Quanto può sopravvivere ancora una società “culturalmente cristiana”?

Di The Catholic Herald
29 Maggio 2024
Riflessioni in margine alla concreta probabilità che la Gran Bretagna si ritrovi presto per la prima volta un capo di governo dichiaratamente ateo
Il leader del Labour e secondo i sondaggi probabile prossimo primo ministro britannico Keir Starmer con la moglie Victoria
Il leader del Labour e secondo i sondaggi probabile prossimo primo ministro britannico Keir Starmer con la moglie Victoria (foto Ansa)

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione l’editoriale del numero di maggio del mensile britannico. La versione originale inglese dell’articolo è disponibile in questa pagina.

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Il tema della copertina di questo mese è la prospettiva per la Gran Bretagna di trovarsi dopo le elezioni generali del 4 luglio ad avere per la prima volta un primo ministro dichiaratamente ateo. Sir Keir Starmer, il leader del Labour, non sarebbe il primo non credente a guidare il governo; sarebbe però, come come sottolinea Paul Goodman, il primo ad ammetterlo apertamente. Abbiamo già il primo premier non cristiano con Rishi Sunak, che è un indù praticante. Tuttavia, resta uno shock rendersi conto di come il non credere sia talmente diffuso in politica da risultare irrilevante per l’elettorato.

La Gran Bretagna è cambiata, ovviamente. Nel 2021 i risultati del censimento rivelarono che meno della metà della popolazione, il 46 per cento, si identificava come cristiana, e che questo era vero soprattutto tra i giovani. Il principale imputato per la situazione non è l’immigrazione da paesi non cristiani, anche se questo è un fattore; è invece l’esaurimento di una generazione che un paio di decenni fa si sarebbe considerata per lo più cristiana. Sir Keir è dunque rappresentativo della Gran Bretagna di oggi nella sua mancanza di fede e nella sua propensione ad ammetterla.

Eppure, come dice Lord Goodman, a Sir Keir non manca la familiarità con la religione come fonte di influenza sociale. Lady Starmer è ebrea e la famiglia celebra ogni settimana il pasto del Sabbath; e qualora lui pratichi una religione, si tratta della fede ebraica. Tuttavia, Sir Starmer stesso proviene da un ambiente che potrebbe essere descritto al meglio dall’efficace espressione “culturalmente cristiano”. Nella piccola città da cui proviene, nel Surrey, la chiesa anglicana locale, frequentata dalla madre disabile, era un centro di vita sociale e comunitaria; il padre era un ateo militante ma in rapporti amichevoli con il parroco. Un tale contesto era un tempo la norma in Gran Bretagna.

L’emarginazione di questa fede data per scontata è stata una perdita, sia dal punto di vista sociale che da quello spirituale. Se la Gran Bretagna è oggi una società più atomizzata, più individualista, più solitaria, uno dei motivi è che la gente non frequenta più una chiesa – benché molti altri frequentino una moschea.

Rishi Sunak, attuale primo ministro britannico e leader dei Tories
Rishi Sunak, attuale primo ministro britannico e leader dei Tories, è di religione indù (foto Ansa)

Così ci resta quella cosa ambigua che è il cristianesimo culturale, ossia quanti hanno avuto una famiglia cristiana, hanno una vaga familiarità con le storie della Bibbia, amano l’arte cristiana e si identificano genericamente con un’etica cristiana. Tra questi, l’esempio più famoso emerso recentemente è quello di Richard Dawkins, un ateo dedito al proselitismo che adesso afferma di essere felice di definirsi un “cultural Christian”, che apprezza gli aspetti letterari della Bibbia e che è contento di vivere in un paese culturalmente cristiano – ma che non può professare una sola parola del Credo.

Molti culturalmente cristiani, come il professor Dawkins e anche lo stesso primo ministro, sono andati in scuole anglicane; una delle ragioni per cui Rishi Sunak si trova perfettamente a suo agio nel leggere le Scritture cristiane durante le funzioni religiose nelle ricorrenze nazionali è che ha frequentato il Winchester College. Ma il numero di scuole dove gli alunni frequentano la cappella e studiano le Scritture come hanno fatto questi uomini è ormai molto ridotto.

Il cristianesimo culturale non è una fede; è il residuo o l’impronta della fede. Vedremo per quanto tempo ancora la gente continuerà ad avvertire affinità con il cristianesimo senza avere avuto alcun incontro con la sua esperienza né conoscenza della sua visione. Coloro i cui genitori andavano in chiesa, come la madre di Sir Keir, avranno una conoscenza della fede, ma questo tenue legame difficilmente potrà sopravvivere nella generazione successiva. Dobbiamo essere chiari su cosa comporta questa perdita.

Il cristianesimo è alla radice del sistema etico dell’Occidente e dei paesi che il cristianesimo hanno abbracciato; il concetto stesso di dignità umana individuale e il progetto liberale derivano dalla fede. Lo mette in chiaro lo storico Tom Holland nel suo libro Dominion. E come spiega un altro storico, Sir Larry Siedentop, in Inventing the Individual, le radici dell’individualismo affondano saldamente nel cristianesimo. Se la fede che ha prodotto queste cose appassisce, alla fine anche la dignità umana individuale potrebbe appassire.

I cattolici possono fare sì che il cristianesimo non venga completamente emarginato. Se le scuole cattoliche fanno bene il loro lavoro nell’educare gli alunni alla conoscenza e all’amore di Dio, assicureranno che rimanga una schiera di credenti a sfidare la mentalità del mondo. E dove la fede è praticata integralmente, essa può ancora suscitare conversioni. Il cristianesimo culturale è una cosa morta, ma la Chiesa in Gran Bretagna, anche se più piccola di un tempo, è molto viva.

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