Al Nobel vince il sessismo anche quando vincono le donne

Di Caterina Giojelli
14 Ottobre 2021
«Niente quote di genere o etnia, vinca il migliore». L’accademia svedese non vuole fare la fine di Hollywood con gli inclusion standards ma i giornali incalzano: «Premiate solo maschi, bianchi e americani»
Maria Ressa, premio Nobel per la Pace 2021
Maria Ressa, premio Nobel per la Pace 2021 (foto Ansa)

Attenzione, dalla sua istituzione, nel 1901, solo 59 premi Nobel sono stati assegnati alle donne, il 6,2 per cento del totale. L’occasione per ribadire che dal sessismo sistemico non si salva nessuno è stata la premiazione della giornalista filippina Maria Ressa, Nobel per la pace insieme al collega russo Dmitry Muratov.

La co-fondatrice della testata Rappler e acerrima nemica di Duerte da «rappresentante di tutti i giornalisti che difendono questo ideale in un mondo in cui la democrazia e la libertà di stampa affrontano condizioni sempre più avverse», è diventata in fretta la “femmina numero 59” su una lista di quasi mille premi finiti ai maschi (e su oltre 600 assegnati alle scienze, solo 23 sono andati a donne, tra queste, per due volte, a Marie Curie).

Niente quote, è un Nobel, mica un Oscar

Tuttavia «abbiamo deciso che non istituiremo quote per genere o etnia», ha confermato Göran Hansson, segretario generale dell’Accademia reale svedese delle scienze. Uno che pur premurandosi di invitare la comunità scientifica a tener conto di “geografia e genere” nelle loro nomine e pur caldeggiando i suggerimenti di più candidati femminili, si trova a ricordare l’ovvio, ossia che le persone dovrebbero vincere il Nobel «perché hanno fatto la scoperta più importante», perché «sono le migliori». Che è come dire: che c’entra il sesso, mica siamo a Hollywood, stiamo parlando dell’assegnazione del Nobel, non di un Oscar qualunque ostaggio di quella scemata planetaria che è diventato il Vangelo dell’inclusività adottato dall’Academy.

Almeno non ancora: se è vero che Alfred Nobel scrisse esplicitamente nel suo testamento che la commissione non avrebbe mai dovuto prendere in considerazione la “nazionalità” di un candidato al momento dell’assegnazione del premio, secondo il ripresissimo Smithsonian Magazine il premio Nobel non farebbe altro che alimentare la disparità di genere e le disuguaglianze razziali. Come spiegare altrimenti il fatto che i suoi destinatari siano prevalentemente «maschi, bianchi e americani»?

«Escludendo i vincitori del premio Stem di quest’anno, tutti uomini, le donne rappresentano il 3 per cento dei vincitori della categoria scientifica, ma sono state quasi sempre premiati insieme a coetanei di sesso maschile». E «il divario è più grave per le persone di colore: solo 16 delle 972 persone e organizzazioni che hanno ricevuto il Nobel sono nere. Mai nei 120 anni di storia del Nobel una persona di colore di qualsiasi genere ha ricevuto un premio in una categoria scientifica».

Una donna col Nobel è solo “una delle poche”

Hansson si è difeso: «Ci siamo assicurati di analizzare il problema e anche i pregiudizi subconsci, eccetera. Nei comitati e nelle accademie abbiamo tenuto lezioni di sociologi, abbiamo avuto discussioni di gruppo, ci siamo impegnati molto». Il problema è di numeri (sono ancora poche le donne e le persone di colore a sfondare in campo scientifico), la causa è evidentemente il razzismo e sessismo sistemico (che non lascia posto nella storia a donne e persone di colore), l’effetto è restituirci (secondo l’UN Women, agenzia delle Nazioni Unite) lo stato di avanzamento della parità del genere in un mondo che non è pronto a consacrare il successo delle donne. Ma forse anche qualcosa sulla nostra capacità di riconoscerlo: ricordate la bufera scoppiata lo scorso anno per un pezzo del Corriere della Sera sul premio Nobel per la Chimica assegnato a Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, le due ricercatrici che hanno “scoperto” il Crispr?

Il Corsera le chiamava le “Thelma e Louise del Dna”: apriti cielo, quanto sessismo, stereotipo, provincialismo gridarono in tanti allora commentando la vittoria. Peccato che tali le avessero definite l’autrice del pezzo – Anna Meldolesi, donna, biologa, giornalista scientifica, tra le massime esperte dell’editing del genoma -, Le Monde e Kevin Davies, fondatore di Nature Genetics, direttore di Crispr Journal e autore di un libro che proprio alle due “Thelma e Louise” della scienza dedicava un importante capitolo. Non è diverso dal rilanciare per polemizzare la notizia del Nobel per la pace a Maria Ressa: non più una giornalista premiata per meriti sul campo ma «una delle pochissime donne ad aver vinto un premio Nobel».

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