Lettere al direttore

Programma per cattolici in politica: essere cattolici

Di Emanuele Boffi
25 Gennaio 2025
Se non si vuole ridurre l'impegno dei fedeli a operazione "da laboratorio" in cerca di consenso (tipo quella intorno al nome di Ruffini), sono due le condizioni da rispettare
Ernesto Maria Ruffini
Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, indicato dai media come possibile futuro leader del centro (foto Ansa)

Grazie per “La preghiera del mattino | Ma come comunica il governo?” che tutte le mattine leggo sempre molto volentieri.

Ernesto Noè

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Vedo che noi poveri fedeli (cattolici) laici di strada siamo, come si usa dire, tirati per la giacchetta, nel senso che siamo ossessivamente invitati a fare tante cose, come conseguenza del nostro essere cattolici. Veniamo, cioè, invitati a considerare le conseguenze della nostra appartenenza al popolo cristiano, ma spesso senza le ragioni di fondo per le quali, per grazia, apparteniamo a questo popolo. Nel suo straordinario “Racconto dell’Anticristo”, Soloviev descrive drammaticamente il rapporto tra il Potere e la presenza dei cristiani. E l’Anticristo, che vuole apparire buono, chiede, in sostanza, ai cristiani che cosa lui, buon uomo, può fare per loro: che cosa interessa a loro? Lo starets Giovanni, allora, risponde con dolcezza: «Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità». Ci viene chiesto di fare tante cose, ma molto raramente ci viene data la ragione originaria del nostro impegno, che è l’unica che libera veramente ogni pensiero ed ogni azione.

Ultimamente, probabilmente sull’onda di una banale iniziativa di alcuni cattolici, viene, giustamente, chiesto ai laici di impegnarsi anche in politica, contro il pericolo di una crescente irrilevanza, su quel fronte, della nostra presenza. Vorrei chiarire e ricordare che, comunque, ci sono già da tempo cattolici, su fronti diversi, impegnati nell’attività politica e partitica e che, quindi, occorre, per essere serenamente oggettivi, prendere atto che taluni di loro si sono occupati non solo di “accoglienza”, ma anche di vita dall’inizio alla fine (opponendosi al “diritto” all’aborto ed al suicidio assistito), di libertà di educazione, di famiglia, di tutela globale dell’antropologia come ci è stata donata dal Creatore. In una famiglia ancora, tutto sommato, numerosa, un padre deve tenere conto di tutti i suoi figli e non solo di alcuni.

Detto questo, prendo molto sul serio l’auspicio che i cattolici si impegnino (come personalmente ho fatto da giovane) con intelligenza e generosità nel campo politico/partitico, anche se penso che vi siano almeno due condizioni per rendere serio e, quindi, efficace tale impegno.

La prima condizione per rendere credibili i cattolici in politica è che ci siano i cattolici. Mi chiedo: quanti cattolici oggi impegnati (ripeto, su fronti diversi) in tale attività sarebbero disponibili a sottoscrivere quando lo starets Giovanni disse all’Anticristo? Quanti decidono di impegnarsi in questa forma di alta carità (S. Paolo VI) sulla base di una reale esperienza di comunione con la realtà di Cristo stesso e con la realtà storica espressa dalla Chiesa con la sua dottrina sociale? Esiste, oggi, un pensiero cattolico capace di indirizzare non conformisticamente l’azione culturale, prepolitica e politica del nostro Paese e del mondo intero? Chi spinge i laici ad un nuovo impegno in politica non dovrebbe, prima di tutto, formare libere persone a dare la vita per il pensiero di Cristo, così come la Chiesa lo ha fatto pervenire fino a noi? Non è forse vero che prima di pensare a “scuole di politica” sarebbe necessario pensare a scuole di annuncio e di esperienze cristiane? La migliore classe politica cattolica italiana non è forse nata sulla base di una preventiva formazione cristiana e di un impegno di base nella società? Senza la solidità di pensiero e di esperienza nata e cresciuta nella vita comunitaria, la presenza cattolica in politica finirebbe solo per scimmiottare le parole di altri, senza nessuna possibilità di correggere gli errori madornali indotti anche nella politica dalla cultura dominante. Purtroppo, oggi molti (troppi) cattolici sono diventati umili servitori della politica altrui. Tanti cattolici che si dichiarano adulti (perché indipendenti da tutto) finiscono con l’essere tristemente banali, conformandosi di fatto e al di là delle intenzioni al pensiero di ciò che Gesù definisce come “mondo”.

La seconda condizione è che questi cattolici formati ad esserlo anche in politica siano, poi, uniti. Non uniti nel senso di appartenere ad uno stesso partito, ma nel senso di appartenere ad uno stesso ambito culturale di pensiero. Il che significa che occorrerebbe, con urgenza, creare un luogo (non di parte) in cui i cattolici possano confrontarsi e poi esprimere un atteggiamento ed un pensiero comuni, qualunque sia il partito di appartenenza. Perché, in tema di “accoglienza” i cattolici in politica non possono esprimere una direzione comune? Perché la stessa cosa non può avvenire anche nei temi che riguardano la vita e la famiglia? Mi pare che ci siano delle tematiche nelle quali sarebbe comunque doverosa l’unità dei cattolici, indipendentemente dai luoghi in cui essi svolgono la propria attività. Nei tempi in cui i cattolici italiani non potevano neppure svolgere attività politica, fu messa in atto l’Opera dei Congressi, grazie alla quale la presenza sociale dei cattolici fu non solo possibile ma addirittura incrementata. Per analogia, perché non creare autorevolmente un luogo, ripeto, nel quale mettere in comune un pensiero e, almeno su alcune tematiche, sviluppare anche una azione comune? So le difficoltà che vi sono in proposito, innanzi tutto dovute al fatto che anche nelle comunità cristiane si è inserito (abile, in questo, il demonio!) un filone individualista che impedisce la comprensione dell’esigenza dell’unità. A Trieste abbiamo assistito a questa difficoltà: persino da un gesto teoricamente unitario della Chiesa italiana è nata una iniziativa divisiva del mondo cattolico. Ma lo Spirito, che non smette mai di assisterci, può sempre cambiare le carte in tavola e quindi, in questo anno giubilare, non perdiamo la speranza.

Nel senso indicato, ci attende un cammino lungo e non facile, ma che vale la pena percorrere. Sarà di grande aiuto che i padri amino nello stesso modo tutti i loro figli.

Peppino Zola

Grazie Peppino per avere rimesso il dibattito sui giusti binari. A me pare che, come in questi giorni, quando s’inizia a parlare dell’impegno dei cattolici, sotto sotto, non si miri ad altro che ad accaparrarsi un consenso in un’area dagli incerti confini (sì, mi sto riferendo all’operazione “da laboratorio” di Ruffini).

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Gentilissimo direttore, a scriverle siamo un gruppo di giovani mamme in rappresentanza di tante famiglie e ragazzi della diocesi di Modena e Carpi. Nella città di Modena, come in quelle di Firenze e Rimini, ha avuto luogo quasi in contemporanea un ciclo di incontri tra ottobre e gennaio, intitolato “Cristiani LGBT+. Cammini possibili”, organizzati dall’associazione “La tenda di Gionata” e, nel caso modenese, in collaborazione con la biblioteca del seminario diocesano, dove pure si sono svolti. L’associazione di cui sopra dal 2018 promuove nuove modalità di incontri esistenziali di queste realtà affettive, fino ad oggi nelle sole parrocchie e ora anche in Diocesi, che diviene nuovo luogo di accoglienza dei “cristiani LGBT+”.

Ciò premesso e pur constatando che gli argomenti messi a tema in tali occasioni ci siano parsi fin da subito ambigui e fuorvianti per il pubblico di fedeli che li avesse ascoltati, abbiamo comunque deciso, con mente aperta di parteciparvi attivamente come uditori, talvolta chiedendo la parola nello spazio finale aperto per le domande.

A ragion veduta possiamo pertanto affermare che quanto è stato esposto dai diversi relatori che si sono succeduti ci ha fortemente scandalizzati, insinuando in noi non pochi dubbi e domande importanti riguardo la dottrina alla base della nostra fede. Abbiamo poi tristemente potuto constatare come in nessun momento vi è stato il tentativo di confrontare queste situazioni con il Catechismo della Chiesa Cattolica né con il Magistero Pontificio. Questo secondo noi dovrebbe essere invece lo scopo di questo tipo di incontri. A sostegno di quanto detto, riportiamo alcuni cenni delle tematiche affrontate.

Il primo incontro vedeva come relatori don Fabio Bellentani e Suor Enrica Solmi che, come da loro stessi sostenuto, già da tempo seguono persone omosessuali e famiglie arcobaleno nella Parrocchia del Gesù Redentore in gemellaggio con quella di Sant’Antonio in cittadella di Modena.

Ad intervenire dapprima sono i genitori che testimoniano come hanno vissuto il “coming out” dei propri figli. Si parla quindi di “convivenza”, di cambio chirurgico di sesso, di identità “non binary”. I relatori ascoltano senza apportare alcuna correzione circa certi comportamenti moralmente sbagliati, anzi incoraggiandoli per affermare invece una “piena partecipazione” di tali persone “nella vita religiosa” delle loro parrocchie di appartenenza, come ad ammettere che sia possibile conciliare lo stato di peccato dei fedeli con l’accesso ai sacramenti. Interessante è stato poi l’intervento di una madre che, afflitta, racconta della figlia lesbica, la quale le rivela il desiderio di avere dei figli dall’unione con la sua compagna con l’”utilizzo dello sperma di un amico attraverso la sua masturbazione”. La donna si rivolge quindi con forza ai relatori così: ”Potete fare tutto e accettare tutto, ma i bambini non si toccano. Non toccate i bambini! Questo non è accettabile!”. La risposta del moderatore riprende quanto detto in precedenza da suor Enrica Solmi: ”L’importante, signora, è tenere a mente che ogni storia è a sé. Non bisogna affrontare queste situazioni partendo dalla dura dottrina della Chiesa, ma attraverso l’ascolto di queste storie di vita, di queste testimonianze di fede”. Il tutto viene addolcito dalle parole della suora, che ricorda che “Dio ama tutti”.

Nel secondo incontro in Diocesi sono questa volta chiamati a parlare il biblista don Gianluca Carrega in videocollegamento e la dott.sa Elena Ferrari, pediatra e sessuologa clinica. Il primo si è soffermato sulla spiegazione del brano evangelico tratto dagli Atti degli Apostoli, capitolo 8, 26-40, in cui l’eunuco etiope viene battezzato da Filippo, e sui capitoli 10 e 11 degli stessi Atti, in cui protagonista del battesimo da parte di san Pietro è questa volta il centurione Cornelio e i pagani che siedono con lui. Il biblista procede così ad un’azzardata analogia tra queste due figure e le persone omosessuali, in quanto rispettivamente, l’eunuco viene incluso come tale e cioè “battezzato nella sua menomazione e diversità, cui non gli è chiesto di rinunciare”; allo stesso modo per il centurione e i pagani con lui, ai quali non viene previamente chiesto di “giudaizzarsi”. Dio quindi, conclude Carrega, salva “in modo rivoluzionario”.

Ecco che rispetto al discorso di Carrega sono state presentate molte domande. In particolare, riportiamo innanzitutto quella presentata proprio da una di noi che scriviamo, circa il nesso analogico tra le figure dell’eunuco e dei pagani in generale, con chi si ritiene omosessuale, trans, “non binary” ecc.., chiedendo chiarimenti su quale sia a questo punto il ruolo del peccato; se infatti è certo che “Dio ama tutti” e ha il desiderio di accogliere tutti, non è anche corretto affermare che il cammino cristiano sia senza condizioni. C’è posto solo per chi sia disposto a mettere da parte la propria condotta di vita peccaminosa per dare il primato a Cristo, che è la sola verità per la nostra vita. È lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica a precisare che occorre distinguere tra “tendenze omosessuali” e “atti omosessuali”: allora, mentre la menomazione fisica dell’eunuco era un segno che lo stesso ha subito passivamente, la scelta omosessuale è invece frutto del libero arbitrio della persona. La risposta che il relatore ci ha riservato non ci ha affatto soddisfatto poiché intrisa del relativismo dilagante nella nostra società: “Non tutti siamo peccatori allo stesso modo”. E riferendosi alle parole di Gesù sul fatto che il peccato non viene da fuori di noi, ma dal cuore, aggiunge: “La conversione riguarda il cuore e il cuore è diverso in ognuno. Siamo tutti peccatori, ma non tutti alla stessa maniera”; ognuno elabora infatti il peccato “in maniera diversa”.

Di seguito, riportiamo anche la domanda posta da una signora: “Quando abbiamo consegnato l’interpretazione a pochi” (del Vangelo)? Il relatore accusa i capi religiosi dell’epoca tardo-antica che, approfittando dell’ignoranza della massa dei fedeli analfabeti, si sono arrogati il privilegio dell’interpretazione dei testi sacri. Da qui Carrega coglie l’occasione per esaltare la Riforma Luterana, in cui il “buono” si riscontra nel fatto di riconoscere che “tutti possiamo leggere le sacre scritture”, e quindi interpretarle a nostro piacimento. Aggiunge, poco dopo infatti: “Non troverete nel Magistero come possiamo leggere un passo, ma solo come non lo si può leggere”. “La Chiesa”, conclude, “non dà un senso unitario alla Scrittura”.

Dopo il biblista, prende poi la parola la dott.ssa Elena Ferrari, sulla cui trattazione non ci soffermiamo, ritenendo sufficiente accennare solo al fatto che essa riguardava la “Teoria Gender”, che lo stesso Papa Francesco ha più volte con fermezza definito come “colonizzazione ideologica”, “sbaglio della mente umana”, guerra al matrimonio”, e ancora, “nefasta” e “pericolosissima”.

Dunque, nulla di nuovo raggiunge le nostre orecchie, ma ciò che troviamo intollerabile è che determinate parole provengano da una signora che si professa “cristiana”; che parla del cambio di sesso dei suoi giovani pazienti con tendenza omosessuale, citando il caso del bambino Alan che a due anni chiede di poter diventare Anna e spiegando da quale età si può intervenire sugli adolescenti per somministrare i trattamenti ormonali. E ancora, la dottoressa ci riporta il suo sentimento di meraviglia e stupore nel guardare i suoi ragazzi e riconoscendo che davvero essi “sono ad immagine e somiglianza di Dio”. Ma come si concilia allora il fatto di essere già perfetti con la volontà di cambiare sesso, andando proprio contro la loro stessa natura?, ci domandiamo invece noi. Lo stesso Catechismo ci viene ancora una volta in soccorso quando precisa che “La Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati” (Cat., Parte 3, Sez. 2 , 2357).

Mai ci saremmo aspettati di ascoltare questo genere di ragionamenti e teorie nei locali del seminario diocesano nell’ambito di un incontro di formazione proposto all’intera diocesi. Non volendoci fermare allo scandalo che tutto questo ha generato nel nostro cuore, ciò che ci muove e ci ha spinto a scrivere questa lettera è il sacrosanto dovere di carità cristiana verso persone che si trovano in uno stato di grave debolezza spirituale e morale e che, da quello che abbiamo potuto vedere, non sono adeguatamente seguite e accompagnate, anzi addirittura fuorviate.

Infine, ci chiediamo: come siamo potuti arrivare a questo punto? A quale tipo di accoglienza è chiamata la Chiesa? Cosa possiamo dare alle persone che si riconoscono sotto la sigla LGBT+ senza snaturare la nostra storia e identità? Cosa cercano queste persone dalla Chiesa, visto e considerato che a livello civile e sociale hanno già ottenuto ,se non tutto, molto (si pensi alle unioni civili ecc..)?

Quello di cui sicuramente abbiamo certezza è che da parte della Chiesa cattolica non può esserci accoglienza senza verità: verità nel dire che il cammino cristiano è faticoso e non ammette scorciatoie ideologiche; verità nell’affermare che una persona etero o omosessuale che convive more uxorio è in stato di grave peccato mortale; verità nel parlare di “Misericordia”, che non esiste senza previo pentimento; da ultimo, Verità con la “V” maiuscola, che è Cristo, che ha dato la sua vita per i nostri peccati che spesso banalizziamo, così facendo insultando il Suo Santo Nome.

Pertanto, con questa lettera vogliamo sollecitare e risvegliare il Popolo di Dio ad una più consapevole adesione alla Chiesa e quindi ad agire nelle varie realtà diocesane. È il tempo dei laici e della preghiera incessante per tutti quei pastori che hanno smarrito la strada. Occorre tornare ai testi che hanno fatto grande la Chiesa e che oggi vengono ignorati o che addirittura diventano oggetto di ripetuti tentativi di cambiamento in nome di una cosiddetta maggiore “inclusione radicale” di queste nuove realtà affettive (si veda il caso del Catechismo della chiesa cattolica e il Magistero pontificio nell’ambito dei Sinodi a Roma e in Germania).

Occorre dedicare il nostro tempo e le nostre energie alla riscoperta della nostra bimillenaria Tradizione perché non è altrimenti possibile affrontare le sfide moderne. È ormai sotto gli occhi di tutti infatti che una Chiesa che non creda più in se stessa e nella sua storia è solo una Chiesa più debole, in preda alle intemperie e alle mode ideologiche e, come ebbe a dire il grande cardinale Caffarra, “è solo più ignorante”.

Rafforziamo dunque le fondamenta della nostra fede per essere luce per le persone che non credono e diventare veramente utili per la nostra amata Chiesa.

Marta Polia
Maria Vittoria Ferrari
Giulia Fini
Chiara Verrini
Elisabetta Corradini

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