Fresco di ristrutturazione, il palazzo prende mezzo vicolo di sant’Andrea delle Fratte e si affaccia fino a Largo del Nazareno. Siamo nella nuova sede (a pigione) della Margherita, dove si respira aria di relax e molto giovanile. Ragazzi alla reception e nelle segreterie. Visitatori che vengono cortesemente accompagnati e segretari che servono il caffè. Spunta Francesco Rutelli dal fondo del corridoio. Borsa a tracolla, trafelato, passo svelto, sembra il capitano di un vascello che ha fretta di mollare gli ormeggi e salpare. Il capitano distribuisce ordini, sorrisi, pacche sulle spalle. Insomma, c’è un bel clima di cameratismo in questa sede di partito all’80 per cento di rutelliani (il resto è quella minoranza di marinai ulivisti che, da Arturo Parisi a Willer Bordon, siccome non vogliono altro ufficiale che Romano Prodi, per non cadere nella tentazione dell’ammutinamento scissionista hanno ottenuto per le politiche del 2006 un bel 20 per cento di posti, non di candidati in lista, ma di eletti). Non siamo più giovincelli, ma Rutelli è un cinquantenne bello e gentile. «Scusate ragazzi, sono il solito politicante in ritardo». Come i lettori ricorderanno, nei giorni del referendum sulla fecondazione assistita è stato il solo, tra i big della politica italiana, a non dare forfait, a non nascondersi dietro la foglia di fico della “libertà di coscienza”, a offrire il petto alla battaglia astensionista.
Onorevole, il 24 agosto sarà a Rimini con Roberto Formigoni. Noi sbrindellati di Tempi vi abbiamo dato dei “rompiscatole”, politici ambiziosi e sgomitanti per allargare le prospettive delle due coalizioni. O se vuole, possibili protagonisti di un generale rimescolamento di carte. Ci ha molto convinto il rischio che si è preso e le ragioni di una sua memorabile conferenza stampa. «Bé, Signore perdona coloro che non sanno quel che dicono quando dicono che l’astensionismo ha vinto perché Ruini ha mobilitato le sue truppe. Certo, lo capite bene, se la vittoria fosse stata più risicata, diciamo che ne avrei pagato il prezzo politico. E non è che non ne fossi consapevole. Il referendum è anche servito, nel nostro campo, per capire se i cittadini vogliono una coalizione di sinistra-centro o di centro-sinistra».
Un bravo ex cronista parlamentare democristiano gli ha appena inviato il ritaglio di un’intervista del lontano 1986. Quando da presidente del gruppo dei deputati del Partito Radicale, Rutelli aveva un credo che l’allora suo ex mentore Marco Pannella – «l’infaticabile e incorreggibile Pannella» dice con affetto e una punta di dolore – forse condivideva e forse no, ma che a Nicola Guiso, in una dichiarazione a Studi Cattolici del dicembre 1986, Rutelli spiegò così: «Credo che la moderna scienza delle manipolazioni genetiche sia l’equivalente del vaso di Pandora: rischiamo di creare situazioni irreversibili. Imporre una riflessione, e vorrei dire anche uno “stop” alle manipolazioni è un obbligo. Un obbligo morale e politico soprattutto per gli uomini di governo». A dire il vero, anche la pasionaria del Pci, Nilde Iotti, era all’epoca un po’ più avanti degli attuali ex-neo-post comunisti. Tant’è che raccontò allo stesso Guiso che «la manipolazione genetica è questione troppo grande perché possa essere affidata solo a scienziati e tecnici». E che dire di Jacques Testart? Incredibile il generale oblìo, è dal 10 settembre 1986 che il pioniere e autorità mondiale della fecondazione in vitro va dicendo, citiamo da Le Monde, «Non voglio fare certe cose. Il mio ultimo exploit resterà il congelamento di embrioni umani. Non andrò oltre, non tenterò nuove anteprime. Lo faranno altri, non perché siano migliori, ma perché hanno voglia di far parlare di sé, di comparire alla tv. Sono pienamente consapevole che questa mia decisione equivalga a una specie di suicidio professionale. Ma la logica della ricerca non la si può applicare a ciò che ha già il sapore di un enorme pericolo per l’uomo. Rivendico anche una logica della non-scoperta, un’etica della non-ricerca. è ora di smettere di far finta di credere che la ricerca sia neutrale, e che soltanto le sue applicazioni siano qualificabili come buone o cattive».
PIETRO E PAOLO DIETRO IL GUARD RAIL
Anno 2005, in molti paesi del mondo ormai si fanno certe cose, tipo “manipolazione”, “clonazione”, “selezione” di embrioni umani. In Italia, anche grazie a Rutelli, invece no. E non si faranno per un bel po’. «Ho l’impressione che la politica abbia sofferto un eccessivo condizionamento da parte delle élite. Ho una cara amica che lavora in uno importante studio di architettura italiano. In quello studio, quasi tutti elettori di destra, nessuno si è astenuto. Per questo non mi ha sorpreso la posizione di Gianfranco Fini. Intendiamoci, non coltivo illusioni e non penso che la Chiesa cattolica sia maggioranza culturale nel paese. Però non vedo neppure una ragione civile per escluderla dal dibattito pubblico. è vero che la Chiesa è minoranza, ma la forza delle sue ragioni ha una funzione irripetibile nella società. E non perché gliela riconosciamo noi, ma perché la Chiesa ha qualcosa di unico da dire alle persone, che interpella gli uomini e le donne anche del nostro tempo. Che scandalo c’è se fa sentire la sua voce? Parliamo di bene comune. Questa è la società democratica, libera, aperta, quella in cui ognuno porta il suo bagaglio di convinzioni, opinioni, fedi. Certo, poi il momento della decisione è laico».
Sposato con Barbara Palombelli (il matrimonio civile risale al 1982, ma dal 1995 la coppia è unita dal sacramento cristiano, le nozze furono celebrate dal cardinale Achille Silvestrini e, dice Rutelli con compiaciuta ironia, «così, secondo il diritto canonico, il nostro è un matrimonio “sanato in radice”»). A proposito di matrimonio, Marcello Pera ha suscitato un vespaio quando ha espresso la sua opinione sulle unioni omosessuali legalizzate in Spagna. Qual è il suo pensiero in materia di matrimonio e di adozioni gay? «Siamo per le garanzie di cittadinanza nella comunità civile alle persone omosessuali, ma il matrimonio è tra uomo e donna, così come l’atto di generare è tra uomo e donna, così come l’adozione di un bambino implica il suo diritto di avere un padre e una madre. Ognuno può vivere in libertà la sua affettività, ma il fatto storico, sociale, culturale, umano del matrimonio non si può manipolare in nome di una affettività. Surrogare l’atto di dare vita tra uomo e donna con il permesso di inseminare artificialmente o di adottare per legge, tra persone dello stesso sesso, non è giusto. La soluzione spagnola è profondamente sbagliata e non condivisibile». Il leader della Margherita è un’europeista convinto, ma è istruttiva la sua indipendenza dalla retorica prodiana. «L’Europa è oggi più che mai sintesi, integrazione di diversità. La cultura della laìcité è un carattere francese e non è esportabile. La Spagna ha ancora in gola il rospo franchista e si fa socialista anche al modo estroso di Almodovar. L’Italia è un’altra cosa. L’Italia è l’universalità di Roma». E qui Rutelli non dimentica che dall’esperienza di primo cittadino ha tratto una rinnovata sensibilità – «pur essendo io figlio di madre cattolicissima e però aver chiuso quella porta dopo la sua morte a un certo punto della mia giovinezza» – all’esperienza religiosa. C’è un’immagine che l’ex sindaco ricorda volentieri, fu «quella volta che andai a inaugurare un certo istituto per anziani alla Garbatella. Là vicino, sulla via Ostiense, come dimenticata, dietro i guard-rail, c’è la lapide che secondo la leggenda popolare ricorda il posto in cui Pietro e Paolo si abbracciarono per l’ultima volta, prima di andare al martirio. Capisce cos’è Roma, cos’è il suo spazio fisico, simbolico?».
Rutelli non sottostima il valore di certi laici in dialogo con certi cattolici. «Di Pera capisco la preoccupazione istituzionale e politica. Mentre in Giuliano Ferrara mi stupisce l’inesauribile curiosità politica intellettuale, e adesso lo schiudersi di un’attenzione nuova». Anche nel leader della Margherita l’attenzione politica promette novità. Il modello è quello usato nel referendum, studiare il problema e agire di conseguenza, cercando di adeguare la ragione alla realtà. Per esempio, dice Rutelli, «la riforma Moratti non ci piace, ma anche noi sulla scuola abbiamo idee vecchie».