ma è la politica che lo decide, spesso ideologica. A questo effetto della lotta tra partiti e tra identità diverse del sindacato si è aggiunto il crescente ritardo e l’annacquamento progressivo delle riforme strutturali: dalla delega di riforma fiscale al ddl concorrenza, alle misure per la produttività».
Negli ultimi trenta anni, tranne che con Antonio Damato e Giorgio Squinzi, hanno diretto la Confindustria presidenti deboli, che, soprattutto da dopo il 2011, hanno puntato sul commissariamento della politica per difendere interessi marginali dell’industria, perdendo di vista quegli obiettivi strategici che solo governi politici possono affrontare. Lamentarsi che seminando vento si raccolga tempesta, chiaramente non è la soluzione.
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