Puntiamo tutto sulla libertà. Nostra e vostra

Di Emanuele Boffi
15 Luglio 2020
La cooperativa editrice di Tempi ha acquistato la testata. Dire che “siamo padroni di noi stessi” è upna frase balorda che ci fa sorridere, ma, insomma, ci siamo intesi. Obiettivo: raddoppiare gli abbonamenti
Copertine del mensile Tempi

Pubblichiamo l’editoriale del numero di luglio 2020 di Tempi. Attenzione: di norma i contenuti del mensile sono riservati agli abbonati. Per abbonarti a Tempi, clicca clicca qui.

Era il 24 agosto 1998 e nella fiera di Rimini faceva un caldo sahariano. «Sono tempi sudati», disse Giancarlo Cesana introducendo l’incontro “Bei Tempi, l’avventura continua”. Come avete capito, il tono era scanzonato e tra i tre relatori – Cesana, Giorgio Vittadini e Luigi Amicone – non mancarono le battute, come si conviene tra amici che si trovano a parlare su un palco del Meeting con la stessa naturalezza con cui si dialoga a tavola. 

Su Radio radicale si trova ancora il file audio di quell’incontro e la cosa che più stupisce è il ripetersi di alcune espressioni che, all’apparenza, con il mondo del giornalismo c’entrano ben poco. Quasi nessun riferimento alla crisi dell’editoria (che c’era già allora), alla retorica del redattore dalla “schiena dritta” che fa “le inchieste scomode” (logoro refrain che non manca mai nelle presentazioni dei giornali), all’opposizione ai “poteri forti” (che sono sempre quelli altrui, ovviamente). Le parole che si sentirono quel pomeriggio furono tutte fuori sincrono rispetto a un mondo cui piace nascondere con frasi altisonanti una povertà di contenuti scoraggiante. Si parlò invece di “amicizia”, “giudizio”, “militanza” e, soprattutto, “luogo”. Tempi è un giornale perché è un luogo, un posto, un “qui”, dove si trovano delle idee perché si trovano delle persone che hanno il coraggio di esprimerle in pubblico. 

La copertina del numero di luglio 2020 di Tempi

Era il 1998 e la rivista esisteva da tre anni: se c’era, era perché al gruppo di ardimentosi ideatori s’era affiancato un piccolo grande popolo che con generosità s’era abbonato, s’era dato da fare per far circolare il settimanale tra amici – e anche nemici –, aveva provveduto che quel luogo divenisse una zona franca dove esprimere opinioni che la grande stampa ignorava o, il più delle volte, disdegnava. Dall’ascolto di quell’audio si intuisce che ad accomunare chi faceva materialmente la rivista e chi la sosteneva era l’intenzione di giocare un giudizio cattolico (ma non clericale) nel mondo più rocciosamente clericale (ma non cattolico) che ci fosse: il mondo dei mass media. Sapete una cosa? Funzionò.

Poi sono successe tante cose, ci sono stati errori e grandi eventi, scoop e ingenuità, i soldi – è una costante – sono sempre stati pochini, la barca è pure affondata, ma non è cambiata la rotta né l’intento di allora che è sempre stato quello di fornire uno «strumento di giudizio e libera circolazione d’idee», come recitava l’esergo sotto lo squaletto infilzato dalla stilografica. 

Ora è accaduto questo: lunedì 29 giugno la cooperativa Contrattempi, creata da noi giornalisti due anni e mezzo fa per rieditare la rivista in periodicità mensile, ha acquistato la testata Tempi. Dire che “siamo diventati padroni di noi stessi” è una frase balorda che fa sorridere gente come noi che di Padrone ne riconosce uno solo, ma, insomma, ci siamo intesi, e ringraziamo il professor Valter Mainetti di aver accettato la nostra richiesta di acquisto. 

Lo sapete: oggi la situazione è peggiore del 1998. Il mondo dell’informazione è messo così male che la condizione disastrosa di fine millennio sembra l’Eden, c’è stato il Covid che ha ammazzato il mercato della pubblicità, la coltre di chiacchiere in cui s’accartocciano questioni antropologiche capitali (lo vediamo in questi giorni sul razzismo e l’omofobia) s’è fatta così spessa che è quasi impossibile perforarla. Ma, appunto, come due anni fa, noi di Contrattempi siamo convinti che nessun altro luogo come Tempi sia oggi così essenziale per smascherare le «curie clericali e le curie anticlericali», come le chiamava Péguy, che dominano il dibattito pubblico moderno. 

Noi redattori di Tempi siamo disposti a sopportare personali sacrifici economici perché il giornale esista, a voi chiediamo di abbonare un amico che non ci conosce (qui un’offerta speciale). Da qui a fine anno puntiamo a raddoppiare le sottoscrizioni, consapevoli che il nostro sforzo sarebbe vano se non fossimo certi che ad altri, oltre a noi, interessa l’esistenza di questa zona franca che chiamiamo Tempi. Abbiamo sempre fatto così, abbiamo sempre rischiato tutto sulla nostra e vostra libertà. Sapete una cosa? Funziona sempre. 

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