Il decreto più atteso degli ultimi cinquant’anni non è arrivato. Non poteva. D’ora in poi, su questioni scottanti che coinvolgono non solo milioni di cittadini (le famiglie dei centocinquantamila precari e quelle del milione abbondante di studenti delle scuole pubbliche paritarie) il governo saprà che non gli conviene rischiare la faccia con un decreto legge (dl), ma tentare la sorte con un disegno di legge (ddl). I tempi sono cambiati: le opposizioni si oppongono, ma con riserva. Sulle questioni di principio le screpolature sono preziose, le fratturine indicano vita nuova. Qui si inserisce il presidente della Repubblica: esige dialogo, coinvolgimento di maggioranza e opposizioni. Ebbene sia, purché esso avvenga nella gestione ragionevole di tempi parlamentari che non uccidano le buone intenzioni, di chi governa e di chi è all’opposizione. Mattarella vuole serietà: ben venga il ddl (scarica qui il testo integrale), il non mostrare i muscoli, il dialogo parlamentare. Ma i cittadini mettono a punto il cronometro. Non c’è bisogno che lo dica il capo del governo: chi è attento al destino della scuola italiana sa che è cosa buona il dialogo, ma non all’infinito indeterminato futuro. Sul tappeto istituzionale c’è la carica dei centocinquantamila, ma anche la detrazione per le rette versate dal milione abbondante di famiglie italiane che esercitano la propria libertà di scelta educativa scegliendo la scuola pubblica paritaria. Un passaggio di diritto: solo per metterlo all’OdG l’Italia ha impiegato ben 66 anni dal 1948 ad oggi. Chi va piano…
La strada è tutta in salita ma è quella giusta: le detrazioni sono uno strumento di breve periodo, utili – più che a risolvere il problema – a sancire un passaggio culturale dal quale non si torna indietro.
I genitori di un milione e 200 mila studenti italiani, forse, da questo dibattito parlamentare potranno sentirsi figli di uno Stato di diritto che saprà garantire finalmente, dopo ben 66 anni, il più naturale dei diritti, riconosciuto dallo stesso Stato italiano ancor prima dell’Europa, la quale tuttavia ha dovuto richiamare l’Italia per oltre 30 anni – dal 1984 ad oggi – alle sue responsabilità.
Un bilancio delle certezze conquistate:
- Dal 1948 ad oggi si è assistito alla discriminazione degli allievi, figli di famiglie che, volendo caparbiamente esercitare il diritto alla libertà di scelta educativa, hanno affermato questa libertà indirizzandosi verso la scuola pubblica paritaria. Discriminazione che appare feroce verso i figli dei poveri, che non possono scegliere.
- È proprio la nostra Repubblica che ha riconosciuto loro questo diritto all’Art. 3 della Cost., in un pluralismo educativo all’art. 33; l’Europa, con le Risoluzioni del 1984 e del 2012 lo ha espressamente richiesto; la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rivendica la libertà di scelta educativa sia per l’individuo che per la famiglia.
- La famiglia, svuotata del proprio diritto, veniva trattata come incapace di esercitare la propria responsabilità educativa dell’art. 33, 2^ comma “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. Ad una famiglia che si vede costretta a pagare due volte per esercitare il proprio diritto, risponde un sistema scolastico statalista, considerando le famiglie tutte incapaci.
- L’art. 3 della Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” per tanti anni è apparso più che mai lettera morta, grazie ad una serie di discriminazioni sempre più intollerabili e all’ideologia coltivata nel terreno fertile della non conoscenza.
- La libertà di scelta educativa può esercitarsi solo ed unicamente in un pluralismo educativo come sancito dalla Costituzione italiana all’art. 33 e all’art. 118 “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Dunque, mentre è stato chiarito che publicum est pro populo, si è evidenziato che pubblico è ciò che è fatto per l’interesse pubblico, quindi non implica necessariamente e solo la gestione statale.
– Al di là dell’ideologia, cancro dell’intelligenza non del tutto estirpato, il cittadino italiano deve e può chiedere ad un Governo – che a) ha dichiarato che la scuola è il punto di partenza, b) ha affermato che la scuola pubblica è paritaria e statale con tutto ciò che implica – questo cittadino è obbligato a esigere che l’Italia, in quanto Stato di diritto, recuperi la propria responsabilità di attore capace di “garantire” i diritti che riconosce. Pena la contraddizione, che equivale a dire e disdire, cioè ad essere come un tronco (Aristotele).
Conseguenza per non essere “tronchi”: parlamentari di maggioranza e di opposizione schierati tutti a favore della libertà di scelta educativa della famiglia.
Quarantaquattro parlamentari del PD dichiarano senza mezzi termini, in una lettera aperta al Premier il 01.03.2015: “Come parlamentari della maggioranza che sostiene il governo, siamo convinti che lo slancio riformatore che esso sta portando avanti in molti campi debba tradursi in opere concrete anche a favore del pluralismo e della libertà di scelta educativa per le famiglie, senza ulteriori inaccettabili discriminazioni per quelle che intendono avvalersi delle scuole pubbliche paritarie. Si tratta semplicemente di ottemperare a quanto previsto già dalla Risoluzione del Parlamento Europeo approvata a Bruxelles il 14.3.84 e ribadito di recente nella Risoluzione del 4.10.12.”
Contro ogni logica politica della contrapposizione a priori, ecco il gesto responsabile dell’opposizione, anche questa con una lettera indirizzata al premier: “Caro presidente, ci uniamo alla lettera inviata dai 44 colleghi onorevoli esprimendo la più assoluta condivisione nelle richieste rivolte. Chiediamo che nel decreto per la «buona scuola» trovi piena realizzazione la “garanzia” del diritto alla libertà di scelta educativa della famiglia ampiamente riconosciuto dalle nostre Madri e dai nostri Padri Costituenti. troppi anni, infatti, esiste un gap tra il riconoscimento di questo diritto e la sua effettiva tutela”.
La scuola pubblica paritaria al pari della scuola pubblica statale fa pienamente parte di diritto e di fatto del sistema nazionale di istruzione ai sensi dell’art. 33 della Cost. e della L. 62/00. La scuola paritaria è scuola pubblica, sic et simpliciter. E l’offerta formativa pubblica deve essere fondata su una pluralità di scelta educativa, pena la dittatura e l’indottrinamento delle coscienze.
Chi non intende le ragioni del diritto, intenderà quelle dell’economia: le famiglie che scelgono la scuola pubblica paritaria pagano e le tasse per la pubblica statale e le rette per formare i loro figli. Dunque, triplo vantaggio: 1) offrono un gettito di imposta per la scuola statale a fondo perduto; 2) fanno risparmiare ben sei miliardi di euro allo Stato, costituenti un’entrata a fronte della mancata spesa, e 3) formano per la collettività cittadini in grado di produrre ricchezza con il loro lavoro. Attualmente, i cittadini lavoratori formati dalle scuole pubbliche paritarie non sono costati una lira allo Stato: semplicemente lo arricchiscono. Dunque gli convengono.
Ma in una democrazia non possono esistere cittadini di serie A e di serie B.
Pertanto ben venga la detrazione fiscale nel breve periodo, che si perfezioni speditamente verso il costo standard per allievo, fattore di efficienza e di sostenibilità nel buco nero della pubblica istruzione.
L’homo ideologicus dichiari apertamente che l’individuo, la famiglia non ha il diritto di scegliere l’educazione per il figlio e pertanto nonne ha la responsabilità; si dichiari inoltre schiavo della non conoscenza e schiavo di tutti come diceva il grande Luigi Sturzo: «Finché gli italiani non vinceranno la battaglia delle libertà scolastiche in tutti i gradi e in tutte le forme, resteranno sempre servi (…) di tutti perché non avranno respirato la vera libertà che fa padroni di se stessi e rispettosi e tolleranti degli altri, fin dai banchi della scuola, di una scuola veramente libera».
Foto scuola da Shutterstock