
Il cielo in un tinello
Portate pazienza con chi ha un fratellino/sorellina appena nati: anche noi vogliamo sentirci unici
Lei non prende il ciuccio: si fa venire la laringite (true story) a furia di strillare (e a me fa venire, ça va sans dire, l’emicrania modello “mostro di Alien che ti esce dal cranio”).
Lei non sta seduta nella stessa posizione a compiere la stessa attività (verosimilmente sbausciare qualcosa, sbattere ripetutamente, e a volte sulla sua stessa testa, un oggetto, insomma le cose che fan tutte le ragazze di sette mesi) per più di cinque-minuti-cinque, dopodiché torna a strillare come vedi sopra finché non la prendi in braccio.
Lei, contrariamente alle indicazioni di tutti i pediatri e quindi facendo insorgere turbamento materno, ma sopratutto diversamente dai tre precedenti fratelli e facendo quindi insorgere grande stupore materno, dorme a pancia in giù (ma poi, va detto, dorme-dorme, quindi guai a chi la gira, pena inca**amento materno).
Ladies and gentlemen, meet the quartogenita.
Le cui “stranezze” (rispetto ai figli precedenti, vorrei precisare, e che vengono maggiormente percepite dalla sottoscritta per mia “usura” – qui l’autrice mette le mani avanti e insieme lascia trapelare al lettore l’intenzione non tanto di lamentarsi di quartogenita in assoluto quanto di prender spunto dalle di lei gesta per dir qualcosa, ma questo l’avevate già capito) si intersecano pericolosamente con la gelosia che il soggetto suscita in terzogenito, che si trova nel bel mezzo della cosiddetta CRISI NERA. Un terzogenito che ha deciso di attirare le (un po’ perse) attenzioni su di sé a costo di una sculacciata o una sgridata; deve aver preso alla lettera quel che dice Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray (ma che è un po’ anche la massima che sottende i programmi di Barbara D’Urso, senza voler andare troppo in là, eh): «There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about».
Prima mangiava tutto (e alla scuola materna, fetente, continua a farlo), ora il momento della cena è un palcoscenico da stand-up comedian; prima raramente faceva capricci, ora si butta a terra tarantolato per qualsiasi cosa («Come ti chiami bambino?», a voce abbastanza alta per farsi sentire dagli altri avventori del supermercato. «Dov’è la tua mamma? Come? No, non sono io la tua mamma, forse le somiglio! Che tenero, mi conosce appena e già mi chiama “mamma”!»…); prima non ha mai mostrato ostilità fisica (se non per difendere strenuamente i suoi giochi, con tutto l’ampio e sereno senso della condivisione che hanno i due/treenni), ora s’è inventato, che burlone, d’infilare una notevole quantità di pongo in bocca, appunto, a quartogenita (per dirne una). Ma soprattutto, in un crescendo di autostima e gratificazione materna, lui vuole sempre e solo il PAPÀ. Houston, abbiamo un problema.
La perversa gara degli ultimogeniti a chi riceve più attenzioni a suon di strilli e sceneggiate à la Mario Merola sta lasciando a terra un unico, evidente, esanime corpo: il mio.
A un tratto uno dei miei due neuroni ancora in funzione viene attraversato da una folgorazione: c’è un minimo comun denominatore tra le due attuali espressioni di simpatia di terzo e quartogenita. Anzi, due (si può “due minimi comun denominatori”? Non ero fortissima in matematica, si capisce?). Tutti siamo unici. E, in forza di quest’unicità, tutti vogliamo essere amati, quasi lo pretendiamo, in modo esclusivo. Quei due lì, quella lunga 66 cm e quello che fa scenate se non apre e chiude lui tutte le porte (porte-porte, ante di armadi, sportello dell’auto…) che in confronto il Jack Nicholson che non pestava coi piedi le intersezioni delle piastrelle di Qualcosa è cambiato era uno equilibrato, sono lì a ricordarmelo. Del resto, non è quello che pensiamo e desideriamo tutti?
Siamo irripetibili, dei “miracoli ambulanti”, inutile sperare di arrivare al quarto figlio, al settimo, al decimo “già imparati”: quello sarà diverso dagli altri, unico. E fa niente se ne hai due o quattro o dieci: ognuno vorrà attenzione come fosse il solo.
Siamo dati. Dalla domanda successiva («Da chi?»), da lì in poi si apre quel bivio che, almeno per quanto mi riguarda personalmente, non mi rende né nemica né estranea a chi imbocca una strada diversa dalla mia, “semplicemente” da lì in poi, quando e se mi ricordo di pormela quella domanda, il “vediamo di sfangare anche questa giornata”, come diceva un’amica (la stessa di «Siamo tutti sulla stessa barca… il Titanic!»), si trasforma in una faticosa, straordinaria avventura.
Articoli correlati
2 commenti
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Da quartogenito (ma con tre sorelle, forse non vale…), sarò sempre grato alla terzogenita – e alle altre due, in modo diverso nel tempo – che mi accolse con entusiasmo, e che per tutta la mia infanzia è stata sorella maggiore, compagnia di giochi, faro su qualsiasi cosa e padrone assoluto; ed io ero ben lieto di farmi “comandare”…
grande Antonio!!!! amica di vita e avventure di Eva, mi trovo al 4 figlio maschio dopo 3 femmine!!!! messaggi veramente deprimenti…poi leggo il tuo…….e sorrido!!