Sapelli: «Tagli alla casta? Quisquilie. Detassiamo e usciamo dall’euro»

Di Emanuele Boffi
30 Agosto 2011
L'economista Giulio Sapelli critica a Tempi.it le inutili campagne di stampa sui tagli alla politica. Serve ben altro, come «alzare in un giorno l'età pensionabile fino a 67 anni e detassare il lavoro e le imprese». Bisognerebbe poi «uscire dall'euro perché qui rischiamo di fare la fine della Grecia». Solo una vera unità politica europea «potrà invertire la tendenza»

A Giulio Sapelli, professore ordinario di Storia economica presso l’Università degli studi di Milano, la manovra economica non piace, e non ne fa mistero. Quel che poi un po’ lo sorprende – o meglio, lo indigna – è la profusione di commenti e di campagne stampa sui costi della politica e sulle “malefatte della casta”. «Ma cosa vuole che si possa risparmiare coi tagli alle spese della politica? Sono quisquilie», spiega a Tempi.it.

Certo, un po’ di sobrietà potrebbe fare bene, ma se andiamo a guardare i numeri «si tratta solo di campagne di stampa per sollevare polveroni. Perché la gente vuole il sangue e c’è qualcuno che ha interesse a indicare nella politica il capro espiatorio di questa situazione: è solo un modo molto demagogico per aizzare gli istinti della gente», che trova spazio anche su «quotidiani molto autorevoli, attraverso firme altrettanto autorevoli». Quel che è strano, nota Sapelli, «è che mai nessuno si chieda invece quanto costino istituti come il Fondo monetario o la Banca d’Italia. Nessuno che indaghi se anche lì ci sono degli sprechi. Eppure sono notevolissimi. Ma nessuno si chiede se siano propri indispensabili i settemila dipendenti che lavoro per Lady Ashton. Di questi sprechi, chissà perché, non si parla mai. Non ricordo, ad esempio, nessun articolo di Rizzo e Stella su queste faccende. Mentre vedo in giro tanta demagogia atta ad alimentare solo uno squallido qualunquismo».

A Sapelli, si diceva, la manovra del governo appare poco incisiva. «Per fare veramente qualcosa, bisognerebbe operare come in Australia, quando, nel giro di una notte e con l’accordo tra laburisti e conservatori, si alzò l’età pensionabile fino a 67 anni. Nel giro di un giorno, capisce? Rimandare al 2030 è una follia. Invece, avere il coraggio di fare una cosa del genere sarebbe la soluzione: farebbe risparmiare miliardi di euro. Ma bisognerebbe farlo subito, senza nessuno scalone, senza alcun indugio». E invece? «E invece mettiamo le tasse, quando avremmo bisogno dell’esatto opposto e cioè di detassare per ridare un po’ di fiato a un paese in depressione. Come possiamo pretendere di rilanciare l’Italia? Bisogna detassare le imprese e il lavoro. Questo bisogna fare. E casomai tassare le transizioni speculative, non il gruzzoletto che hanno messo via i piccoli risparmiatori».

Di recente, Sapelli è anche intervenuto in modo molto netto sull’euro, scrivendo che occorre un severo esame «in merito alla sua sostenibilità». Con Tempi.it, riprende il filo di quel discorso, aggiungendo che «quel che bisognerebbe fare è uscire dall’euro. Gli anni Ottanta e Novanta, con la loro crescita strepitosa, ci hanno illusi che potessimo tutti correre come la Germania. Non è così. Io sono un ammiratore del sistema tedesco, ma realisticamente devo notare che il nostro paese è troppo diverso dalla Germania. Chiederci di adeguarci a quello, è un errore. L’euro è stato un errore e infatti gli inglesi, che sono più furbi di noi, ne sono rimasti fuori. Da quando esiste l’euro tutta costa il doppio; ci conviene?».

Per il professore occorre dunque porre la domanda in maniera brutale: «È più doloroso uscire dall’euro o continuare a reggere questa situazione insostenibile che ci porterà, in breve tempo, al destino della Grecia?». È chiaro verso quale opzione della domanda pende la scelta di Sapelli: «Anche se so benissimo che non possiamo permetterci un’uscita. Andremo avanti così, ma le prospettive sono fosche». Nessuna speranza? Cosa potrebbe invertire la tendenza? «Si potrebbero lanciare gli eurobond, ma sarebbero un pannicello caldo. Solo uno scatto di dignità e una reale unità politica europea potrebbero portare a questa inversione. Ma Francia e Germania non vogliono. E c’è da capirli. A loro non conviene».

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