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Quanto ci servirebbe oggi un Chesterton

Il caso GKC dimostra che perfino in questa malridotta modernità un uomo colto, intelligente e geniale può ritrovarsi protagonista del vero miracolo del cristianesimo: la conversione

Peppino Zola
30/10/2022 - 6:23
Cultura
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Gilbert Keith Chesterton
Gilbert Keith Chesterton (foto Encyclopædia Britannica)

Caro direttore, c’eri anche tu quando, lo scorso 24 ottobre, al Centro culturale Rosetum si è tenuto un bell’incontro per ricordare i 100 anni dalla entrata ufficiale (nel 1922) del grande Chesterton nella Chiesa cattolica, occasione per renderci conto dell’importanza della presenza di un personaggio insolito, che, con il sorriso sul volto e la tenera ironia nel cuore, ha strenuamente difeso, con tutti i suoi numerosissimi scritti, la verità del cristianesimo, tanto che, alla sua morte (avvenuta nel 1936), papa Pio XI lo definì defensor fidei, il massimo merito che si possa attribuire alla vita di un battezzato.

Nella presentazione del libro di GKC Perché sono cattolico, il cardinale Giacomo Biffi così ne scriveva:

«La Provvidenza ha suscitato quest’uomo come antidoto efficace contro tutti i veleni che sono imperversati lungo tutto il secolo XX, ma che si sono fatti ancora più virulenti nella sua seconda metà, quando l’avventura umana di Chesterton si era ormai conclusa da un pezzo. Nei suoi scritti si trovano denunciate praticamente tutte le nostre follie… Purtroppo la cristianità ha cominciato a dimenticarsene proprio quando il suo magistero sarebbe stato più necessario per prevenire e contrastare i nostri guai».

Infatti, oggi più che mai ci vorrebbe un Chesterton tra di noi.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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L’incontro a cui mi sono appena riferito è stato intitolato “Il cristianesimo mi ha allargato la ragione”. E infatti proprio la strenua difesa della RAGIONE da parte di Chesterton è stato uno dei punti che hanno caratterizzato il suo “magistero”, in un’epoca in cui la presenza cristiana veniva cocciutamente attaccata e criticata da quell’errato uso della ragione operato proprio dal razionalismo, uso che, per il nostro amico, porta inevitabilmente alla “pazzia”, come ha argomentato con osservazioni molto argute e divertenti. Famosa la sua frase: «Il pazzo non è l’uomo che ha perso la ragione, il pazzo è l’uomo che ha perso tutto tranne la ragione».

E, a questo proposito, Chesterton ci offre una immagine sorprendente e convincente. Egli paragona il razionalista (cioè l’ideologo impazzito) al serpente che si morde la coda, cioè a un cerchio che gira continuamente su se stesso senza mai progredire, rimanendo perennemente solo se stesso, cioè “pazzo”. Il simbolo del pensatore cristiano, invece, è la Croce, perché essa,

«anche se al suo centro ha una collusione e una contraddizione, può estendere le sue braccia per sempre, senza alterare la sua forma. Poiché ha un paradosso al centro, può crescere senza cambiare. Il cerchio è destinato a tornare su se stesso. La croce apre le braccia ai quattro venti; è un segnale per i liberi viaggiatori». E, quindi, «l’uomo può capire ogni cosa grazie all’aiuto di ciò che non capisce. Il logico morboso [il razionalista, ndr] cerca di rendere tutto chiaro e riesce a rendere tutto misterioso. Il mistico accetta che una cosa rimanga misteriosa e tutto il resto diventa chiaro».

Il tema della ragione, per Chesterton, è strettamente legato, come ha dimostrato molto chiaramente Ubaldo Casotto, a quello della REALTÀ, perché è solo a partire dal guardare con stupore alla realtà che può iniziare ogni ragionamento e, in questo senso, Chesterton ha dimostrato tutto il suo realismo riferendosi continuamente all’uomo “comune”, cioè all’uomo non ideologizzato, non rovinato dalle idee “pazze” (abbiamo presente la cultura gender?) del mondo razionalista e sempre più individualista. È il rispetto dei dati oggettivi ed evidenti della realtà che permette alla ragione di rimanere fedele al suo compito, che è quello di collaborare con Dio per approfondire il senso e la verità di tutta la vita.

Chesterton ha scritto pagine memorabili a difesa della LIBERTÀ dell’uomo e della libertà di Dio, polemizzando per anni contro le “mode” che impediscono all’uomo di aderire liberamente alla verità e contro la scienza deterministica, che descrive un mondo obbligato a un cammino prestabilito e non alla libertà creativa di Dio, descritto da GKC come un eterno bambino che non si stanca di dire ogni giorno al sole di sorgere e all’erba di crescere, dicendo al creato instancabilmente “ancora”, come fanno i bambini quando piace loro un gioco.

Come ha spiegato Annalisa Teggi, Chesterton è entrato nella Chiesa cattolica perché essa è l’unico luogo in cui il PECCATO non rimane un segreto che umilia, ma una circostanza che viene perdonata, anzi, annullata. Non si è realisti se non si accetta la circostanza, peraltro molto evidente, che tutti noi viviamo con quel misterioso limite che la Chiesa chiama “peccato originale” e che Chesterton amava definire come “caduta”, da cui solo la Chiesa può rialzarci.

Ma la grande parola per la quale Chesterton si è convertito e per difendere la quale ha scritto saggi, romanzi, commedie, poesie, storie di santi e tanto altro è proprio la parola CHIESA, che ha amato in modo incredibile, a dispetto dell’ambiente protestante e massonico in cui ha vissuto. Grazie a un sacerdote (che poi ha preso a modello per descrivere il suo mitico padre Brown) e grazie a un incredibile gruppetto di amici è entrato definitivamente e ufficialmente nella Chiesa cattolica 14 anni dopo avere scritto il più “cattolico” dei suoi libri, e cioè Ortodossia (1908), forse anche come segno di tenera attenzione verso la sua amatissima sposa, affinché anche lei avesse il tempo per compiere lo stesso percorso.

Chesterton ha scritto di avere compiuto questa scelta perché la Chiesa cattolica era il solo luogo in cui ha trovato «l’accostamento dello straordinario con l’ordinario», perché

«abbiamo la necessità di vedere il mondo come un luogo dove una sensazione di meraviglia si unisce ad una sensazione di accoglienza; abbiamo bisogno di sperimentare la felicità in questo paese delle meraviglie, senza tuttavia mai sentirci semplicemente a nostro agio».

Una Chiesa descritta come il luogo in cui «tutte le verità si sono date appuntamento».

L’incontro a cui mi riferisco ci ha fatto vedere che anche oggi, in questo mondo così conciato, è possibile che un uomo intelligente, colto e geniale possa essere protagonista del vero miracolo del cristianesimo, che è la CONVERSIONE. Miracolo che il più grande amico di Chesterton, Hilaire Belloc (cattolico per tradizione famigliare) ha così commentato:

«L’ammirazione che il cattolico di nascita nutre per il coraggio del convertito è una eco esatta dell’ammirazione che la Chiesa dei primi secoli nutriva per i martiri. Perché la parola martire significa testimone. Il fenomeno della conversione […] è il grande testimone moderno della veracità della fede, di questo fatto che la fede è realtà e che soltanto nella fede sta il fondamento della realtà».

Personalmente, la partecipazione ad un evento circa la persona di Chesterton mi ha fatto ripensare a ciò che, per pura grazia (dato che non vi erano premesse favorevoli a questo), mi è capitato: don Giussani è il padre indiscutibile della mia fede (senza l’incontro con lui chissà dove sarei ora); Chesterton ha contribuito a confermare allegramente questa fede, che mi ha legato a una amicizia assolutamente sorprendente e gratuita.

Peppino Zola

Tags: cristianesimogilbert keith chesterton
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