Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La campagna mediatica volta a “legalizzare” le droghe cosiddette “leggere” è iniziata e non risparmia energie. Nella primavera 2014 il governo ha varato un decreto, convertito in legge dal parlamento, che ha preparato il terreno; le più importanti testate giornalistiche nazionali insistono con paginate sui vantaggi di una scelta del genere; ben 218 parlamentari hanno sottoscritto una proposta di legge in tale direzione. Nonostante gli effetti devastanti delle modifiche normative dello scorso anno, la percezione della gravità della questione è bassa. Una ragione in più per dedicarvi attenzione e impegno. E per pretendere che, per una volta, su un fronte cruciale che chiama in causa la salute di tanti giovani e meno giovani e la tenuta dell’intero corpo sociale, non si perda il contatto con la realtà; che cioè non si assista alla stanca ripetizione di banalità che si ascoltano da mezzo secolo, ma si provi a sentire gli addetti ai lavori più qualificati.
In un recente volume (Libertà dalla droga, Sugarco) scritto con Giovanni Serpelloni e Massimo Introvigne, abbiamo esposto sul punto elementi di fatto e argomenti di carattere scientifico, giuridico e sociologico. Rinviando a quel testo per una esposizione meno rapida, non guasta passare in rassegna i principali luoghi comuni:
1. Ci sono le droghe “buone” e le droghe “cattive”, quelle che possono far male e quelle che aiutano a passare una serata in spensieratezza, quelle da permettere e quelle da vietare. È falso! Lo “spinello” oggi in circolazione ha effetti devastanti e non sempre reversibili sulla psiche e sul fisico. The Independent, il popolare quotidiano inglese che per circa un decennio, dal 1997, condusse una intensa campagna per la legalizzazione della cannabis, il 18 marzo 2007 uscì con una copertina recante il titolo “Cannabis, an apology”: una richiesta di scuse ai lettori fondata su dati obiettivi. Senza attendere che fra dieci anni la Repubblica o il Corriere della Sera facciano altrettanto, potrebbero da subito smetterla con l’acritica e fuorviante propaganda.
2. Ognuno è arbitro della propria salute, e quindi libero di “farsi” come desidera, senza che lo Stato si intrometta. Non è così: nessuno ha mai contestato il principio ispiratore dell’obbligo del casco alla guida delle motociclette, eppure, in caso di incidente, il danno riguarda esclusivamente il soggetto che viola la norma. Vent’anni fa la Corte costituzionale ha respinto sul punto la tesi dell’ingerenza dello Stato nei diritti del cittadino, e ha aggiunto che la salute dell’individuo costituisce «interesse per la collettività»: va apprezzato l’intervento del legislatore, anche perché gli incidenti stradali hanno un costo per l’intera società.
3. Anche l’alcol fa male, eppure, a differenza della droga, nessuno invoca sanzioni contro la sua commercializzazione. Dire questo significa non avere ben chiara la distinzione fra uso e abuso. L’uso equilibrato di alcol, soprattutto se a bassa gradazione e in assenza di controindicazioni correlate alle condizioni di salute di chi lo assume, non fa male. L’abuso provoca invece l’alterazione di sé, ed è già in vario modo scoraggiato sul piano normativo. Per il consumo di droga la distinzione non regge: il semplice uso di stupefacenti produce alterazioni dell’equilibrio fisico e psichico; non attendere che si passi a stadi di dipendenza più elevati per dissuadere è coerente con il sistema.
4. “Legalizzare” le droghe sottrarrebbe terreno alle organizzazioni criminali che traggono profitto dai traffici di stupefacenti, affidandone la distribuzione e la cessione al controllo dello Stato. È falso! Ogni legalizzazione ha dei limiti, di età dell’assuntore, di quantità e di qualità (intesa come percentuale di principio attivo) della sostanza. Alla criminalità sarà sufficiente operare oltre i limiti fissati: quanto all’età, puntando, più di quanto non avvenga oggi, allo spaccio fra minorenni; quanto alla quantità e alla qualità, offrendo “merce” in grammi o in capacità stimolante al di là delle soglie stabilite.
5. La legalizzazione aumenta gli introiti del fisco. Ma negli Stati Uniti gli incassi per gli Stati derivanti dalle accise sulla cannabis “legale” sono annullati dalle maggiori spese connesse al trattamento dei suoi effetti cronici. I due mercati, legale e illecito, sono connessi: quantità sostanziali di marijuana medica prodotta in eccesso grazie a economie di scala sono dirottate verso il mercato clandestino.
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