
Saleh si cura in Arabia Saudita. In Yemen si festeggia il “regime finito”
Il presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, è arrivato in Arabia Saudita per curare le ferite ricevute nell‘attentato di venerdì scorso, ma secondo fonti saudite non ha intenzione di lasciare il potere e vuole ritornare in patria. L’improvvisa partenza di Saleh, su cui per tutta la giornata di sabato si erano rincorse voci, rischia di gettare nel caos il paese, dove il governo ha già perso il controllo di alcune province e al Qaeda e i jihadisti potrebbero approfittare della situazione per consolidare il proprio potere.
Saleh, secondo la Bbc, ha una scheggia che è rimasta conficcata nel petto, proprio all’altezza del cuore, e ha riportato ustioni di secondo grado al viso e al petto; la decisione di trasferirlo, ha riferito una fonte diplomatica, è stata presa da medici sauditi dopo un consulto con colleghi tedeschi. Con lui, sono partiti alcuni membri della famiglia, tra cui la moglie; mentre suo figlio Ahmad, e i suoi nipoti, Tarik ed Yehia, sarebbero ancora nel Paese.
La Casa Bianca si è già messa in contatto con Sanaa. Il principale consigliere del presidente, Barack Obama nella lotta al terrorismo ha parlato con il vicepresidente yemenita, Abd-Rabbu Hadi Mansour, che guida il Paese dopo la partenza per l’Arabia Saudita di Saleh. Washington non ha fornito dettagli del colloquio. Secondo al-Arabiya, il presidente facente funzioni, incontra oggi i membri dell’esercito e il figlio di Saleh. Secondo gli osservatori, i sauditi faranno in modo che Saleh – rimasto al potere per 33 anni e che, per settimane, ha fatto orecchie da mercante agli appelli a farsi da parte – non ritorni in patria.
Ma anche se la sua partenza potrebbe allentare la tensione (stamane a Sanaa, i giovani universitari, festeggiavano “la fine del regime”), la verità è che non c’è alcun piano serio per una transizione politica duratura; ed il timore è che, nel vuoto di potere, si scateni un lotta tra le diverse fazioni all’opposizione, che aggiungerebbe un nuovo focolaio di violenza, alle tensioni tribali nel nord e agli aneliti secessionisti del sud.
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