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Renzi trasforma le popolari in Spa. Ma se “più mercato e meno politica” significasse anche “meno prestiti alle Pmi”?

La riforma piace ai giornali e al Forum di Davos. Ma la Cgia Mestre: sono le sole banche che in questi anni hanno aumentato gli impieghi per famiglie e imprese

Redazione
21/01/2015 - 16:56
Economia
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Come segnala per esempio l’Huffington Post, Matteo Renzi si è presentato oggi al Forum di Davos con «un biglietto da visita non da poco». All’annuale raduno del gotha dell’economia e della finanza mondiale infatti il premier ha potuto sbandierare una iniziativa che i mercati internazionali, a giudicare dai commenti apparsi su molti giornali e dalla positiva accoglienza riservata alla notizia dalle Borse, attendevano «almeno da vent’anni»: la riforma delle banche popolari.

VAI COL RISIKO. Ieri, spiega il Corriere della Sera, «il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’investment compact che obbliga le prime dieci banche popolari per attivi a trasformarsi entro 18 mesi in società per azioni e abbandonare il sistema del voto capitario che finora ha consentito ai soci delle popolari di contare tutti allo stesso modo», a prescindere dal numero di azioni detenute. «L’obbligo di trasformazione in “spa” – continua il quotidiano milanese – vale per Ubi, Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare dell’Etruria e Popolare di Bari», ovvero le popolari che superano gli 8 miliardi di attivi (vedi tabella del Corriere della Sera riprodotta in fondo all’articolo). E che adesso, «entro 18 mesi dovranno convocare l’assemblea dei soci per cambiare lo statuto. Una soluzione che dovrebbe agevolare le fusioni e quindi il riassetto del sistema».

IL PESO DELLA POLITICA. Ovvio che la cosa sia gradita ai big della finanza riuniti a Davos, dal momento che «aprire le popolari al mercato» significa aprire la strada a future ipotesi di scalata finora di fatto escluse da quello che i giornali chiamano l’«eccessivo peso della politica» nella conduzione di questi istituti. Ma se il World Economic Forum applaude alla «trasparenza» introdotta da Renzi nel sistema, i critici di questa «rivoluzione» segnalano che dentro il termine dispregiativo “peso della politica” è implicato anche un modello di governance che, pur avendo consentito errori e affari opachi in passato, ha anche preservato «il legame forte tra le popolari e le piccole e medie imprese». Legame che invece adesso rischia di allentarsi parecchio. È questa la previsione che ha spinto per esempio il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi di Ncd a criticare decisamente il decreto.

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LE VOCI CRITICHE. Al Consiglio dei ministri, scrive Repubblica, l’esponente alfaniano «ha contestato la scelta del provvedimento d’urgenza del decreto, ha sottolineato la necessità di non distruggere i rapporti con il territorio e le Pmi, e infine ha chiesto perché non discuterne in Parlamento. E proprio in Parlamento, dove ragionevolmente ci sarà battaglia sulla conversione del decreto legge, il Nuovo Centro Destra a quanto pare si vuole tenere le mani libere». Anche da sinistra comunque si sono levate voci contro il blitz di Renzi. A parte i democratici Francesco Boccia e Stefano Fassina, ripresi oggi un po’ da tutti i giornali, adesso si aggiunge anche l’avvertimento di Giuseppe Bortolussi, che oltre a essere stato candidato del Pd alle elezioni regionali del Veneto nel 2010, è segretario della Cgia di Mestre, la storica Associazione Artigiani e Piccole Imprese.

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UNA MISSION DA PRESERVARE. «Sebbene la riforma delle popolari interessi solo una decina di istituti che presentano un attivo di oltre 8 miliardi di euro – commenta Bortolussi – in prospettiva corriamo il pericolo che tale operazione snaturi la mission di queste realtà che da sempre hanno avuto un’attenzione particolare per i problemi e le necessità dei territori di cui sono espressione. A differenza degli altri istituti bancari, in questi anni di grave crisi le banche popolari sono state le uniche ad incrementare gli impieghi alle famiglie e alle imprese. A conferma che queste ultime hanno continuato a fare il proprio lavoro, nonostante le condizioni proibitive».

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UN DIVERSO TREND. È l’ufficio studi della Cgia a tradurre in numeri le osservazioni di Bortolussi: «Nell’arco di tempo che va dall’inizio della fase di credit crunch (2011) sino alla fine del 2013, le Popolari hanno aumentato i prestiti alla clientela del 15,4 per cento; diversamente, quelle sotto forma di Spa e gli istituti di credito cooperativo hanno diminuito l’ammontare dei prestiti rispettivamente del 4,9 e del 2,2 per cento. Lo stesso trend negativo è stato registrato anche dalle banche estere presenti nel nostro Paese: sempre tra il 2011 e il 2013, i prestiti sono diminuiti del 3,1 per cento».

Tags: banchebanche popolaricgia mestreCorriere della Seradavosfinanzagiuseppe bortolussihuffington postMatteo RenziMaurizio LupiPmirepubblicariforma popolariworld economic forum
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