Non è vero che Pio XII e la Chiesa cattolica non hanno fatto niente per gli ebrei sotto nazismo e fascismo, e una lettera apparsa lunedì sulle colonne dell’Osservatore Romano lo testimonia. A firmarla Saul Israel, ebreo, padre del docente di storia della matematica dell’Università La Sapienza Giorgio. Il testo, scritto in occasione di una commemorazione di Pio XII nel 1965, racconta in modo preciso la «mano generosamente tesa» da tanti conventi e case religiose agli ebrei perseguitati dai fascisti e nazisti e cita Pio XII come organizzatore di questa rete d’assistenza provvidenziale.
MEDICO SOTTO LE LEGGI RAZZIALI. «Ho trovato la lettera sistemando alcune carte che avevo in casa», racconta il figlio Giorgio a tempi.it, ricordando la vita di suo padre. Nato in Grecia nel 1897, Saul finì a Roma per studiare: «Doveva iscriversi a medicina, con il progetto poi di tornare in patria a lavorare. Ma a Salonicco non tornò più perché il quartiere ebraico era stato dato alle fiamme». Condusse una vita dura nella Capitale, tra l’instaurazione del fascismo e la campagna delle leggi razziali: dovette rinunciare al lavoro in università, alla professione di medico e in seguito gran parte della sua famiglia fu deportata.
L’AIUTO DELLA CHIESA. Saul riuscì a sfuggire ai rastrellamenti: si nascose prima dai parenti, poi fu ospite di alcuni ordini religiosi, con i quali si era messo in contatto grazie all’amico Ernesto Buonaiuti: trovò riparo nel convento di Sant’Antonio in Via Merulana ma da lì dovette andarsene per la vicinanza del commando nazista di Via Tasso. Così fu trasferito in San Giovanni Laterano. «Nella minuta – continua Giorgio – ricorda tutte le persone che gli offrirono assistenza e fa un riferimento diretto a Pio XII. La cosa ha molto valore: mio padre non era uno che le mandava a dire, e sulle questioni dell’antigiudaismo cattolico ebbe tante polemiche. Uno può pensare quello che vuole su papa Pacelli, però questa campagna secondo cui il Pontefice sarebbe stato un corresponsabile della Shoah non è del tutto veritiera. Per questo ho reso pubblica questa lettera».
I CRISTIANI “CONSANGUINEI”. Saul Israel era medico ma amava scrivere e in gioventù aveva ricevuto un’educazione ebraica molto forte: profonde sono le parole con cui, in un secondo scritto apparso sull’Osservatore Romano nel 2009, racconta della «consanguineità» tra ebrei e cristiani. Allora Saul era ospite dei frati durante la persecuzione e il ricordo delle festività ebraiche trascorse in famiglia si accavalla con le preghiere dei francescani che giungono alle sue orecchie: «Perfino quel crocifisso di cui scorgevo le linee al di sopra del letto si confondeva intimamente con tutte quelle immagini (…)», scrive Saul. «Forse era la presenza di quella Bibbia scritta con quei caratteri, la cui forma era direttamente e naturalmente associata alla preghiera, alla mia preghiera che era così simile nel tono e nell’inflessione a quella dei frati. (…) Io mi raccolgo con te, insieme alle anime di tanti innocenti torturati a causa della loro fede, in una consanguineità che supera quella della carne, sotto le ali della preghiera, di quella preghiera che la voce morta di nonna Esmeralda mi riporta oggi da lontano (…). Che il Signore ci benedica e ci custodisca tutti, sotto le ali dove la vita non ha avuto inizio e non avrà mai fine; dove le lacrime del martire bagnano anche gli occhi dell’oppressore».