Nel suo lungo editoriale domenicale Eugenio Scalfari torna sulla decisione della rinuncia di Benedetto XVI e in particolare prende spunto dalla lettere inviata a Repubblica da Julián Carrón, presidente della fraternità di Comunione e Liberazione. Scalfari contesta essenzialmente la sottolineatura centrale del testo di Carrón secondo cui quella del Papa è una scelta di enorme libertà, una libertà desiderabile per tutti e che riporta l’intero popolo cristiano a confrontarsi con l’essenzialità del fatto di Cristo.
SE CI FOSSE UN PM. «Cosa vuol dire “in piena libertà”?», si domanda il fondatore di Repubblica nell’editoriale intitolato “Riuscirà la Chiesa a guarire la Chiesa ferita?” (indovinate un po’ quale sarà la risposta finale?). Riprende Scalfari: «Non esiste alcuna magistratura che possa riscontrare l’esistenza di questo elemento e infatti non si tratta di dimissioni che possono essere accettate o respinte». Insomma nessuno ci garantisce, prosegue il ragionamento, che il Papa non sia stato condizionato e spinto alla sua scelta dagli scandali e dalle difficoltà della Chiesa.
VE LO SPIEGO IO IL CONCILIO. Ma, attenzione, perché Scalfari conosce anche i meccanismi del Conclave e afferma con sicurezza: «La Curia ha sempre adottato il metodo della cooptazione e ha sempre tentato di far trionfare al Conclave uno dei suoi. Spesso è riuscita nel suo intento, talvolta no, ma in ogni caso la dialettica tra Curia e Papa si è manifestata determinando anche rotture traumatiche». Segue una lettura delle scelte del Conclave degli ultimi decenni secondo la logica del potere che Scalfari si pregia di conoscere bene. Una storia che descrive sostanzialmente papa Giovanni come l’unico buono, Roncalli come il malato scelto appositamente perché non potesse incidere troppo nel governo della Chiesa, ma comunque il grado di avviare (suo malgrado, secondo Scalfari) il terremoto del Concilio Vaticano II, Concilio che ovviamente Scalfari ha capito al contrario della Chiesa, che deve ancora metabolizzarlo.
LA SCELTA DI RATZINGER. C’è spazio per il «grande attore papa Wojtyla che morì da grande attore atrocemente sulla scena fino all’ultimo respiro» e, infine, Ratzinger, il papa delle dimissioni. Benedetto XVI secondo Scalfari ha fallito perché non avrebbe fermato, nell’ordine, le tensioni interne alla Curia, il crollo delle vocazioni, le «pressioni in tutti i settori e soprattutto sulle struttura e sulle organizzazioni tradizionali da parte delle Comunità: Cl, Sant’Egidio, Opus Dei, Focolarini, salesiani, gesuiti» (Eugenio, ma che stai a dì?). Non ultima la secolarizzazione dell’Occidente. Allo Scalfari fine analista del potere, manca solo un elemento. Quel piccolo dettaglio che si chiama Spirito Santo e che ha la sfrontatezza di operare anche se il fondatore di Repubblica non glielo consente.