Le difficoltà di Scholz in Germania dietro al caso dei tank Leopard

Di Daniele Meloni
26 Gennaio 2023
I carri armati tedeschi alla fine andranno ad aiutare Kiev nella guerra con Mosca, ma la coalizione semaforo che sostiene il Cancelliere dà segni di smottamento su politiche energetiche, economia e gestione del conflitto ucraino
Olaf Scholz Cancelliere Germania
Il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz (foto Ansa)

Il caso dell’invio in Ucraina dei tank Leopard ha scoperchiato nuovamente le tensioni interne nella politica tedesca sul ruolo della Germania nell’attuale quadro di politica internazionale. Anni di eurasismo, di politiche economiche orientate verso la Cina e di pacifismo più o meno forzato sono stati spazzati via dalla guerra in Ucraina.

La “svolta epocale” teorizzata da Scholz

Il Cancelliere Olaf Scholz è in palese difficoltà. La sua “coalizione semaforo” dà segnali di smottamento sulle politiche energetiche, sull’economia e nella gestione del conflitto ucraino. Il leader socialdemocratico ha provato a declinare la nuova Germania con un lungo e accorato articolo apparso su Foreign Affairs in cui si è dilungato sulla Zeitenwende, la svolta epocale, in atto a Berlino. Scholz ha ribadito il ruolo guida della Germania all’interno della costruzione europea – secondo il vecchio adagio di una “Germania europea, non una Europa tedesca” – ma anche voluto rimarcare come i tedeschi abbiano mutato atteggiamento nei confronti della guerra e dell’equipaggiamento del loro esercito. Il fondo da 100 miliardi di euro per gli investimenti nella difesa, entrato nel Grundgesetz – la Costituzione tedesca – senza passare per la tanto agognata “difesa europea” è un segnale che il riarmo della Germania cambierà, naturalmente, i rapporti all’interno dell’Unione europea e non solo.

Nelle scorse settimane l’erede di Angela Merkel alla guida del paese ha dovuto fronteggiare innumerevoli critiche per via del suo atteggiamento prudente sull’invio di nuove armi a Kiev. Con un colpo di teatro piuttosto insolito per la politica consensuale tedesca, è saltata la ministra della Difesa Christine Lambrecht, sostituita da Boris Pistorius, politico sconosciuto a livello nazionale ma volto storico della Spd in Bassa Sassonia e uomo definito da Scholz «l’ideale per condurre la Bundeswehr alla svolta». Pistorius si è già occupato di difesa e sicurezza nel suo Land tanto da essere definito lo “sceriffo rosso”, ma la sua promozione a livello nazionale in un momento così delicato ha destato perplessità a Berlino. E non solo.

I 35 mila soldati americani in territorio tedesco

Più che altro ci si chiede quanto la Germania voglia – e possa – tornare a essere una potenza militare. Il New York Times, in un articolo a firma James Angelos, ha affermato che la strada è piuttosto lunga per un paese che dalla Seconda Guerra mondiale in poi si è dovuto rifare una immagine e una società sui presupposti del pacifismo e del mercantilismo. La difesa tedesca è anche e soprattutto la difesa a guida Usa dell’Europa: con 35 mila soldati americani stazionati in Germania è chiaro che da Washington – retrenchment o meno – si continui a percepire il controllo dell’Europa come essenziale per il predominio globale.

In tutto ciò quali sono i margini di manovra di Berlino? Prima della Presidenza Biden, Donald Trump aveva annunciato il ritorno di oltre 11mila militari a stelle e strisce dalla Germania – circa un terzo del contingente – ma i suoi piani non sono mai andati in porto. Una volta insediata l’Amministrazione democratica c’è subito stato il dietrofront dei Democratici, forse consci del fatto che un eventuale abbandono in massa di Berlino avrebbe portato la Germania ad affrettare il riarmo e, come scritto da Tempi, avrebbe messo in pericolo la coesione della stessa Nato.

Il sostegno zoppicante all’Ucraina e alla Nato

Scholz non è preoccupato dai meme che gli anglosassoni fanno girare su di lui e in cui si definisce lo “scholzismo” come un metodo tutt’altro che decisionista di porsi sullo scacchiere internazionale. All’interno della sua coalizione c’è chi va rimarcando come la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, sia molto più decisa di lui nel sostegno all’Ucraina e alla Nato.

Inoltre, anche Bruxelles – o meglio: la modalità di esercitare la consueta egemonia sulle istituzioni europee – si sta rivelando un’altra spina nel fianco per in Cancelliere. La riforma delle regole sugli aiuti di stato europei, quella più ampia sul Patto di Stabilità e quale seguito dare ai progetti di difesa continentale stanno sempre più marcando un solco tra il più accondiscendente Kanzler e il suo ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, già dipinto – e forse a suo agio – nel ruolo di falco, per la verità un po’ spennato, a favore del rigore dei conti pubblici e contrario a ogni spesa in deficit che possa mettere mano ai portafogli tedeschi a vantaggio degli alleati del sud d’Europa.

Che cosa rischia di frenare Scholz

Come riuscire a tenere insieme le esigenze dei Verdi, protesi verso la transizione ecologica e quelle dell’industria tedesca piombata in difficoltà prima impensabili dopo lo stop al gas e al petrolio russo? Quale forma dare all’egemonia di Berlino sull’Europa, anche considerando le frizioni con Parigi, solo “esteriormente” ricomposte domenica scorsa alla Sorbonne per il 60esimo anniversario del Trattato dell’Eliseo?

La Zeitenwende di Scholz rischia di essere frenata da condizioni ideologiche e materiali che frenano lo sviluppo di una politica estera tedesca autonoma. I Leopard arriveranno a Kiev, ma le frizioni all’interno della AmpelKoalition del Cancelliere metteranno a dura prova Berlino.

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