
Niente smancerie, siamo in Veneto, noi qui a editorialeggiare su I figli degli uomini, sul mondo che non attende più nulla, neanche bambini, e loro – i veneti – a fermare anche le pallottole: proprio come nel film di Alfonso Cuarón, quando al passaggio di un neonato in braccio alla madre il fuoco cessa, qualcuno si fa il segno della croce. Solo che non è un film di fantascienza quello presentato da Gian Carlo Blangiardo a fine marzo: «Nella demografia di questa Italia del 2020, due sembrano essere i confini simbolici destinati a infrangersi sotto i colpi della pandemia e dei suoi effetti, diretti e indiretti: il margine superiore dei 700 mila morti e il limite inferiore dei 400 mila nati, una soglia mai raggiunta negli oltre 150 anni di unità nazionale. Si tratta di due sconfinamenti che, di riflesso, spingerebbero il valore negativo del saldo naturale oltre le 300 mila unità», e gli effetti, veri, ha sottolineato il presidente dell’Istat, «deflagreranno nel 2021».
«L’Italia è vittima di una dittatura senile che domina sindacati, partiti e mass media, assorbe il 17 per cento del Pil in pensioni, accresce senza sosta il debito pubblico, che scarica irresponsabilmente sulle nuove generazioni, ma non è disponibile a mettere a disposizione dei giovani nemmeno una minima parte di quelle risorse pubbliche (1 per cento) per introdurre la misura decisiva per invertire il suicidio demografico: il prolungamento a tre anni del congedo parentale retribuito e con garanzia del posto di lavoro. Questa malia nefasta brucia 300 mila vite all’anno, tre volte il Covid, ma senza speranza di vaccini o immunità di gregge, nella più totale indifferenza. Non si poteva più attendere, perciò abbiamo introdotto prima il Baby Bonus, una mensilità premio per i nuovi nati, e poi misure sempre più consistenti. Abbiamo perfino provato a scuotere la politica romana, inutilmente. Il 23 marzo 2017 a Montecitorio assieme agli onorevoli Filippo Busin e Massimiliano Fedriga abbiamo redatto una proposta di legge per defiscalizzare i premi per i nuovi nati fino a 3.000 euro. Non è mai stata nemmeno discussa dal Parlamento e lo Stato continua a tassare senza vergogna perfino questi bonus aziendali ai neogenitori, altro che allarme nascite».
Roberto Brazzale ha quindi fatto da sé, cioè “da veneto”, in autonomia, scavalcando Stato e sindacati, disponendo, defiscalizzazione o no, 1.500 euro lordi alla nascita o all’adozione di un bambino per qualsiasi lavoratore della sua Brazzale Spa, la più antica realtà lattiero casearia italiana. E quanti bimbi sono nati? «Tra il Veneto e la Moravia, dove sono equamente divisi i nostri oltre 800 dipendenti, nascono da 25 a 35 bambini l’anno. Ancora pochi. In Italia i genitori incontrano mille difficoltà anche fuori dall’azienda. È un paese per vecchi».
«Sembra fantascienza», insiste l’imprenditore: «Sono 12 anni che battiamo ogni record negativo, 40 anni che in Italia non si raggiunge il ricambio generazionale, ogni tre morti solo due nati, una follia; ormai ormai ogni anno si perde una città come Firenze, ma fatta di neonati: nemmeno Erode».
Per favorire i neo genitori Brazzale ha poi potenziato la flessibilità, ritagliando gli orari di lavoro in funzione di quelli del genitore, dopo di che, mosca bianca in Italia, ha allungato il congedo parentale di un anno oltre i termini di legge, sobbarcandosi un onere di circa 10 mila euro per beneficiario, oneri che «nei paesi civili vengono sostenuti dal sistema previdenziale. In Repubblica Ceca il congedo parentale è fino a quattro anni con indennizzo di oltre 11 mila euro, spalmato sul periodo di astensione». E funziona? «Una meraviglia. La mia più stretta collaboratrice ha fatto cinque anni di maternità, ha cresciuto non uno ma due piccoli, è poi rientrata in azienda realizzata, come mamma e professionista, felice di tornare al lavoro. La sostituta? Anche lei era stata confermata ed ha appena finito tre anni di congedo per il terzo figlio». Brazzale con le sue sole risorse è arrivato a due anni, ma bisogna puntare ai tre, «dobbiamo dare soprattutto “tempo” perché mamma e papà stiano con il bambino. È vergognoso sentir dire che i figli si devono fare per pagare le pensioni: si fanno perché è la cosa più bella e naturale della vita».
Non solo Stato e Inps non riconoscono la procreazione come valore, ma pongono un ginepraio di ostacoli alla libertà. Ma Brazzale non si è perso d’animo, ha studiato un “escamotage” per allungare il congedo oltre i termini di legge: un contratto part-time temporaneo senza obbligo di presenza retribuito al 30 per cento.
L’ambito più delicato
Poi un giorno – non un giorno qualunque ma il 7 febbraio di quest’anno, domenica e 43esima Giornata per la vita – Brazzale è a Messa, un pensiero lo rode: ha il giornale arrotolato in tasca, nessuno dei candidati alla presidenza di Confindustria Vicenza, la terza più grande del paese, prende nei propri programmi una posizione radicale su maternità e lavoro. Come è possibile? È proprio nell’ambito lavorativo che i neo genitori percepiscono i maggiori ostacoli. «I datori di lavoro hanno in mano il cerino che può incendiare di bene il mondo. Allora vado a casa, e scrivo un appello. Sui social, perché faccio prima che a mettere il baracco in piazza».
Brazzale lancia l’invito ai candidati perché siano “innovatori visionari”, per scatenare un “rinascimento” favorito dalle associazioni di categoria che invita a proporre “modelli” di misure aziendali agli associati: «A Confindustria, qui, è associata la stragrande maggioranza delle imprese: immaginiamo – esorto nell’appello – cosa accadrebbe se sempre più colleghi introducessero in modo stabile provvidenze, bonus, forme speciali di part-time, prolungamento dei congedi parentali».
Nel frattempo ha l’idea di creare un libero gruppo con altri imprenditori che negli anni hanno introdotto misure analoghe alla Brazzale, «per fare rete e offrire esperienze a chi lo desideri. Chiamateci!». Ora, ripetiamolo, siamo in Veneto: in pochi giorni aderiscono all’appello circa 500 persone. E cominciano a giungere telefonate, mail: «Ho letto l’appello, ci sono, spiegami come si fa», chiamano, scrivono da tutta la regione. E tre candidati alla presidenza di Confindustria si presentano alla Brazzale: «Noi ci siamo».
Contro la “dittatura senile”
“Benvenuta Cicogna!”: non poteva chiamarsi diversamente il gruppo che si è formato tra quegli imprenditori veneti che hanno deciso di schierarsi dalla parte dei genitori, senza aspettare lo Stato e il sindacato per battagliare contro la “dittatura senile”. «Non so come altro chiamare una società che sborsa 250 miliardi l’anno per le pensioni e oltre 900 di spesa pubblica, ma che non riserva pochi miliardi per estendere a tre anni il congedo parentale. Su 400 mila nascite all’anno significherebbero al massimo 8 miliardi di maggior onere: di cosa stiamo parlando? Siamo una società che dirama bollettini di guerra sulla denatalità e liscia il pelo con gli slogan alle nuove generazioni, ma poi scarica sulla loro groppa montagne di debito con il Next Generation Eu. A queste condizioni i bambini fanno bene a non nascere!».

Così Brazzale finisce per riunire a sé uomini, in carne e ossa, ansiosi di esercitare la propria libertà senza soffocarla nei modelli offerti dalla legislazione statale o dalla contrattazione collettiva. Di Vinicio Bulla, patron della Rivit di Calatrano (Vi), Tempi vi aveva già raccontato: Bulla ha stabilito per ogni bimbo nato o adottato il rimborso delle spese d’iscrizione, delle rette, dei servizi mensa e scolastici, cioè «sette anni di scuola pagata, con un tetto di 500 euro netti al mese in caso di asilo nido e di 250 euro netti al mese in caso di scuola materna. Poi ho previsto un bonus di 2 mila euro lordi per ogni dipendente a cui nasce un secondogenito, sale a 3 mila euro in caso di un terzo figlio. E per dimostrare che non sono un quaquaraquà, non sapendo se e quando verrò “congedato”, ho dato mandato alla mia banca di vincolare i fondi necessari».
Poi c’è Pierpaolo Pozzato, patron della Scae di Dueville, sempre nel Vicentino: 19 anni di vita aziendale tra macchinari e impianti per la depurazione, undici dipendenti, tre maternità in contemporanea. «Sono appena diventato papà per la terza volta», ci racconta, «da tempo desideravo dare una “svolta” e quando ho appreso dai media locali dell’iniziativa di Brazzale l’ho cercato subito: ci siamo parlati per mezz’ora, dopodiché ho girato una circolare ai dipendenti annunciando il baby bonus da 1.500 euro». Questo accadeva a febbraio, la piccola Olivia ha appena ricevuto il bonus e presto toccherà ad altri due bambini in arrivo. «Facciamo parte di un gruppo di 4 aziende che in totale contano 48 dipendenti. Alle prossime riunioni coinvolgerò anche gli altri soci perché l’iniziativa venga estesa a tutti. Lo dobbiamo ai nostri lavoratori, perché se il dipendente si trova bene resta in azienda e si cresce insieme, ma lo dobbiamo anche a chi ci ha preceduto e ci ha insegnato un mestiere. Io per esempio quando ho deciso di prendermi un impegno verso i figli dei miei lavoratori ho pensato a mio nonno Pietro, persona saggia, capace e generosa che oltre ad essere il mio “maestro professionale” mi ha lasciato una eredità di valori inestimabile».
«Ci guadagniamo cento volte tanto»
Un secondo bimbo in arrivo anche per Paolo Vellar, della Vellar Claudio Srl di Asiago, quattro soci e 9 collaboratori, che dice a Tempi: «“Non si tratta di un’offerta o un dono, ma di un modo per partecipare alla tua gioia e al miracolo di una nascita”: è quanto mi sono trovato a spiegare a una nostra dipendente quando, dopo essermi confrontato con Brazzale, ho introdotto una mensilità per tutti i lavoratori in procinto di diventare genitori. Lei era stupita, temeva di metterci in difficoltà con la sua gravidanza e questo è terribile: lavoriamo nel riciclo, come sarebbe possibile affermare che proviamo a costruire un mondo migliore per le nuove generazioni se l’arrivo di un bambino non è una gioia per la comunità, se una donna prova imbarazzo annunciando che metterà al mondo un figlio?». Due parole con Brazzale per capire come istituirlo e inserirlo nello statuto aziendale ed ecco: un papà e una mamma hanno già preso il Baby Bonus e tra l’estate e l’autunno arriveranno altri due bambini.

E poi c’è Federico Pendin, presidente di Fondazione San Nicolò, il pluripremiato polo didattico di riferimento in Italia per la formazione e l’aggiornamento professionale con sede principale a Noventa Padovana, che in dieci anni è passato da 20 a 160 dipendenti, «e finivo per perdermi qualche nascita che pure volentieri cercavo di riconoscere con una premialità. Quando Brazzale ha lanciato il suo appello, ho capito che ogni iniziativa andava istituzionalizzata. Noi qui facciamo il lavoro più bello del mondo, facciamo scuola, le nostre ruspe e i nostri capannoni sono i ragazzi e le aule, il nostro capitale umano: abbiamo la responsabilità di riconoscere alla famiglia il ruolo che le spetta perché un paese che smette di fare figli è un paese destinato a soccombere». E Pendin istituzionalizza: mille euro a chi aspetta un bambino. E siccome non è detto purtroppo che ogni attesa si concretizzi in una nascita, scorpora il bonus: 300 euro appena presentato il certificato e 700 dopo l’arrivo del bambino, «è il nostro modo per aiutare una famiglia a sostenere i costi delle visite mediche e altre spese in gravidanza. Negli ultimi mesi hanno già beneficiato della misura una decina di persone tra mamme e papà. A noi costa diecimila euro e ci torna indietro cento volte tanto. Le mamme mettono il turbo dopo aver avuto un bambino, non c’è paragone e lo so perché senza mai considerarle una “categoria protetta” o ragionare di quote rosa ho sempre assunto guardando al valore delle persone. Ebbene oggi due manager su tre in fondazione sono donne, così come due direttori su cinque. E sono quasi tutte mamme. E poi ci sono i papà e quelli che vorrebbero diventarlo: non si tratta di essere “generosi”: è ragionevole e conveniente per un imprenditore aiutare il proprio lavoratore nel momento più importante della sua vita».
L’obiettivo prioritario
A essere gretti, converrebbe anche all’Inps finire di rimpallarsi col governo le responsabilità su stalli e provvedimenti troppo spesso destinati solo a chi ha un Isee da fame (e non potrebbe e riuscirebbe a sopperire alla lacuna italiana, né potrebbe un padre di cinque figli come Pendin permettersi appunto un Isee da fame), e iniziare a ragionare non diciamo sul futuro, ma almeno sul sollevamento della soglia al ribasso dei 400 mila nati.
Brazzale li ha pubblicati tutti, i nomi dei 500 che hanno aderito all’appello del gruppo “Benvenuta Cicogna!” per fare la rivoluzione: «Se Stato e sindacati ci seguono, meglio, altrimenti facciamo da soli. Se il governo punta a sperperare nel solito modo le enormi risorse a debito a cui ha avuto accesso con il pretesto della pandemia, relegando la natalità a ultima delle sue priorità, noi chiediamo ai datori di lavoro di prendere l’iniziativa fino ad innescare una competizione tra chi fa meglio in questo campo», torna a spiegarci Brazzale. «Una reazione a catena. Non ci permettiamo di indicare quali misure adottare, ognuno sa il quantum che è alla propria portata, prevale il significato simbolico ed è importante l’istituzionalizzazione del beneficio. Molti imprenditori già fanno tanto bene ma in modo sporadico e come liberalità ad personam: se la misura diventa diritto, ha tutt’altro significato ed efficacia. L’obiettivo prioritario, tuttavia, rimane l’allungamento a tre anni del congedo parentale a carico del sistema previdenziale, a favore di mamma o papà, con stipendio almeno del 30 per cento e garanzia del posto di lavoro. Come nei paesi civili dell’Unione Europea. È in questa misura la chiave di tutto, come si fa a non capirlo? Non abbiamo l’umiltà di guardare le esperienze di successo all’estero e copiarle. In Repubblica Ceca è un tripudio di carrozzine, mica carrozzelle, e la maternità un momento aureo che ispira emulazione nei più giovani. Qui balbettiamo di rimedi non incisivi come l’assegno unico, necessario ma assolutamente inadeguato allo scopo, o spartani asili nido dove parcheggiare traumaticamente i neonati, oltretutto a costi elevatissimi. Gli unici che immediatamente possono innescare un rinascimento e salvare il paese dalla miopia gerontocratica favorendo il ritorno di un’età fatta di nascite e bambini, siamo noi imprenditori. Abbiamo un potere immenso, esercitiamolo, subito, smettiamola di fare solo ciò che i sindacati o lo Stato hanno normato per noi».
Una cosa imprevista
Non è fantascienza, le armi ci sono, i rivoluzionari anche (Dio benedica anche il Barone Vitantonio Colucci, che intervistato poche settimane fa da Tempi aveva raccontato come grazie ai suoi premi ai dipendenti, «6 mila euro alla nascita, 300 al mese in busta paga», introdotti nell’ultimo anno e mezzo stia riempiendo le culle della sua Plastic-Puglia di Monopoli: «Sono già nati 20 bambini») e in Veneto hanno preso a battere i tamburi perché qui è ancora fervente il mestiere di vivere. «Da domani si cambia, la maternità va al centro», aveva detto Brazzale ai suoi quel giorno in cui una dipendente gli annunciò pallida come un cencio di essere incinta, «chi partorisce o adotta riceve una mensilità in più». «Ma la legge, lo Stato, il sindacato, la burocrazia, i regolamenti, insomma, non è cosa prevista», avevano balbettato i suoi. «Vi meraviglia? È una cosa troppo semplice e di buon senso perché sia stata prevista».