«Non sarà uno zero virgola a cambiare le sorti dell’economia italiana. Basterebbe liberare le imprese»

Di Matteo Rigamonti
12 Novembre 2014
Solo gli imprenditori sanno come portarci fuori dalla crisi: lasciamoli liberi di operare. Intervista a Paolo Preti, professore della Sda Bocconi

Più uno, più zero virgola o crescita zero? È difficile dire se, come e quando l’Italia si metterà alle spalle la crisi economica. A settembre c’è stato un calo della produzione del 2,9 per cento rispetto a un anno fa. Numeri che preoccupano, come quello della disoccupazione ferma all’8,6 per cento. Ne parliamo col professore della Sda Bocconi Paolo Preti.

Secondo il numero uno di Confindustria Giorgio Squinzi, intervistato dal Foglio, «all’Italia serve uno choc». Di che tipo?
Non bisogna lasciarsi prendere troppo da numeri e dichiarazioni, né in un verso né nell’altro. Solo qualche giorno fa, davanti agli industriali di Brescia, Squinzi ha lodato il premier per quanto fatto finora e il suo Jobs Act, mentre adesso chiede una cura «choc» per l’Italia. Cosa mai potrà essere cambiato in meno di una settimana? Personalmente, non credo ci sia bisogno di uno choc.

Quindi, qual è la condizione reale del Paese e del suo tessuto economico?
È a macchia di leopardo e non risponde affatto ai canoni con cui ci stiamo abituando a leggere i dati e le statistiche che, vale la pena ricordarlo, eccedono sempre la nostra immaginazione. Ci sono, infatti, aziende in difficoltà e altre che, invece, hanno raddoppiato e triplicato i fatturati. Il più delle volte sono aziende che esportano; ciò detto, però, ci sono anche aziende in crescita in settori maturi e, viceversa, aziende in crisi in settori emergenti. C’è chi va bene al Sud e chi va male al Nord. Quello che conta, alla fine, è sempre e solo l’iniziativa imprenditoriale dei singoli e la loro capacità di innovare e cambiare rapidamente.

La produttività, però, è in calo…
Nessuno qui vuole negare l’evidenza per cui l’Italia proviene da anni e anni di crisi; soltanto mi limito a far notare anche che, se siamo ancora tra le primi dieci economie al mondo, la quinta in Europa, la seconda per industria manifatturiera dopo la Germania, ciò significa che così male, in fondo in fondo, proprio non stiamo.

Lo Stato non può nulla per spingere di più la crescita?
Non credo, ormai è appurato che l’iniziativa imprenditoriale pubblica è sparita. È rimasta solo quella privata. Oggi lo Stato non può che limitarsi a interventi incrementali, come sta facendo Renzi, che accontentano qualcuno e scontentano altri. Per esempio, ha deciso di tassare i consumi e le rendite finanziarie, in cambio del bonus Irpef da 80 euro e del taglio dell’Irap. Sono scelte. È come quando negli anni ’70 i Bot rendevano il 14-15 per cento di interesse, soltanto che poi si andava in banca e si scopriva che c’era lo stesso livello di inflazione.

C’è chi si lamenta che Renzi con una mano dà e con l’altra prende.
Benissimo. Ma è così e c’è poco altro da fare. Anzi, forse, è tutto ciò che è rimasto in nostro possesso da quando non possiamo più battere moneta. Una cosa, però, dobbiamo smettere di fare: credere che, cambiando governo, presidente della Repubblica o altro, possa cambiare qualcosa.

Nemmeno con una seria politica industriale?
L’esperienza mi insegna che è meglio che lo Stato non si faccia carico in prima persona di una politica industriale, deve semplicemente lasciare gli imprenditori liberi di operare. Loro sapranno come reagire e innovare, come uscire dalla crisi. E c’è già chi ci sta riuscendo, mentre chi non ci riesce dovrà cambiare.

La lista delle “cose da fare” in questo Paese, però, è lunghissima ed è sempre la stessa.
Riforma della giustizia civile, infrastrutture, bolletta energetica, tasse, burocrazia… è il solito elenco di cose da fare che tutti sanno quanto possano essere utili, se non addirittura, come in certi casi, indispensabili. Ma le imprese non possono permettersi di aspettare che cambi qualcosa dall’alto, né devono aspettarsi incentivi pubblici, devono soltanto fare il loro mestiere nella speranza che la cosa pubblica le aiuti a liberare il campo, almeno dagli impedimenti più ingombranti.

@rigaz1

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1 commento

  1. mike

    basterebbe alzare gli stipendi e rendere il lavoro sicuro. il contrario che da più parti vogliono fare. l’economia mia gira se la gente può spendere e ciò avviene se guadagna e se ha certezza di guadagnare. è come l’alimentazione: per star bene devo mangiare. se sto male inutile che prendo farmaci, forse solamente o mangiato poco. così se l’economia va male forse occorre solo che la gente guadagni e bene.
    io la penso così. tutto il resto, comprese certe teorie economiche (critica a keynes, monetarismo, lasciar fare i mercati che poi i mercati non sono in fondo i ricchi/potenti?), sono solo una cosa se mi si passa il termine: pugnette.

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