I membri del nuovo Senato godranno dell’immunità parlamentare? Governo e partiti ne discutono da qualche giorno. Che i futuri inquilini di Palazzo Madama abbiano la stessa immunità prevista per i deputati lo prevede l’emendamento presentato alla commissione Affari costituzionali da Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega Nord). L’emendamento è inteso a correggere il testo della riforma voluta dal governo e dal premier Matteo Renzi, che invece lascia mani libere ai magistrati. Se passasse la posizione governativa non vi sarebbe più alcun filtro fra Senato e procure. Per inquisire, intercettare, arrestare i futuri senatori, i pm non avrebbero bisogno che dell’autorizzazione di un altro magistrato. Secondo Luigi Compagna (Ncd) privare una parte dei parlamentari di una garanzia costituzionale è illogico: «Se il nuovo Senato deve essere un ramo del Parlamento, le garanzie non possono che essere identiche a quelle della Camera», dice a tempi.it. «Non possono esistere garanzie differenti fra senatori e deputati».
Senatore Compagna, quale utilità avrebbe abolire l’immunità per i senatori lasciandola ai deputati?
Nessuna. Mi permetto di ricordare che l’immunità di oggi non è la stessa di vent’anni fa. Stiamo discutendo di un fondamentale articolo della nostra carta costituzionale (l’articolo 68) che già fu colpito e affondato, irrimediabilmente ferito a morte ai tempi di Tangentopoli, per lisciare il pelo a una piazza repellente, quasi più repellente di quella dannunziana del 1915.
Non esiste più in Italia l’immunità prevista dai costituenti. Eppure sembra che ciò non basti a placare la “piazza”.
Si rischia di commettere lo stesso errore del 1993. Allora, all’indomani di un libero voto di un libero Parlamento, su richieste della magistratura milanese relative all’onorevole Bettino Craxi, la Camera dei deputati non volle neanche discutere il testo sulle garanzie parlamentari che qualche giorno prima il Senato – allora vero e proprio ramo del Parlamento – le aveva inviato. Vi si prevedeva, su proposta del collega Maccanico, piena libertà di indagine da parte della magistratura procedente, salvo un voto della camera di appartenenza al momento del rinvio a giudizio, con il quale si poteva sospendere il processo. Più volte, da allora, io e una collega del Pd, Franca Chiaromonte, abbiamo cercato di riproporre il testo Maccanico. Sempre ci sono stati opposti da parte del grillismo imperante (con e senza Grillo) un rifiuto e una ostilità che oggi in qualche modo si ripropongono.
Il pressing del premier Renzi sul Parlamento per varare la riforma costituzionale può essere controproducente? Può favorire l’approvazione di testi che mirano più al consenso che all’equilibrio dei poteri?
Vediamo come e quanto saranno bravi a districarsi dal grillismo (interno a tutti i partiti) due consumati giocolieri della materia come i colleghi Calderoli e Finocchiaro. Anche il governo non dovrebbe opporsi: è vero che, nel testo da esso proposto, i senatori non godono della stessa immunità lasciata ai deputati. Ma quello è un testo per fare di un ramo del Parlamento una sala giochi per gli enti locali. Ora che la riforma prevede qualcosa che assomigli a un Senato vero, è giusto che il problema sia stato riproposto.
Il “grillismo” avrà la meglio sulla politica, come accadde con l’ondata giustizialista nel 1993?
C’è un clima strano. La cultura politica, di questi tempi, se ne trova poca in Parlamento. Bisognerà aspettare l’arrivo del testo in aula, previsto per il 3 luglio. A me piacerebbe tornare a sfidare grillismi di ieri e di oggi con il buonsenso, e alla memoria di Antonio Maccanico. Certo è che Maccanico mai avrebbe previsto che si sarebbe arrivati a pensare, parlare, votare in Costituzione testi di provenienza governativa.