Reddito di cittadinanza meridionale
Chiamatelo reddito di cittadinanza per il Sud. Nonostante le promesse del vicepremier («il 47 per cento delle famiglie destinatarie sarà del centro-nord», ha assicurato Luigi Di Maio), i dati pubblicati dall’osservatorio statistico dell’Inps sui percettori del reddito di inclusione (Rei) introdotto dal governo di centrosinistra di Paolo Gentiloni – che verrà riassorbito dal reddito di cittadinanza – sembrano dire tutto il contrario.
DOVE FINIVA IL REDDITO DI INCLUSIONE
È vero che i parametri delle due misure di contrasto alla povertà sono diversi: dal primo luglio, quando cioè sono stati abrogati i requisiti familiari (presenza di un minorenne, di una persona disabile, di una donna in gravidanza, di un disoccupato ultra 55enne), il Rei è stato erogato universalmente a tutti i nuclei famigliari con Isee inferiore a 6 mila euro, soglia che il provvedimento grillino dovrebbe portare a 9.360 euro.
È vero che diverse sono le modalità di erogazione (niente più domanda scritta ma fornitura attraverso un software Inps del contributo da spendersi con una carta fornita dallo Stato), che diverso è l’importo dell’aiuto (da un importo medio di 304,66 euro per l’erogazione del Rei, il reddito di cittadinanza prevede ora integrazioni fino a 780 euro al mese per il singolo e fino a 1.400 euro per le famiglie numerose), che il 10 per cento dei nuclei che ha ricevuto il Rei risulta extracomunitario, percentuale che dovrebbe scendere ora che il M5S richiede il requisito di residenza in Italia da almeno cinque anni. Soprattutto è vero che diverse sono le modalità di introduzione a un percorso lavorativo.
I CPI DEL CENTRO-SUD
E che proprio al Sud i Centri per l’impiego (Cpi) a cui i grillini hanno condizionato la riuscita di una misura che non si risolva in puro assistenzialismo non funzionano. E non per modo di dire: qui il 72 per cento dei centri cui è stato delegato il reinserimento dei percettori del reddito di cittadinanza nel mondo del lavoro sta all’anno zero della tecnologia, mancano le dotazioni informatiche, quelle che ci sono non hanno connessione web. Basta leggere questa inchiesta del Sole 24 ore per scoprire che al Cpi di Cinecittà, il più grande centro d’Europa, c’è gente iscritta da quando ha 18 anni e che arrivata ai 52 non ha mai ricevuto una proposta di lavoro; o che i pc del Cpi appena aperto a Mercato San Severino (Sa) hanno dieci anni di anzianità, problemi di connessione e non dialogano con le banche dati di Inps e Agenzia delle entrate; o che il centro regionale per l’impiego di Palermo a giugno è stato teatro di una rivolta degli utenti.
LA MAPPA DEL REDDITO E QUELLA DEL VOTO
E al nord? Al nord abbiamo Cpi come quello di Lecco, che dal 2009 ha ricollocato il 40 per cento delle persone prese in carico, o come quello di Treviso, che ha firmato oltre 16 mila patti di servizio, effettuato più di 21 mila colloqui individuali, perfezionato negli anni oltre un terzo dei tirocinii della regione, oltre la metà finiti in assunzioni, inviato 3.960 neodiplomati e laureati nelle aziende con una borsa lavoro a carico del centro e un premio di mille euro per l’azienda che trasformava il tirocinio in assunzione: «200mila euro stanziati, esauriti in tre minuti», scrive il Sole.
In attesa della riforma dei Cpi (servono accordi con le Regioni, serve la messa in rete di tutti i centri, serve un’app sul cellulare, spiegano i promotori, forse serve molto altro, dice la realtà) è facile immaginare dove andrà e cosa resterà della misura bandiera dei grillini: puro assistenzialismo proprio in quel Sud dove il Movimento fece cappotto alle elezioni che lo portarono al governo.
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