La preghiera del mattino

Ragioni tutt’altro che “populiste” per impuntarsi sul Mes

Di Lodovico Festa
26 Giugno 2023
Rassegna ragionata dal web su: i dubbi di saggi moderati come Tajani e Bonomi riguardo alla riforma del Meccanismo, la rigidità degli eurofanatici, l’obiettivo di trattare alla pari con Francia e Germania
Antonio Tajani
Il ministro degli Esteri e coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Stefano Folli scrive: «L’unica grande novità, che ha cambiato la vita degli italiani, è stato l’ingresso nell’euro voluto da Ciampi e Prodi. I governi tecnici hanno avuto efficacia, ma tutti quelli politici, da Berlusconi ’94 in poi, si sono fermati alla retorica. Della riforma di pubblica amministrazione, giustizia, fisco e concorrenza, che ci sono indispensabili, neanche l’ombra».

È un peccato non essere d’accordo con Folli, opinionista di grande cultura e intelligenza, ma la sua visione della recente storia italiana è esattamente opposta alla mia. Le scelte di Carlo Azeglio Ciampi (inadeguatamente idealista) e di Romano Prodi (adeguatamente affarista) su privatizzazioni e trattato di Maastricht non sono le uniche riforme attuate in Italia, bensì sono quelle che hanno posto, non in sé ma per come sono state attuate, le basi di una disgregazione tale da impedire alla nostra nazione di attuare le riforme necessarie, svuotando la nostra grande industria (non solo molta di quella pubblica ma anche gran parte di quella privata), eliminando le strutture finanziarie di cui aveva bisogno il nostro capitalismo senza capitali, avviando un processo di decadimento della nostra democrazia che alla fine ha visto il quadrilatero Angela MerkelNicolas SarkozyGiorgio NapolitanoIlda Boccassini commissariare concretamente la nostra democrazia politica con la inevitabile reazione di un movimento di protesta senza né capo né coda, i grillini, arrivati nel 2018 al 32 per cento.

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Su First online Franco Locatelli scrive: «Il rifiuto di firmare il Mes – non di utilizzarlo, che non è minimamente in discussione – non ha nulla, ma proprio nulla, a che vedere con la difesa dell’interesse nazionale».

È un peccato che un commentatore colto e intelligente come Locatelli non sia capace di confrontarsi con le opinioni diverse dalle sue, liquidandole come populiste, con quello stile con cui una volta da destra si definiva ogni posizione diversa dalle proprie come comunista, e a sinistra come fascista.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Il Mes continua a essere una trappola per topi come sempre: non vi è nulla di nuovo. Nuova è la divisione politica che la sua incombenza sta già provocando. È prevedibile che si invocherà la ratifica del Meccanismo sulla base di ragioni politiche realistiche – cioè non scatenare crisi relazionali che indebolirebbero il governo per l’opposizione delle borghesie frugali europee, strette dagli incubi dei debiti di guerra che la Nato e quindi gli Usa impongono al mondo –; assicurando, nel contempo, di non farvi ricorso. Ma conosciamo la fragilità di questo argomento: il Mes riformato farà un monitoraggio preventivo del nostro debito, autoavverando, quando vorrà, la profezia dell’intervento. Non saremo noi a deciderne l’attivazione».

Sapelli spera che il nostro rapporto particolare con l’anglosfera ci consenta questa volta di trattare con Parigi e Berlino, e non solo di sottometterci.

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Su Affaritaliani si scrive: «“Ero favorevole prima che arrivasse il Recovery plan, ma se vogliamo essere veramente europeisti il regolamento attuale del Mes non pone alcun controllo, il Parlamento europeo e la Commissione europea non lo controllano. Il Mes ha di fatto gli stessi poteri che ha la Commissione e questo non va bene”, ha specificato Tajani intervenendo ieri alla presentazione del progetto “Europa in Comune”, presso le Corsie Sistine dell’ospedale Santo Spirito di Roma».

Gli eurofanatici indifferenti a un destino di un’Italia da “espressione geografica”, dovrebbero riflettere sulle posizioni di un saggio moderato come Tajani. Dovrebbero chiedersi anche perché anche un Carlo Bonomi, forse grazie alla morsa di Pechino sulla Pirelli, abbia avuto dubbi sul Mes per poi più o meno riallinearsi a quell’egemonia di una borghesia (con alla testa quel che resta degli AgnelliElkann) compradora (così i portoghesi a Macao definivano i cinesi che svendevano interessi nazionali per profitti personali). Insomma, in qualche modo si può dire che la consapevolezza di dover costruire un sistema-paese analogo a quello tedesco e francese non pare più così astratta e insieme demagogica com’era qualche anno fa.

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