Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia si prende lo stabile di via Watteau di proprietà della famiglia Cabassi in cambio degli immobili di via Zama e via Trivulzio. Uno scambio alla pari, come si fa nel calciomercato. Ma a qualcuno questa decisione non piace e il perché è presto detto: via Watteau 7 è la sede del Leoncavallo, luogo simbolo per i centri sociali milanesi e non solo.
LE SPERANZE DEL COMUNE. «Abbiamo un’opportunità preziosa che vogliamo cogliere: affrontare positivamente una vicenda aperta oramai da decenni, creando le condizioni affinché da un lato si possa riqualificare uno spazio oggi inutilizzato per restituirlo ai cittadini (i palazzi concessi alla famiglia Cabassi, ndr), dall’altra far sì che un luogo dalla storia tanto complessa, come il centro sociale Leoncavallo, divenga un laboratorio di buone pratiche sul piano sociale e culturale per la città. Il tutto rispettando la cultura della legalità e delle regole. Si tratta di una scelta che guarda al futuro e non al passato», ha fatto sapere l’assessore alle Politiche sociali di Milano Pierfrancesco Majorino. Il perfezionamento dell’operazione è subordinato alle delibere della Giunta e del Consiglio comunale (che dovrebbero arrivare prima delle vacanze estive, più probabilmente a settembre).
Più duro il commento dell’ex vicesindaco Riccardo De Corato: «Leoncavallo regolarizzato? Bene, non mi coglie impreparato. Ho un intero dossier sulle innumerevoli violenze del centro sociale. Partirò con tutte le denunce del caso. Una alla corte dei conti, perché controlli che nel giro di immobili non ci siano state perdite per il Comune. Una alla magistratura, allegando il mio dossier. Il Comune sta favorendo dei violenti, che ripetutamente hanno infranto e infrangono la legge. Un’altra denuncia riguarderà la mancata messa a bando. Nel regolamento comunale del 2012, redatto dall’attuale amministrazione, c’è scritto che “Le assegnazioni avverranno con procedura ad evidenza pubblica”. Io non ho visto nessun bando». De Corato rincara la dose: «Il Leoncavallo non sarà più abusivo, quindi è il Comune a dover far rispettare le regole: servizio bar solo se la destinazione d’uso è corrispondente e a fronte di una licenza e dell’emissione di uno scontrino fiscale, controllo dei decibel, divieto di vendita di alcolici a minorenni, chiusura e apertura entro certi orari, agibilità certificata… Se Pisapia e i suoi pensano di poter mettere in regola un gruppo di violenti e dargli pure concessioni, a carico dei contribuenti milanesi, che gli altri cittadini e commercianti non hanno, si sbagliano di grosso».
DAL 1994 A OGGI. Il Comune crede probabilmente di porre fine a una lunga vicenda legata al luogo simbolo dei centri sociali. Ma al momento non è ancora chiaro se i ragazzi del “Leonka” accetteranno o meno di fare i conti con le leggi e le regole che ogni singolo cittadino sarebbe chiamato a rispettare. Lo stabile di via Watteau, una ex cartiera nel quartiere Greco di proprietà della famiglia Cabassi, divenne la dimora del centro sociale dopo lo sgombero dalla storica sede di via Leoncavallo, avvenuta nel 1994. Nel settembre di quell’anno, a dare man forte agli autonomi milanesi per occupare la nuova sede, arrivarono i duri più duri di Padova e di Roma. Il questore dell’epoca, Marcello Carnimeo, aveva detto che in due o tre settimane al massimo la polizia li avrebbe cacciati. Sono passati vent’anni e il Leoncavallo è ancora lì. Lo slogan che campeggia su uno dei muri, “Qui sono e qui resto” (nella foto a destra, tratta dal sito del centro sociale), la dice lunga sugli sforzi che il Comune dovrà adottare per fare in modo che il “Leonka” «divenga un laboratorio di buone pratiche sul piano sociale e culturale per la città. Il tutto rispettando la cultura della legalità e delle regole».