Acqua calda per ripulire la Capitale
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ha forse scoperto l’acqua calda, ma adesso con quest’acqua si può e si deve fare qualcosa. E il commissario straordinario di Roma Francesco Paolo Tronca, durante la presentazione della mappatura del patrimonio immobiliare di Roma svoltasi lo scorso lunedì, ha evidenziato tutte le storture incontrate durante il suo lavoro iniziato dopo lo scandalo Affittopoli: «Non potevo non evidenziare certe anomalie. Queste erano inaccettabili per qualsiasi tipo di amministrazione comunale, figuriamoci per Roma Capitale. Abbiamo scoperto l’acqua calda? Possibile. L’hanno fatto anche in passato? Possibile. Però quando si ha in mano l’acqua calda si prende e si fa pulizia. Si lavano tutte le incrostazioni che rendono inefficace e inefficiente l’attività amministrativa».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Tronca ha cercato di mettere ordine nella giungla di case e uffici comunali affittati a prezzi irrisori e il risultato è che per i 28.842 immobili censiti, la morosità ammonta a 357 milioni di euro. Nel solo I municipio, quello del centro storico, il commissario straordinario ha registrato la presenza di 289 posizioni morose per un totale di 4,5 milioni di crediti non incassati. Il 59 per cento sono locali commerciali, il resto immobili a uso abitativo. Addentrarsi nei numeri snocciolati da Tronca durante la conferenza stampa è davvero imbarazzante. Perché certamente se uno non paga l’affitto di casa per qualche mese, in una città o paese normale, può incorrere in qualche rischio. Almeno in una sanzione. A Roma no. A Roma ci son persone che non pagano da oltre un quarto di secolo. E il problema non sono i canoni d’affitto troppo alti o l’indigenza delle famiglie, perché dal campione analizzato dall’ex prefetto di Milano emergono anche redditi personali o volumi di affari d’impresa elevati: ad esempio un reddito superiore a 700 mila euro per un canone pari a 220 euro, oppure, altro esempio, un reddito superiore a un milione di euro per un canone pari a 380 euro. Il Corriere della Sera, qualche mese fa, ha raccontato che ci sono abitazioni in alcune delle vie più prestigiose di Roma dove l’affitto costa 10,29 euro al mese. E fra le oltre 25 mila abitazioni per cui i canoni sono consultabili pubblicamente ce ne sono oltre 7 mila affittate a 7,75 euro.
«Oggi parliamo di metodo di lavoro. Di un’analisi metodologica che porta al monitoraggio di tutte le singole posizioni. Mi auguro – ha detto ancora Tronca – che la prossima amministrazione possa continuare a seguire questo metodo perché così credo si possa avere una visione completa di tutte le posizioni. Se si vuole, le cose si possono fare. Basta ricorrere all’incrocio di banche dati, a una piattaforma informatica dedicata e alla tecnologia che ci aiuta moltissimo. Dobbiamo cambiare approccio, la pubblica amministrazione può arrivare e deve arrivare ad avere sotto controllo la situazione di cui è titolare e quello di oggi è il modello di una buona pratica che spero possa essere utile ad altre realtà del paese». E se lo augurano tutti, visto che nel solo 2015 il Campidoglio, nel centro storico, ha chiesto ai suoi affittuari canoni per 50 milioni di euro ma ne ha riscossi appena 25 milioni.
Il confronto impietoso
Ma i problemi di Roma non sono legati al solo scandalo Affittopoli. C’è di più. E lo evidenzia bene il bilancio elaborato per il Messaggero dall’associazione “Noi classe media” e curato dall’ex sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo. Secondo il quotidiano romano, la Capitale vanta le imposte più alte d’Italia ma le entrate complessive sono assai modeste. L’inchiesta prova a mettere a confronto Roma e Milano: la Città Eterna è sette volte più grande, ha più del doppio di abitanti, cinque volte le sue strade, eppure il capoluogo lombardo può contare ogni anno su 2,5 miliardi di euro in più.
Come è possibile? «Innanzitutto perché – spiega il Messaggero – incassa di più per i servizi forniti ai cittadini (asili, musei, mense, affitti – riscossi – e mercati): il campidoglio incamera 375 milioni l’anno, Palazzo Marino 832. Inoltre, le società a partecipazione comunale a Milano producono molti più utili che a Roma: 102 milioni contro 60. E sulla riscossione dei crediti non c’è storia: 502 milioni contro gli appena 15». I confronti continuano e sono impietosi: «Chi evade l’Imu difficilmente a Roma vede l’esattore bussare alla sua porta. Tra il 2008 e il 2012 la riscossione dell’arretrato si è fermata al 10 per cento».
Quanto conta l’amministrazione
Per fare un piccolo e facile riepilogo: tolte le tasse (a Roma l’aliquota sui redditi dello 0,9 per cento è la più alta d’Italia, Milano si ferma allo 0,8 per cento) e i trasferimenti dello Stato per i quali il Campidoglio incassa molto più di Palazzo Marino (a Roma vanno 862 milioni di euro, il 17 per cento delle sue risorse totali, mentre a Milano ritornano 454 milioni di euro, cioè il 6 per cento delle sue entrate), «su tutte le altre voci di entrata, quelle che più hanno a che fare con la capacità di azione amministrativa, la città meneghina risulta vincente: 4 miliardi di euro contro soli 900 milioni». Che vuol dire: al di là delle tasse, che alte o basse comunque non piacciono a nessuno, se un’amministrazione governa bene ottiene buoni risultati. Acqua calda? Certamente sì, ma occorre usarla.
Non basta tagliare
Invece, incassi meno spese producono per il Campidoglio un disavanzo strutturale di 550 milioni di euro ogni anno. E come si recuperano tutti questi soldi? In Italia con la spending review, cioè si taglia sempre e comunque (ma non è meglio cominciare con il recupero dei 357 milioni di euro citati da Tronca?). Dunque, sono previsti risparmi sui contratti di servizio delle società di trasporto locale e rifiuti; meno 21 milioni al settore sociale; meno 25 milioni agli affitti e 43 milioni alle utenze.
Ma, come sottolinea molto bene Andrea Bassi ancora per il Messaggero, nella Capitale c’è un altro problema grande come una casa: «Non si investe da molto tempo. Ma sono gli investimenti in strade, trasporti e rifiuti a garantire la vivibilità di una città. A Milano, per esempio, il 54 per cento delle spese totali sono per investimenti. A Roma solo il 5 per cento. Nella Capitale, per andare nel concreto, gli investimenti per la viabilità e i trasporti ammontano a 16.784 mila euro a chilometro; a Milano sono di 909 mila euro. Per i suoi 4.407 ettari di verde, Roma spende 248 mila euro a ettaro; Milano ben 443 mila euro».
Questo per dire che tagliare gli sprechi e rimettere ordine nei conti, come dice il commissario Tronca, è necessario. Ma non sufficiente. Serve anche altro, bisogna tornare a investire.
Foto Ansa
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