Pezzi (arcivescovo Mosca): “A rispondere di sì a Dio non si sbaglia mai”

Di Redazione
19 Gennaio 2013
"Se abbiamo gli stessi padri, perché non possiamo essere fratelli?". Monsignor Paolo Pezzi racconta la sua esperienza di arcivescovo a Mosca

Di Luca Marcolivio, tratto da Zenit.org. Durante il suo breve soggiorno a Roma, dove parteciperà alla Plenaria del Pontificio consiglio Cor Unum, monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, è stato raggiunto da ZENIT per un’intervista sui temi dell’ecumenismo e della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che si apre oggi.

Eccellenza, in quali circostanze è avvenuta la sua nomina ad arcivescovo di Mosca?
Mi trovavo in missione a Mosca ormai da 4 anni, dopo aver svolto la mia missione in Siberia per 5 anni. Era il 2007 ed ero stato nominato da un anno Rettore del Seminario Cattolico a San Pietroburgo.

Cosa significa per un italiano guidare la più importante diocesi del più grande paese ortodosso?
Per me è stato accogliere umilmente la richiesta del Papa Benedetto XVI. Nella mia vita ho imparato che a rispondere di sì a Dio non si sbaglia mai. In questo senso cambiano le circostanze della vita, ma la cosa importante è rispondere sì a Cristo quando chiama. La Russia è veramente un grande Paese ed effettivamente la religione più diffusa è il cristianesimo ortodosso. Per me, italiano di origine e di storia, è stata anzitutto una umile disponibilità al Mistero di Dio. Quando venni nominato vescovo cattolico a Mosca, un giovane cattolico mi chiese se, come italiano e come cattolico, non mi sentivo straniero. Ed io gli risposi che con Gesù Cristo non mi sentivo straniero. E che senza Cristo sarei stato estraneo anche a me stesso. In questi anni cerco di non dimenticare questa verità.

La Russia post-comunista è un ricettacolo di contraddizioni. Tra le realtà più desolanti figurano la corruzione, l’alcolismo e, soprattutto, il crollo demografico. Per contro si registra una rinascita religiosa dopo anni di persecuzione comunista. Quest’ultimo elemento è riscontrabile nella sua esperienza pastorale?
La rinascita religiosa è senz’altro una caratteristica della Russia post-comunista. Direi che essa si manifesta soprattutto come domanda ultima di senso per la vita e per la morte, è domanda di senso per andare al lavoro, per impegnarsi a studiare. Questa profonda domanda di senso riguarda i rapporti che si creano, riguarda il fare una famiglia, generare dei figli. Insomma, riguarda tutto il destino che un uomo non può eludere. Mi permetterei di dire che più di tutto mi stupisce nelle persone che incontro, soprattutto nei giovani, il fatto che nessuna situazione può eliminare la dimensione di attesa, di promessa che è ogni vita umana. A questa attesa può rispondere solo Cristo, il destino dell’uomo fattosi uomo.

Come affronta Lei, nella sua pastorale quotidiana, il dialogo con gli ortodossi?
Non è possibile eludere il dialogo con il cristianesimo ortodosso. Esso è presente nella mia preghiera, nella mia offerta quotidiana, nella mia missione, nell’incontro con le persone. Certo, ciò non significa parlare solo di questo, agire solo per questo, ma esso è sempre presente nel mio cuore. Poi certamente ci sono le belle opportunità di incontro con ortodossi vescovi, sacerdoti, laici. Devo dire che la dominante di questi incontri, la testimonianza, è sempre sullo sfondo. La testimonianza è la forza più grande del fedele cristiano: un uomo entusiasta, lieto e grato per la sua fede diviene, a Dio piacendo, un fattore di conversione a Cristo.

Nell’agenda del suo pontificato, Papa Benedetto XVI riserva un ruolo di primo piano all’ecumenismo. Che risultati ha avuto, a suo avviso, in ambito ortodosso?
Penso che la passione per l’unità sia uno dei tratti più commoventi del pontificato di Papa Benedetto XVI. Personalmente mi ha toccato fin dal principio. E ricordo con particolare commozione la celebrazione del Vespro durante il Sinodo dei Vescovi del 2008 assieme al Patriarca Ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli in cui il Papa domandò: “ma se abbiamo gli stessi padri, perché non possiamo essere fratelli?”. In ambito ortodosso russo la passione per Cristo di questo Papa è toccante e particolarmente considerata. Basterebbe ricordare alcuni dei messaggi che il Papa e il Patriarca Cirillo si sono scambiati in questi ultimi anni.

È in corso la Settimana della Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Come vivrà questi giorni?
Mi trovo a Roma solo per qualche giorno perché invitato dal Cardinale Robert Sarah a partecipare ai lavori della Plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum. In Russia avremo diverse iniziative durante questa settimana proprio per sottolineare l’importanza della preghiera per l’unità dei cristiani. Penso che l’idea fondamentale di questo anno sia stata ben individuata recentemente dal Cardinale Koch, quando ha parlato di ecumenismo, unità dei cristiani non come una illusione, ma come una promessa, ciò per cui Cristo ha pregato negli ultimi momenti della Sua vita terrena, nel Suo ultimo incontro con i Suoi, prima di essere preso e messo in Croce. Anche noi, perciò, dobbiamo domandare il dono dell’unità. Personalmente parteciperò a due momenti di preghiera, cui si uniranno altri fratelli cristiani, lunedì 21 a Mosca e giovedì 24 a San Pietroburgo. Come mi diceva un amico in questi giorni, riportando le parole di un grande padre spirituale: “le grandi opere si fanno in ginocchio”. Grazie di ciò che anche voi fate e offrite per l’unità dei cristiani.

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