Rai, nuovi vertici, soliti sprechi. Domande da milioni di euro per Salini e Foa

Di Rachele Schirle
15 Gennaio 2019
Dai superdirigenti strapagati ma privi di incarichi alle montagne di soldi dispersi tra le varie sedi apparentemente fuori controllo, c'è molto da cambiare nella "Rai del cambiamento"
La sede della Rai in viale Mazzini a Roma

La sede della Rai in viale Mazzini a Roma

Botti di fine anno a parte, la coppia più chiacchierata dell’etere italiano (il duo a trazione M5S-Lega SaliniFoa) dovrà presto rispondere ad alcune domande, ormai da mesi sui tavoli di viale Mazzini.

La prima riguarda il dubbio amletico su cosa ne sarà di superdirigenti “esodati” come Mario Orfeo (ex direttore generale, a disposizione della Rai e degli italiani per 240.000 euro annui), Monica Maggioni (ex presidente, per 239.989 euro annui), Angelo Teodoli (ex direttore di Rai1, per 240.000 annui), Andrea Fabiano (ex direttore di Rai2, per 207.521 annui), Andrea Montanari (ex direttore del Tg1, per 239.042 euro annui), Ida Colucci (ex direttore del Tg2, per 235.855 euro annui), Nicoletta Manzione (ex direttore di Rai Parlamento, per 227.042 euro anni): tutti alle «dirette dipendenze dell’amministratore delegato» (Fabrizio Salini, appunto), senza che alcuno di essi svolga un lavoro o si occupi di qualcosa di concreto, mentre oltre 5.000 euro al giorno di stipendi netti (quasi il doppio per le casse del servizio pubblico italiano) vengono praticamente sperperati in barba alla “tv del cambiamento” e alla più oculata delle gestioni.

SEDI REGIONALI CON MANICA LARGHISSIMA

Ma la coppia “a cavallo” Salini-Foa dovrà dire anche quale sarà il futuro delle sedi regionali. Stiamo parlando di ben 17 sedi (Ancona, Aosta, Bari, Bologna, Bolzano, Cagliari, Cosenza, Campobasso, Firenze, Genova, Palermo, Perugia, Pescara, Potenza, Trento,Trieste, Venezia), alle quali si aggiungono 5 succursali (L’Aquila, Catania, Sassari, Udine, Reggio Calabria) e altre in via di costruzione a Catanzaro, Verona, Messina, Nuoro. Sedi nelle quali l’ultima indagine (attribuibile al vecchio direttore generale Luigi Gubitosi) rilevava un’occupazione di 50 metri quadrati per persona.

Una radiografia impressionante di capitali, investimenti più o meno centrati, volumi immobiliari, sprechi, manutenzioni infinite e tante spese, ai quali si sommano i costi dei 4 grandi centri di produzione di Roma, Torino, Milano e Napoli. Palazzi, per lo più obsoleti e “spinti” solo al 50 per cento della loro potenzialità, che – salvo le 4 sedi con convenzione (Bolzano, Trieste, Trento e Aosta) – producono tre tg regionali al giorno, l’edizione di mezzanotte e di solito una replica notturna, il cui costo reale sfiora i 10 milioni di euro l’anno per spese di straordinari e gestione produzione.

IL CONTROLLO DEL TERRITORIO SI FA DA REMOTO

Insomma, nella “Rai del cambiamento” voluta dall’altra coppia Di MaioSalvini sembra imperare, per obbligo e principio, la peggiore delle continuità: al punto che, in capo alle sedi regionali, l’ad pentastellato avrebbe in animo di confermare il direttore uscente Luigi Meloni (retribuzione effettivamente percepita 239.821 euro annui). Meloni al quale i corridoi di viale Mazzini attribuiscono la copertura importante di Luciano Flussi, attuale direttore del personale (240.000 euro annui effettivamente percepiti anche per lui), e sollevano qualche dubbio inquietante sulla nota difficoltà a viaggiare proprio di chi (come lui) dovrebbe gestire 17 sedi regionali e 11 sedi estere, mettendoci naso prima ancora che bocca.

In 5 anni Meloni avrebbe effettuato solo 4 trasferte in sedi regionali (di cui 3 distanti poche ore da Roma) e niente di più. Notizia che, se venisse confermata, esporrebbe lui (ancora una volta Meloni) e l’ad Salini a un controsenso imbarazzante, visto che a capo di una divisione con spiccata vocazione “territoriale” ci sarebbe (e si vorrebbe confermare) un dirigente che da Roma non si è mosso quasi mai, né mai si muoverà. Lo testimoniano i fogli viaggio dello stesso Meloni, dai quali emerge – con la compiacenza dei sindacati, che sulla vicenda non hanno versato neppure un grammo di inchiostro – una proverbiale tendenza a gestire le sedi territoriali dalla sua scrivania tutta romana.

PER NON PARLARE DI BRUXELLES

Materia di smentita, tanto per Salini quanto per Foa, i quali (a giudicare dall’ultima querelle sanremese) sembrano aver fatto il voto del silenzio. Silenzio che investe di fatto anche quello che accade nella sede di Bruxelles, dove la Rai – con un condizionale solo di cortesia – spenderebbe oltre 2 milioni di euro l’anno (per esigenze tecniche di produzione, telecamere, sale montaggio, tecnici-operatori, eccetera) senza contratti o gare, alla faccia del codice degli appalti e col beneplacito dei direttori competenti.

E non è finita. Perché pare – sempre per cortesia – che nelle sedi Rai si applichi un modello produttivo datato e poco virtuoso, con notevoli costi di gestione della forza lavoro, scarsissimi ritorni economici ed enormi carenze di personale e strutture: una stortura che, a giudizio dei più, “produce” sì, ma l’inevitabile aumento della richiesta di appalti. Da quanto emergerebbe da report interni, infatti, testate e reti opererebbero sulle sedi regionali in gran parte con il ricorso ad appalti esterni, utilizzando solo al minimo le risorse interne.

INVESTIMENTI INCOMPRENSIBILI

Tutto questo avviene sotto l’attenta e sistematica regia dell’intoccabile direttore della produzione tv Roberto Cecatto (retribuzione annua effettivamente percepita, 240.000 euro), dalla cui scrivania sarebbe passato l’ultimo investimento sulle sedi regionali (l’unico negli ultimi 10 anni): un progetto, che quota oltre 15 milioni per la digitalizzazione delle sedi, ma che non parla la stessa lingua della digitalizzazione delle testate Tg1, Tg2, Tg3, RaiNews24 (come ha raccontato anche Milena Gabanelli sul Corriere della Sera). Ma c’è altro, perché Cecatto potrebbe chiarire a Salini e Foa – se mai i due ne facessero legittima richiesta – la singolare scelta di consegnare alle sedi regionali solo 6 Itaka (mezzi leggeri di trasmissione satellitare) al posto dei 16 mezzi pesanti già presenti in ogni sede, che ha destato non pochi sospetti sulla conseguente necessità di aprire ad appalti e a forniture esterne.

Ma a Salini e Foa – sempre ammesso che i due ne facciano legittima richiesta – Cecatto potrebbe spiegare il noto disfacimento degli impianti di trasmissione Rai, pagati con i soldi dei cittadini e lasciati invecchiare negli stadi, con tutti i rischi che ne derivano in termini di sicurezza e mancata redditività. Un po’ di buone giustificazioni aiuterebbero lui (Cecatto, stavolta) a “bullonare” il suo incarico alla poltrona o, diversamente, ad affidare i suoi “migliori anni” a una Polaroid. Con tanti saluti e nulla più.

Foto Ansa

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