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Qui il Verbo si è fatto amicizia

Viaggio al seguito di uno strano gruppo di imprenditori che propongono il pellegrinaggio in Terra Santa come corso di formazione. Perché la prima regola del lavoro è «stare con Cristo»

Rodolfo Casadei
10/01/2020 - 23:30
Società
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Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
La Confraternita Santa Caterina riunita nell’anfiteatro della chiesa costruita nei pressi di Tabgha, luogo della seconda pesca miracolosa e della confermazione di Pietro dopo la resurrezione di Gesù (foto Sandro Naia)

Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

«Non riuscivo a capire tutto questo interesse per noi. Questa gente veniva qui a fare pellegrinaggi e progetti di cooperazione, ma noi gli interessavamo più del pellegrinaggio e del progetto. Mi sono nati sospetti sulle loro motivazioni, e ho affrontato Enrico chiedendogli sfacciatamente i veri motivi del loro interesse. Per tutta risposta mi ha invitata in Italia, a fare visita a lui e agli altri amici. Quando sono tornata non avevo più bisogno di spiegazioni: l’esperienza fatta era la risposta alle mie domande». Wafa Farid Musleh ha 37 anni e 3 figlie, lavora come assistente sociale presso il Caritas Baby Hospital di Betlemme, la cittadina palestinese dove è nata e dove vive, e appartiene alla comunità greco-ortodossa, la più numerosa fra le denominazioni cristiane da queste parti.

Come Lina Rahil, anch’ella betlemita, assistente sociale presso l’ospedale della Caritas e cristiana greco-ortodossa: «Anch’io mi chiedevo: “Ma perché continuano a tornare qui, i soldi ce li hanno, perché non visitano qualche posto meno santo ma più bello e più ospitale?”. Fin dall’inizio si sono dimostrati diversi dagli altri stranieri che vengono qui, chiedono di visitare le chiese, lasciano un po’ di denaro e scompaiono. Loro sono venuti e si sono interessati a noi come persone, senza chiedere nulla in cambio. Abbiamo creato progetti insieme, ma non come le iniziative di una nuova organizzazione, bensì come qualcosa che nasceva da un’amicizia».

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Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
I pellegrini della Confraternita nella spianata del Monte del Tempio o Spianata delle moschee (nella foto di Sandro Naia, la Cupola della Roccia)

Non c’è da stupirsi se i cristiani di Terra Santa hanno fatto della diffidenza un tratto distintivo: nel giro di settant’anni sono diminuiti dal 10 al 2 per cento della popolazione; sono stritolati da un’impasse politico-militare che dura da più di cinquant’anni, quelli residenti nei Territori palestinesi hanno il problema della barriera di separazione, dei permessi israeliani per recarsi a Gerusalemme passando per controlli di sicurezza talvolta estenuanti, del fenomeno demografico per cui oggi nemmeno a Betlemme sono più maggioranza. Nel 1948 i betlemiti cristiani erano l’85 per cento della popolazione, oggi non sono più del 20 per cento.

Gente molto particolare

Grazie a una legge promossa da Yasser Arafat al tempo della creazione dell’Autonomia nazionale palestinese (Anp), il sindaco e il vicesindaco di Betlemme (e di Beit Sahour e Beit Jala, altri due villaggi storicamente cristiani) devono essere cristiani, e mentre questo offre qualche garanzia alla comunità in via di estinzione, nello stesso tempo alimenta gelosie e contrasti. Lo sa bene l’attuale primo cittadono Anton Salman, che è stato sfregiato da un venditore ambulante a causa della sua battaglia contro l’abusivismo commerciale; lo sanno le autorità accademiche impegnate in trattative con gli studenti e le studentesse musulmani che non si accontentano di una sala di preghiera e protestano perché vogliono una moschea dentro al recinto dell’Università cattolica di Betlemme.

Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
Sulle mura di un castello crociato in Terra Santa (foto Sandro Naia)

Ma chi sono l’Enrico sopra evocato e i suoi amici? Gente molto particolare, alla quale la definizione di persone attive in imprese no profit e in opere di carità sta stretta. Arrivano da 24 diverse città italiane, si sono dati il nome di Confraternita Santa Caterina e come corso di formazione per gli affiliati hanno proposto una visita guidata di cinque giorni in alcuni dei luoghi più significativi della Terra Santa, «ma avremmo potuto scegliere qualunque altro posto, e sarebbe stata la stessa cosa, perché quello che siamo lo siamo ovunque».

Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
La firma del patto di amicizia tra i comuni di Betlemme e Comacchio (nella foto di Sandro Naia, i sindaci Anton Salman e Marco Fabbri)

Nel corso del pellegrinaggio si sono fermati a cantare il Non nobis Domine dei Templari sulle rovine di un castello crociato fuori dalle rotte turistiche, ma non sono organici alla temuta destra religiosa che turba i sonni di certi intellettuali cattolici, anzi fra loro c’era il sindaco civico ex Cinque stelle di Comacchio, Marco Fabbri, che ha firmato un patto di amicizia con quello di Betlemme nel locale palazzo municipale dopo che tutti i 93 visitatori italiani avevano cantato a piena voce la prima strofa dell’Inno di Mameli, e che nel suo discorso ha esecrato la politica dei “porti chiusi” ai migranti e profetizzato che le tendenze xenofobe oggi vive in Europa sono solo una fase storica passeggera.

Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
L’evento in occasione della firma del patto di amicizia tra i comuni di Betlemme e Comacchio (foto Sandro Naia)

Da don Giussani a Napoleone

Come guida del loro peregrinare si sono scelti un laico consacrato che vive e opera in Terra Santa da 22 anni, prima al servizio dell’ordine dei Fatebenefratelli presso il loro ospedale di Nazareth e poi come responsabile capo dell’ufficio tecnico della Custodia di Terra Santa, Ettore Soranzo, che mai legge o fa leggere i brani evangelici corrispondenti ai luoghi che si visitano, ma cita don Luigi Giussani e Napoleone Bonaparte (i suoi scritti postumi sulla verità del cristianesimo), racconta e offre spiegazioni degli eventi con contestualizzazioni a volte storiche, a volte psicologiche, a volte ispirate a intuizioni che hanno a che fare col semplice buon senso. Come quando davanti ai resti della casa di Pietro a Cafarnao dà una sua spiegazione della manfrina di Gesù che prima perdona i peccati e poi guarisce il paralitico dopo i mormorii dei farisei. Non si sarebbe trattato di una provocazione nei confronti di questi ultimi, dice Soranzo. «Magari il paralitico non era lì volentieri, magari ce lo avevano trascinato gli amici contro la sua volontà, cercando di convincerlo che stavolta non si trattava di un ciarlatano come purtroppo era successo tutte le altre volte. Allora Gesù si mette sulla sua lunghezza d’onda: parte dai suoi tormenti interiori, dal bisogno di perdono che aveva come tutti gli esseri umani e che nemmeno i suoi amici fidati tenevano in considerazione. Poi, per premiare la fede di quei quattro uomini che avevano trasportato fin lì un malato probabilmente scettico, provvede anche alla guarigione fisica del paralitico. Il messaggio è: “Portate a me i vostri cari bisognosi anche se non sono ben disposti, penso a tutto io”».

Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
Ettore Soranzo (il primo a destra nella foto di Sandro Naia) conduce il pellegrinaggio

Enrico Tiozzo è il presidente della Federazione nazionale dei Centri di solidarietà ed è un socio dell’Associazione di promozione sociale Santa Caterina che riunisce 158 soci, 75 con personalità giuridica e 83 persone fisiche. La chiave di lettura della vicenda la dà lui: «Prima che un’istituzione, la Chiesa è un’amicizia. La Chiesa è stata dall’inizio un insieme di persone che volevano stare insieme con Lui, Cristo. Tutto il resto, comprese le opere di carità, viene dopo».

Anche Dio ha bisogno di compagni

Questo effettivamente spiega tante cose, a cominciare dal rapporto che si è creato con molti cristiani di Betlemme e dintorni che cattolici non sono, ma che oggi vivono l’amicizia che è nata come l’incarnazione più compiuta della loro identità cristiana. «Nemmeno Gesù se l’è sentita di compiere la sua missione da solo, era Dio ma ha avuto bisogno della compagnia degli apostoli! Come avrei potuto io, che sono tanto più piccola di Lui?», dice Wafa nel corso di un’assemblea coi visitatori italiani all’Azione Cattolica Center di Betlemme. «Abbiamo accettato questa magnifica amicizia con voi perché ci dà la speranza di non essere soli come cristiani in Terra Santa. L’amicizia con voi, che è la stessa di Gesù con gli apostoli, mi ha aiutato ad aprire il cuore e l’anima al dono che Gesù mi ha fatto di avermi fatta nascere cristiana in Palestina. Prima di allora la sentivo come una punizione di Dio: mi aveva fatto nascere in una terra senza libertà e con tanti problemi, dove il mio cuore era soffocato dalla solitudine e il seme dell’amore per Cristo che vi era stato posto col battesimo non poteva fruttificare. Ora questa preziosa esperienza di amicizia mi dà il desiderio di essere pietra viva della Chiesa fra le pietre morte della Terra Santa. Grazie a questa amicizia sperimento la libertà nel mio cuore, anche se ai nostri corpi continua a mancare».

Il segreto delle opere

Il filo rosso del pellegrinaggio-corso di formazione è l’amicizia con Cristo, che concretamente è l’amicizia fra persone che hanno in comune Cristo. Per cui c’è la visita al Santo Sepolcro a Gerusalemme, ma c’è anche, con la stessa dedizione, la visita al luogo dove sorgeva il portico di Salomone, in quella che adesso è nota come spianata del Monte del Tempio o spianata delle moschee: il luogo dove si trovavano i primi cristiani gerosolimitani già quando Gesù era fisicamente con loro e poi dopo la Pentecoste. È lì, e non davanti alla basilica del Santo Sepolcro, che i 93 pellegrini si fanno fotografare tutti insieme.

Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
La comitiva lungo le mura di Gerusalemme (foto Sandro Naia)

La visita adorante al luogo dove fu deposto il corpo di Cristo dopo la crocifissione è, ammettiamolo, una delusione: rumore, distrazione, una coda interminabile di persone che parlottano e si raccontano barzellette mentre si approssima il loro turno di ingresso nell’edicola del sepolcro; i sacerdoti greco-ortodossi che fanno la guardia sui gradini che conducono alla prima delle due cappelle di cui è costituito il sacrario chiacchierano coi conoscenti senza ritegno; non si fa in tempo a prosternarsi sul marmo che ricopre la roccia dove fu deposto il corpo di Cristo, che un altro sacerdote batte due volte le mani per ordinare di allontanarsi e lasciare il posto ai successivi visitatori. Invece sulla spianata delle moschee, luogo non sempre disponibile alle visite dei gruppi a causa delle note tensioni politico-religiose, Enrico ed Ettore si prendono tutto il tempo necessario a rievocare il famoso episodio di Gesù che caccia i mercanti dal tempio. «I mercanti svolgevano un servizio pubblico: per l’offerta al tempio servivano coppie di colombi, che la gente non poteva portarsi da casa, e i cambiavalute erano necessari perché nel tempio non potevano entrare monete con l’effigie di Cesare. Perché allora Gesù si arrabbia tanto?», domanda Ettore. «La risposta tradizionale è che i commercianti avevano debordato dall’area a loro riservata, e occupavano la parte più sacra del tempio», interviene Enrico, «ma è una spiegazione incompleta: Gesù non era un legalista, quante volte ha violato regole e precetti, se ha rovesciato i banchi dei venditori doveva avere una ragione più sostanziale». Quale? «Gesù si arrabbia perché hanno dimenticato il vero motivo del loro lavoro –essere al servizio di Dio – presi dalla smania del guadagno. Questo è un forte richiamo per noi: quante volte dimentichiamo la motivazione da cui nascono le nostre opere? Quante volte abbiamo avuto bisogno che una persona autorevole ci correggesse con la stessa veemenza con cui Gesù ha corretto i suoi compatrioti nel tempio?».

Ecco l’altro pezzo forte della Confraternita, accanto all’amicizia come luogo concreto della presenza di Cristo fra gli uomini, allo “stai con me” come moderna traduzione del “venite e vedete” evangelico: le opere sono niente senza la fedeltà al motivo originario per cui si agisce. «Al centro non c’è l’opera, ma il soggetto che la mette in campo. L’opera comunica la natura del soggetto, l’ideale per cui egli si muove. I servizi che si rendono valgono nella misura in cui comunicano il soggetto vivo che li propone».

La pesca miracolosa

Ma perché questa centralità del soggetto non sia intesa come autoreferenzialità, il pellegrinaggio della Confraternita non salta mai la tappa di quella spiaggetta sul lago di Tiberiade dove Gesù risorto mangiò il pesce con alcuni discepoli e poi chiese a Pietro quanto lo amava e infine gli affidò il gregge dei fedeli. Per la maggioranza dei pellegrini questo è soprattutto il luogo del sigillo definitivo del primato di Pietro, e infatti qui sono venuti in visita papi. Ma per gli amici della Confraternita questo è soprattutto il luogo della pesca miracolosa che i discepoli realizzano obbedendo alle indicazioni apparentemente insensate di Gesù: gettare le reti dalla parte destra (cioè verso la riva anziché verso il largo) col sole già alto.

Pellegrinaggio della Confraternita Santa Caterina in Terra Santa
Sulle rive del lago di Tiberiade (foto Sandro Naia)

«La pesca miracolosa è il racconto evangelico che meglio esprime la natura della Confraternita», sorride Tiozzo. «Seguire Gesù vuol dire obbedire a criteri che non sono quelli del mondo, anche nella realtà del proprio lavoro. Noi siamo quelli che gettano le reti dalla parte sbagliata nell’ora sbagliata perché ci fidiamo di Gesù e non ci importa di quelli che scuotono la testa guardando quello che facciamo. Perché siamo stati toccati, perché c’è stato donato il tesoro che è la presenza di Cristo fra noi che continua attraverso i nostri rapporti. Perciò i nostri criteri non saranno mai quelli del management che puoi leggere sul Sole 24 Ore, da applicare secondo alcuni anche alle opere di carità». «I 153 pesci contati uno per uno dopo una pesca così miracolosa che non ha nemmeno compromesso le reti (non si sono spezzate) sono il segno che se ami Gesù fino a fare la sua volontà avrai anche il centuplo delle altre cose che ami, delle cose che ti appassionano», aggiunge Ettore. Hai detto poco, amico.

@RodolfoCasadei

Tags: betlemmecristianesimoCristianigerusalemmeIsraeleLuigi Giussanipalestinatempi gennaio 2020terra santaterzo settore
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