Anticipiamo l’editoriale del numero di Tempi in edicola da giovedì 11 febbraio (vai alla pagina degli abbonamenti) – Caro direttore, trovo nel suo editoriale del 4 febbraio un errore di metodo, letale per chi fa politica e per chi voglia risolvere veramente un problema. Io faccio politica con due criteri: lavorare per costruire il bene comune in base all’ideale di bene che ho incontrato e che continuo a vivere in un’esperienza di popolo. E, secondo, rispondendo responsabilmente alla realtà, alle condizioni che la realtà oggi mi pone. Ipotizzare scenari futuri – che cosa farei se succedesse che… – è un esercizio che affascina molto i giornalisti, ma che sembra fatto apposta per eludere il problema che siamo chiamati a risolvere.
Per essere chiari: ci sta veramente a cuore una buona legge sulle unioni civili (che dobbiamo fare in ossequio a una sentenza della Corte costituzionale) che non assimili il nuovo istituto al matrimonio e che non permetta l’adozione alle coppie omosessuali? O in realtà ci interessa solo – e le unioni civili sono il pretesto – la caduta del governo?
Io voglio lavorare sino all’ultimo minuto disponibile perché la legge sulle unioni civili sia una buona legge, perché non sia quel pasticcio di similmatrimonio con annesse adozioni e conseguente apertura all’inumana pratica dell’utero in affitto che oggi ci viene prospettata. Con chi devo lavorare e dialogare per ottenere questo risultato se non con il partito con il quale sono al governo? E per poterlo fare seriamente, cogliendo anche le aperture, le critiche e le forti perplessità presenti nel Pd, debbo far valere delle ragioni a favore della mia posizione o devo puntare sul ricatto? Devo esasperare l’alleato di governo, incitarlo alla prova di forza, provocarlo sulla difesa di bandiera di un provvedimento sul quale so che molti parlamentari del Pd hanno molti dubbi? Devo esasperare la situazione invece di lavorare per risolverla? Devo eccitarlo a una prova identitaria e ideologica per vantarmi di aver difeso la mia, di identità politico-ideologica, senza portare a casa il risultato che invece mi sta realmente a cuore?
No, mi si ribatte, a cuore avete soltanto le poltrone. Avrei gioco facile a dire che questa obiezione non può certo essere fatta a me, ma rifiuto il ricatto moralistico-populistico. Certo, in politica ci sono le poltrone, come ci sono nel giornalismo, nell’impresa, nella finanza, nell’associazionismo. Chi, facendo politica o impresa o ricerca all’università, non vuole occupare una poltrona per esercitare da lì la responsabilità di cui viene investito per il bene comune è un ciarlatano, un truffatore travestito da moralista.
Ma voglio essere realista fino in fondo. Dite, e dicono molti vostri colleghi, Renzi vi ha ammorbidito con un bel po’ di poltrone governative nel rimpasto di governo. E chi deve assumersi responsabilità di governo se non i partiti che lo formano e lo sostengono in Parlamento? Il ministero con delega alla famiglia andava affidato a un grillino?
Riusciremo a evitare questo decreto, così come è fatto? Non lo so, so che ci proveremo fino in fondo e mi auguro di riuscirci. Se non ci riusciremo ne prenderemo atto, e chi ha voluto che questo accada se ne assumerà la responsabilità, anche politica. E non sarà un passaggio indolore. Ma posso, ad esempio, mettere sul piatto il sì al referendum sulle riforme? Posso cambiare idea su una riforma alla quale ho lavorato per due anni? Io penso di no. Per intelligenza, per coerenza, per il bene del Paese. La politica, per me, non vive di baratti, vive delle scelte giuste. Credo di aver dimostrato che si può lasciare, con dignità, una poltrona per riaffermare la dignità della politica.
Maurizio Lupi
presidente dei deputati di Area popolare
Gentile presidente, caro amico, non ti ho dato di ciarlatano travestito da moralista e tutto il seguito di crucifige che ti autointesti in favore di realismo fino in fondo e di buona coscienza fino in fondo. Ho scritto che se passa la Cirinnà e tu e i tuoi compagni di partito credete in quel che dite e rappresentate in politica, dovete uscire dal governo. Questo è il punto.
Il sospetto sulle poltrone non era ovviamente né gratuito né dirimente. Non era gratuito perché non c’è altra spiegazione plausibile a un rimpasto che poteva benissimo essere fatto un mese prima o un mese dopo. E invece è stato fatto proprio alla vigilia del Family Day e delle votazioni in Senato sulla Cirinnà. Premiando il tuo partito in maniera addirittura spropositata. “Ammorbidirvi”, esatto. Indipendentemente dalla tua coscienza (in cui ovviamente non entro) e al tuo impegno, lealtà e coerenza ideale (di cui sono certissimo), questo è il messaggio – “ammorbidirvi” – che Renzi vi ha voluto dare e far passare nell’opinione pubblica. E che perciò, a nostro modesto avviso, avreste dovuto respingere. Avete atteso mesi per vedere riconosciuto il vostro ruolo di leali partner di governo, non potevate aspettare qualche altro giorno?
Quanto al punto essenziale: non dubito che porterete fino in fondo la giusta battaglia per togliere dalla Cirinnà il similmatrimonio e le adozioni. Ma proprio per questo, ribadisco, il “non sarà un passaggio indolore” da te evocato nel caso l’impresa fallisse (e se fallisce in Senato vuol dire che è fallita defintivamente, come ben sai alla Camera non ci sono i numeri per modificare la legge) può essere soltanto l’uscita dal governo (tanto più che il capo del governo si è speso personalmente perché la Cirinnà rimanesse nella sua versione integrale). È su questo punto essenziale che dissentiamo radicalmente: tu e il ministro Alfano siete convinti che le riforme istituzionali sono Parigi e valgono bene una messa. Noi, invece, restiamo convinti della lezione di Havel e consideriamo la Cirinnà una partita molto più importante – per te, per Alfano, per il vostro partito e soprattutto per il nostro popolo – delle riforme che avete condiviso con Renzi.
Comunque andrà a finire, spero di rivederti a Milano – e magari sindaco di Milano – per continuare una certa storia di “intenzioni della vita” e di “potere dei senza potere”.
Foto Ansa