Quirinale delle mie brame

Di Martino Loiacono
30 Dicembre 2021
Da Scalfaro in poi, il Capo dello Stato ha esercitato un potere sempre più importante. Il semipresidenzialismo evocato da Giorgetti è già nei fatti
Il palazzo del Quirinale, Roma

Il palazzo del Quirinale, Roma

Un presidente della Repubblica forte con poteri ampi, quale sarebbe quasi sicuramente Mario Draghi, non costituirebbe certo una novità per la storia recente del Quirinale. Le presidenze di Oscar Luigi Scalfaro e di Giorgio Napolitano sono dei precedenti più che eloquenti e dimostrano quanto i poteri quirinalizi siano, secondo l’acuta definizione di Giuliano Amato, a fisarmonica. Dunque in grado di dilatarsi o restringersi a seconda del contesto, dello stato di salute dei partiti e a seconda della sensibilità del Presidente.

Scalfaro e Mani Pulite

Basta analizzare cosa è accaduto tra il 1992 e il 1999, e tra il 2006 e il 2015 per rendersene conto. La presidenza Scalfaro ha segnato l’avvio della crescente centralità del Quirinale. Quella dell’ex presidente della Camera fu a tutti gli effetti una reggenza dello Stato, considerata la grave crisi in cui versavano i partiti, delegittimati dalla magistratura e gravemente indeboliti dagli esiti dei referendum del 1991 e del 1993.

Scalfaro, in questo contesto, fu protagonista del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Assecondò la rivoluzione giudiziaria portata avanti dalla magistratura e non fece nulla per frenarla ma, al contrario, con scelte decisive, permise la distruzione della Repubblica dei partiti di cui peraltro era figlio essendo stato membro della Costituente.

La decisione di non firmare il decreto legge sulla depenalizzazione del finanziamento illecito ai partiti – il cosiddetto “decreto salvaladri” che prevedeva la depenalizzazione del reato di finanziamento pubblico ai partiti, ma non depenalizzava concussione e corruzione – permise a Mani pulite di dilagare. A una possibile soluzione politica, Scalfaro preferì infatti la via giudiziaria che ebbe degli esiti clamorosi.

E poi venne Prodi

Il Capo dello Stato, dunque, fu artefice del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, favorendo l’azione straordinaria delle procure che si incaricarono di selezionare la classe dirigente. Ma Scalfaro non si limitò solo a questo, perché, come noto, si impegnò alacremente per limitare l’impatto di Berlusconi, mettendolo in grave difficoltà più volte.

La sua funzione di contrappeso prima, e poi l’intelligente manovra per portare il Cavaliere a votare la fiducia al Governo Dini, dopo il ribaltone del dicembre ’94, furono cruciali per l’indebolimento di Forza Italia. Soprattutto perché diedero al centrosinistra il tempo di riorganizzarsi. Non a caso nel 1996 Berlusconi fu sconfitto dall’Ulivo di Prodi. Durante il suo settennato, come si può intuire, Scalfaro orientò secondo la sua sensibilità le risposte agli stravolgimenti che stavano modificando in profondità il sistema politico. Ebbe, a conti fatti, un ruolo decisivo e fu la guida principale del Paese durante una delle fasi più difficili della storia repubblicana.

Il pivot Napolitano

Lo stesso può dirsi di Giorgio Napolitano, la cui azione è stata ancor più incisiva di quella di Scalfaro. La scelta di sfiduciare Berlusconi e di nominare un governo del Presidente guidato da Mario Monti e senza esponenti dei partiti è forse l’esempio più notevole dell’allargamento dei poteri del Quirinale.

Durante la crisi del debito sovrano del 2011 Napolitano si incaricò di applicare il vincolo esterno, imponendo dall’alto un governo tecnico. Un’operazione eclatante che ha portato non pochi opinionisti a parlare apertamente di presidenzialismo.

Il suo operato da vero e proprio reggitore dello Stato ha segnato un unicum nella storia della Repubblica, come evidenziato con grande lucidità dallo storico Marco Gervasoni, secondo il quale «Napolitano ha incarnato più di qualsiasi predecessore il ruolo di pivot dell’equilibrio politico e di depositario dei suoi indirizzi».

Semipresidenzialismo nei fatti

Va infine segnalata, dopo la sua rielezione, la scelta di imporre a ogni costo le riforme istituzionali, tramite il governo Renzi, succeduto all’esecutivo Letta nato dopo gli esiti politicamente incerti del voto del 2013.

In questo caso, le riforme si sarebbero schiantate contro la volontà popolare, dato che Renzi avrebbe clamorosamente perso il referendum istituzionale sulla sua riforma costituzionale. Le riforme sarebbero così tramontate con la fine ingloriosa dell’esecutivo guidato dall’ex sindaco di Firenze.

Alla luce delle presidenze Scalfaro e Napolitano, il semipresidenzialismo evocato da Giorgetti, che è ormai al centro delle discussioni delle ultime settimane, non sarebbe una novità a livello sostanziale.

D’altronde ci sono tutte le condizioni perché Draghi possa ampliare i propri poteri: i partiti sono fragili e delegittimati, mancano leader forti e il vincolo esterno si è fatto sempre più stringente per via delle logiche del Pnrr. L’ex presidente della Bce potrebbe così guidare il convoglio dal Quirinale, giocando un ruolo determinante nello scacchiere politico. In piena continuità con l’azione di Giorgio Napolitano.

Foto Ansa

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