Mercati ancora altalenanti dopo qualche settimana di calma relativa. Ora tocca alla Spagna, che affronta la protesta di piazza contro il piano di austerità del governo Rajoy. Sergio Soave, editorialista de L’Avvenire e Il Foglio, ha seguito le agitazioni proprio dalla penisola iberica.
Com’è andata questa prima giornata di sciopero?
In realtà per gran parte della Spagna la prova di forza ha avuto pochissima efficacia: le banche, gli uffici pubblici e privati e le piccole imprese hanno lavorato come al solito. Si sono fermate solo alcune grandi imprese e i trasporti, mentre gli indignados hanno creato un po’ di scompiglio a Barcellona.
Un punto a favore per l’esecutivo Rajoy?
Quasi tutti i giornali spagnoli titolano così. Nel resto del mondo si parla invece di Spagna paralizzata e di una Barcellona sempre più simile ad Atene. Sembra quasi che lo sciopero abbia avuto più risonanza all’estero che in Spagna. Dobbiamo ricordare che gli spagnoli hanno votato Rajoy per insofferenza verso Zapatero, ma la situazione economica è così grave che presto il popolo spagnolo potrebbe rivoltarsi anche contro l’attuale maggioranza.
In questo momento Spagna e Italia sono due osservati speciali. Nonostante Monti abbia ottenuto molto credito tra i leader dei paesi esteri durante il suo tour asiatico, non mancano polemiche tra l’esecutivo e i partiti politico.
La situazione italiana è talmente straordinaria da aver messo in crisi le funzioni tradizionali. Il mandato di Monti è specifico e riguarda principalmente l’economia. Per le altre questioni, come la riforma elettorale, per esempio, i partiti, che tradizionalmente si suddividevano tra maggioranza e opposizione, ora devono distinguersi per la posizione che assumono su ogni argomento.
Monti intanto sta dettando l’agenda ai partiti, che sentono franare il consenso popolare sotto i piedi.
Per il premier entrare nell’agone politico è inevitabile. Monti era intenzionato a creare una grande coalizione con i segretari dei partiti alla vice presidenza, ma i partiti stessi hanno rifiutato l’offerta. Il professore sa benissimo che se scoppia una crisi tra esecutivo e Parlamento non si combina più niente.
Tensioni che rischiano di aumentare.
Il punto davvero critico è la riforma del mercato del lavoro, che fa parte del mandato di Monti e sulla quale il Pd ha fatto retromarcia.
Bersani quindi è destinato a chinare la testa di fronte alla Cgil?
Tutto dipenderà da come si muoverà il governo, se metterà la fiducia, alla fine, Bersani dovrà votarla, altrimenti rischia una rottura interna al partito. Ma mi sembra che l’esecutivo, senza tanti clamori, si sia già ammorbidito dopo la prima bozza.
Ma è così dirimente il problema della riforma dell’articolo 18?
È importante dal punto di vista politico e di immagine all’estero. Si è diffusa l’idea che in Italia non si possa licenziare e quindi non convenga investire nel nostro Paese. La mancanza di licenziamenti individuali ha generato il fenomeno dei licenziamenti collettivi che ha sperperato risorse pubbliche, con la cassa integrazione, la mobilità, i prepensionamenti e quant’altro. Un effetto dell’articolo 18 è il problema degli “esodati”, la spinta verso i licenziamenti collettivi. Non dobbiamo dimenticare che questa distorsione è avvenuta durante il governo D’Alema, quando il premier e l’allora ministro Treu, vedendosi impossibilitati a rivedere l’articolo 18 per le nuove assunzioni, si resero conto che il muro contro muro dei sindacati più ideologizzati si ripercuoteva nella indisponibilità degli imprenditori ad assumere. Pensarono di risolvere la questione inventando le forme più disparate di flessibilità in entrata, dando così il via al fenomento del precariato.
Converrà però che il problema dei cosiddetti “esodati” sia molto serio.
Assolutamente! Questo passaggio è stato un errore tecnico dei tecnici: hanno sbagliato la previsione dei lavoratori interessati. Un giorno o l’altro bisognerà andare a vedere quanti sbagli tecnici ha compiuti il governo tecnico, un vero paradosso.