Alla fine è successo quello che in fondo si aspettavano un po’ tutti. La polemica scoppiata due giorni fa intorno al “manifesto gay” di Melania Mazzucco Sei come sei, oltre a rappresentare di fatto una grande iniziativa promozionale gratuita per un libro di infimo valore letterario (è più che altro un elenco di luoghi comuni e slogan ispirati ai titoli dei giornali: qui la nostra recensione), è già stata ribaltata dai media ed è diventata l’ennesimo pretesto per rianimare la campagna per i cosiddetti “diritti Lgbt”, ovviamente travestita come sempre da “lotta all’omofobia”.
«E LE FAMIGLIE?» Il libro, proposto ai liceali del Giulio Cesare, a causa di un passaggio che descrive in maniera esplicita un atto di sesso orale (una fellatio fra due maschi adolescenti), ha scandalizzato i genitori di alcuni degli alunni coinvolti, tanto da spingerli a denunciare gli insegnanti per diffusione di materiale osceno. Lo psichiatra Tonino Cantelmi, padre di cinque figli, «uno che ha frequentato il Giulio Cesare in passato, uno che lo frequenta attualmente, uno che si appresta a frequentarlo», prova a spiegare in una intervista pubblicata oggi da Avvenire che «il problema non è il sesso dei protagonisti, ma l’età dei lettori». «È vero – ammette Cantelmi –, sul web si trova di tutto e i ragazzi sono esposti ai messaggi inadatti alla loro età. Ma tanto più l’ipersessualizzazione dei bambini e degli adolescenti è un problema grave e ingravescente, tanto più gli adulti devono mediare e modulare ogni informazione sulla sessualità».
Naturalmente, insiste lo psichiatra, «omofobia e bullismo sono sempre da contrastare. Il modo in cui si decide di agire, però, deve essere rispettoso di tutte le sensibilità». La denuncia degli insegnanti da parte dei genitori infatti è partita perché «una quattordicenne, la scaturigine di tutta la vicenda, si è sentita violentata da quel che leggeva e si è rifiutata di proseguire il compito».
Il tutto inoltre si è svolto senza che le famiglie fossero coinvolte. Ma secondo Cantelmi «la scuola non può entrare a gamba tesa in questioni così delicate, consultare i genitori è doveroso».
«ADESSO LE UNIONI CIVILI». Difficile comunque che il chiarimento delle ragioni da parte dei genitori a questo punto possa fermare l’automatismo innescato dalla loro denuncia. I giornali ormai hanno trasformato la vicenda in un caso di “omofobia”. Da combattere, ça va sans dire, con l’apposita legge e anche qualcosa in più.
Repubblica, per esempio, ne approfitta per recuperare «il caso degli «opuscoli dell’Unar contro il bullismo omofobico, prima commissionati e poi sepolti nel silenzio sia dal governo Letta che dal governo Renzi», nonché «il lentissimo cammino della legge contro l’omofobia al Senato» e gli immancabili «attacchi agli insegnanti che hanno inaugurato le “lezioni di genere” contro gli stereotipi maschili e femminili, e la mai attuata “strategia” nazionale anti discriminazioni sessuali decisa dal ministro Fornero nel 2013» (strategia che più avanti nell’articolo, per via di una specie di lapsus assai significativo, diventa la «strategia nazionale Lgbt»).
Come sempre, il quotidiano presenta tutte queste iniziative cosiddette “anti-omofobia” come misure necessarie ad arginare i suicidi dei gay causati dall’odio della società. Ma a parte il fatto che il caso rispolverato allo scopo, quello del “ragazzo con i pantaloni rosa”, non aveva nulla a che fare con l’omofobia, è comunque evidente che il reale obiettivo della mobilitazione è un altro, e lo esplicita sempre a Repubblica, poco più sotto, Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle Riforme, gay e militante dei “diritti Lgbt”. Secondo Scalfarotto il libro di Melania Mazzucco è «sotto attacco non tanto perché conteneva dei passaggi di sessualità esplicita, ma perché parlava di una famiglia composta da due padri», ma il governo «non potrà sottrarsi a questi temi, del resto Renzi l’ha promesso in campagna elettorale, introdurremo le unioni civili sul modello tedesco, e l’adozione del figlio del coniuge nelle coppie omosessuali».
«IL GOVERNO INTERVENGA». Un altro esponente del governo Renzi, Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, ritiene invece necessario un intervento dell’esecutivo nel caso del liceo Giulio Cesare. Parlando ieri davanti ai microfoni di Radio Vaticana ha detto che «merita chiedere l’approfondimento e arrivare, attraverso anche l’ufficio scolastico regionale, alla verità delle cose». E ha ricordato che «l’articolo 30 della nostra Costituzione mette al centro del rapporto educativo i genitori. È diritto-dovere di genitori istruire ed educare i figli. Quindi, è chiaro e ovvio, per quanto mi riguarda, che tutto ciò che entra nelle scuole deve essere prima rivisto, vagliato dal rapporto di fiducia educativo, che c’è da sempre tra i genitori e gli insegnati».
IL GOVERNO È D’ACCORDO CON REPUBBLICA. Una posizione che non si riscontra nelle parole del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che oggi risponde indirettamente a Toccafondi concedendo un’intervista a Repubblica, nella quale prende le difese degli insegnanti del liceo romano senza accennare al diritto dei genitori di avere un ruolo in tutto questo. «Troppi ragazzi si sono uccisi in questi anni perché gay, dopo aver subito offese e umiliazioni», dice il ministro al quotidiano. «Il problema esiste e va affrontato anche nelle scuole. Al liceo Giulio Cesare l’hanno fatto, per quanto ho potuto ricostruire, in modo assolutamente corretto». Subito dopo, però, Giannini ammette di «non aver letto Sei come sei»: «Non so quindi se quello fosse il libro più adatto come stile a dei teenagers per trattare l’argomento della diversità di orientamento sessuale. Ma stiamo parlando di una scrittrice che ha vinto il premio Strega, di una casa editrice come Einaudi, mi sembra francamente difficile sostenere un’accusa di pornografia».
Il ministro sembra avere apprezzato anche il fatto che i docenti del Giulio Cesare abbiano chiesto agli alunni, dopo la lettura del romanzo, di scrivere un tema a partire dalla famosa frase (per altro citata in maniera monca) di papa Francesco sugli omosessuali, «chi sono io per giudicare?». Commenta Giannini: «Da quello che ho potuto ricostruire, ed è mio compito essendoci stato un esposto, quel libro è stato dato da leggere all’interno di un progetto sulle diversità condiviso tra studenti, professori, docenti. Un progetto elaborato che parlava di tutte le diversità, dalla nazionalità alle differenze religiose. Con tanto di discussioni in classe e tema alla fine. Insomma qualcosa di approfondito e serio».
Il ministro parla di profondità e serietà, tuttavia non sembra avere le idee molto chiare, vista la confusione che contribuisce a creare a sua volta mescolando i giudizi del Pontefice agli slogan politici e mediatici: «Anche lui (papa Francesco, ndr) ha parlato di omosessualità dicendo: chi sono io per giudicare. Un modo per segnalare l’importanza di un tema, di un vero problema. Perché un dato di fatto: il bullismo sui gay è una realtà oggettiva da combattere in tutto il mondo, Italia compresa».
Solo sui famigerati opuscoli Unar Giannini non sembra avere intenzione di seguire Repubblica. «Per le parti che mi sono state fatte leggere sulla famiglia – osserva il ministro confermando la posizione assunta un paio di settimane fa – mi sembravano assolutamente fuori contesto, nulla a che fare con l’Italia». Ma che fine farà quel materiale? Sarà utilizzato nelle scuole o sarà buttato? «Non sta a me decidere».