Petrolio, nucleare, rinnovabili e quelle batterie che durano troppo poco. Il futuro dell’energia secondo Scaroni

Di Rodolfo Casadei
18 Gennaio 2016
«Senza un modo efficiente per stoccare l’energia, non andiamo lontano con gli impegni per l’ambiente di Parigi». Paolo Scaroni a tutto campo
epa02373541 (FILE) A file photo dated 08 March 2009 of a general view of an oil refinery in the waters of the Northern Arabian Gulf close to the port town of Umm Quasar in Basra, southern Iraq on 08 March 2009. Iraq has around 143 billion barrels of crude oil reserves, about 24 per cent more than previous estimates, the Iraqi Minister of Oil said on 04 October 2010. The reserves are mostly located in 66 oil fields in southern Iraq, Oil Minister Hussein al-Shahristani announced. This estimate places Iraq as the holder of the world?s fourth largest crude oil reserves, behind Saudi Arabia, Venezuela, and Canada. Previous estimates made in the 1990s placed oil reserves at 119 billion barrels. EPA/HAIDER AL-ASSADEE

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Paolo Scaroni è deputy chairman del gruppo Rothschild, la grande compagnia finanziaria con sede a Londra che controllò la più grande banca del mondo nel XIX secolo e che oggi figura ancora fra le 10 più grandi banche d’investimento mondiali. Prima di allora, per nove anni fra il 2005 e il 2014 è stato a capo di Eni, il grande gruppo italiano dell’energia, specializzato in gas e petrolio. Difficile trovare, fra chi parla l’italiano come madrelingua, una persona più competente di lui sulle più brucianti questioni all’ordine del giorno in materia di energia, che si parli di petrolio o di rinnovabili.

Presidente, come cambierà, se cambierà, il mondo dell’energia dopo l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici? Col barile di petrolio a 35 dollari, chi accetterà di spendere trilioni di dollari per riconvertire tutto il sistema?
Negli addetti ai lavori l’accordo di Parigi ha suscitato molto meno ottimismo di quello che è stato trasmesso all’opinione pubblica. L’accordo è vincolante in termini molto vaghi. L’unico vero risultato ottenuto è che tutti i grandi paesi del mondo, comprese le economie emergenti di Cina e India, hanno riconosciuto che le loro emissioni di Co2 contribuiscono all’aumento della temperatura dell’atmosfera terrestre. Ma da questo all’assunzione di impegni con obbiettivi precisi paese per paese scadenzati nel tempo, manca ancora parecchio.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]È pensabile nel futuro una carbon tax planetaria per modificare il sistema dell’energia?
C’è una questione che viene prima dell’ipotesi di carbon tax. Se non la trattiamo, tutte le proposte per attuare il passaggio dagli idrocarburi alle rinnovabili risultano zoppicanti. Fino a quando non troveremo un modo efficiente di stoccare l’energia elettrica e di conservarla in quantità rilevanti, tutte le energie rinnovabili che conosciamo rappresenteranno soluzioni molto modeste e parziali. Noi sogniamo un mondo nel quale ogni casa sarà dotata di pannelli che captano l’energia solare e sarà dotata in cantina di batterie che alimentano i circuiti domestici anche quando il sole non c’è; e nel garage ci sarà una presa elettrica alla quale verranno collegate le automobili. A quel punto il mondo potrà fare a meno degli idrocarburi. Ma siamo lontanissimi da questo sogno perché ci mancano le batterie. Facciamo tante chiacchiere, ma finché non troviamo un modo efficiente ed efficace per stoccare l’energia elettrica, non andiamo da nessuna parte. Ho tenuto una relazione alla John Hopkins University a Washington qualche settimana fa, e agli studenti ho detto: vedete il mio cellulare, è un bellissimo i-phone della Apple che ogni 8 ore va ricaricato. Se la Apple, che è l’azienda più ricca del mondo, non trova una soluzione per stoccare energia elettrica al di là di 8 ore, voi capite che siamo mille miglia lontani da un modo efficace di utilizzare le rinnovabili, che per loro natura sono intermittenti. Noi abbiamo bisogno dell’energia elettrica sempre, anche quando non c’è il sole o non c’è vento. La soluzione passa attraverso le batterie. Occorre fare un salto tecnologico, perché la tecnologia al litio, che è quella che utilizziamo attualmente, scoperta negli anni Ottanta dalla Sony, è insufficiente, e da allora passi in avanti sostanziali non ne sono stati fatti.

A parte il progetto di una nuova generazione di batterie, possiamo sperare nella fusione nucleare o in altre tecnologie senza impatto sul clima, diverse dallo sfruttamento degli idrocarburi?
La fusione nucleare è un modo di produrre energia elettrica in modo convenzionale, non legato alle condizioni atmosferiche, che aggira il problema dello stoccaggio perché la produzione e l’erogazione avverrebbero in modo continuativo. Ma non sappiamo se e quando sarà disponibile. Nel frattempo operano e vengono costruite numerose centrali nucleari convenzionali. Il nucleare è tutt’altro che morto, soltanto in Italia si crede che sia sulla via del tramonto: nel mondo funzionano più di 400 centrali nucleari.

E in futuro ne avremo di più o di meno?
Non lo so. L’Europa sembra aver deciso di non averne più, ma la Cina, l’India, l’Arabia Saudita e i paesi in via di sviluppo si stanno tutti dotando di centrali nucleari. E chi le ha, come il Giappone, le mantiene in funzione.

Che valutazione dà dell’assetto delle infrastrutture energetiche in Italia? Chi gioca contro?
Per quanto riguarda le infrastrutture energetiche per portare l’energia elettrica e il gas nelle fabbriche, nelle case e negli edifici pubblici siamo a posto: abbiamo tutto quello che serve e non c’è nessuno che gioca contro. C’è invece chi gioca contro lo sviluppo degli idrocarburi presenti in Italia. Il nostro non è un paese privo di idrocarburi, come la Francia o la Spagna. Ma lo sfruttamento dei nostri giacimenti, che si trovano prevalentemente in mare, incontra tutti gli usuali problemi che derivano da resistenze locali che non tengono conto del benessere complessivo del nostro paese, e guardano solo a un potenziale o immaginario rischio che riguarderebbe la popolazione che abita quella zona. Il risultato è che anche lo sfruttamento degli idrocarburi, come tante altre cose in Italia, procede a rilento e fra mille polemiche e tensioni, come quelle sollevate dai permessi di ricerca petrolifera rilasciati dal ministro dello Sviluppo economico il 22 dicembre scorso.

Sì, l’emendamento del governo alla legge di stabilità ha eliminato il “carattere strategico” delle prospezioni petrolifere e ripristinato il limite delle 12 miglia, ma le 326 autorizzazioni, su terraferma o in mare, concesse prima dell’approvazione della legge restano fuori dal divieto. Un colpo al cerchio e uno alla botte, evidentemente per scongiurare il referendum abrogativo per il quale le Regioni hanno raccolto le firme.
L’attuale governo, come quelli precedenti, media fra gli interessi nazionali e le preoccupazioni locali. Ogni volta che si deve costruire una grande infrastruttura, c’è chi dice di no perché non ne vede i benefici per sé e teme qualche potenziale danno. Il risultato è che in Italia è sempre molto difficile realizzare infrastrutture.

Mi pare di capire che fra la posizione del governo, che ha decretato un certo numero di concessioni nuove prima di chiudere di nuovo la porta, e quella delle Regioni che sono contrarie anche a questa soluzione, lei sta dalla parte del governo.
Sì. Anche se dovrebbe essere sempre possibile derogare il limite delle 12 miglia, se l’interesse nazionale è dimostrato.

Parliamo delle rinnovabili e delle tecnologie a basso impatto ambientale in Italia. Non le stiamo sovvenzionando troppo, a discapito di chi paga le bollette e a eccessivo vantaggio di chi le produce?
Nel passato, quando è iniziato il programma delle rinnovabili, i benefici per i produttori erano molto sostanziosi. Sono progressivamente diminuiti in Italia come nel resto dell’Europa man mano che i costi per la produzione di energia dalle fonti rinnovabili si sono ridotti, e mi pare che siano arrivati a un livello corretto. Resta il cumulo delle sovvenzioni che è stato creato in questi anni, per cui nella bolletta elettrica degli italiani più del 20 per cento dell’importo da pagare è costituito da costi per finanziare le rinnovabili. Questo cumulo resterà tale per parecchi anni. Io credo che questa politica sia stata giusta, perché senza questo sforzo le rinnovabili non si sarebbero sviluppate come è avvenuto. Ma auguriamoci che si trovi una soluzione al problema dello stoccaggio dell’energia elettrica, perché altrimenti tutto questo sforzo risulterà velleitario: non si sostituiranno mai quantità sostanziali di energia da idrocarburi. Il fatto che l’energia delle rinnovabili sia intermittente crea grossi problemi alla rete.

Che ne pensa del braccio di ferro fra Italia, Germania, Unione Europea e e Russia su North Stream e South Stream, col raddoppio del primo gasdotto (fra Germania e Russia) e il blocco del secondo (fra la Russia e l’Europa meridionale)? Si può dire che i tedeschi stanno riuscendo a far prevalere i loro interessi a scapito dei nostri?
Quando Matteo Renzi protesta su questa vicenda, ha ragione da vendere. Quello che succede è un vero scandalo, è la prova che in Europa si usano due pesi e due misure. Io mi sono occupato di South Stream per molti anni, e ho sempre incontrato un’ostilità incredibile dell’Unione Europea. Perché vedevano nel South Stream un eccessivo potenziamento della Russia, uno strumento con cui la Russia diventava un fornitore essenziale di gas per l’Europa del sud-est. Nel frattempo veniva costruito il North Stream senza nessun ostacolo, e adesso lo vogliono raddoppiare.

Allargando il discorso alla crisi generale del Medio Oriente con le sue ricadute di migrazioni di massa e terrorismo in Europa, quanto contano petrolio e gas nelle convulsioni che da cinque anni si susseguono in Nordafrica e Medio Oriente, e in Iraq da dieci anni? È più importante la rivalità geopolitica fra Iran, Turchia e Arabia Saudita o sono più decisive le strategie del petrolio e del gas?
È una questione di geopolitica, in cui la religione gioca un ruolo importante. In tutto questo scacchiere sono in atto tre scontri: quello fra sunniti e sciiti, quello fra arabi e non arabi, e quello fra monarchie e repubbliche. Alla luce di queste tre variabili, l’Arabia Saudita, che è una monarchia sunnita araba, ha la sua antitesi nell’Iran, che è una repubblica non araba e sciita. Intorno a questi tre parametri si gioca la contesa geopolitica. In questo contesto il petrolio rappresenta, scusate il gioco di parole, la benzina gettata sul fuoco. Siccome il petrolio è l’unica fonte di sostentamento, o la più importante, in quei paesi, diventa uno strumento di lotta per l’egemonia. Ma è più uno strumento che uno scopo.

Quanto durerà il petrolio ai minimi? Chi vincerà, di qui a un anno, la guerra del prezzo del petrolio?
Sicuramente i sauditi si sono resi conto che se il prezzo restava al di sopra dei 55 dollari al barile lo shale oil americano continuava a svilupparsi e l’Arabia Saudita perdeva la sua quota di mercato e il suo ruolo dominante nel commercio mondiale del petrolio. Di qui la decisione di produrre a pieno regime per far scendere il prezzo e mettere fuori mercato i produttori americani. La strategia sta funzionando: lo shale oil americano sta retrocedendo rapidamente, a 35 dollari al barile non è più conveniente estrarlo. Al mantenimento di questa strategia concorre ora una motivazione geopolitica: al braccio di ferro commerciale coi produttori americani si aggiunge l’esigenza politica di indebolire l’Iran, paese a sua volta esportatore di petrolio. Certo, i corsi bassi del prezzo danneggiano sia l’Iran che l’Arabia Saudita, ma quest’ultima ha maggiori capacità di resistenza, grazie alle riserve valutarie accumulate negli anni del petrolio a prezzi alti. Per qualche anno Riyadh può resistere in questa politica, gli altri paesi esportatori no. Dunque i sauditi puntano a indebolire il loro avversario Iran e il suo alleato Russia e nel frattempo conducono una guerra commerciale contro lo shale oil.

Quindi il petrolio a buon mercato durerà ancora a lungo?
Dipende cosa intende lei per “a buon mercato”. Una famosa copertina dell’Economist del 1999, quando il petrolio si vendeva a 9 dollari al barile, si chiedeva: “A quando il petrolio a 5 dollari a barile?”. È tutto relativo… Io penso che agli attuali livelli (35 dollari) durerà relativamente poco, ma non mi aspetto che nel prossimo futuro salga al di sopra dei 55 dollari.

Prossimo futuro cosa significa più precisamente?
Per i prossimi due-tre anni.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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4 commenti

  1. Mario

    Se la guerra del petrolio secondo lui durerà altri 2-3 anni… questo significa che continueremo ad avere tutto ciò che questa guerra ha preceduto? Primavere arabe-Isis e così via…

  2. soldo

    “…Quello che succede è un vero scandalo, è la prova che in Europa si usano due pesi e due misure. Io mi sono occupato di South Stream per molti anni, e ho sempre incontrato un’ostilità incredibile dell’Unione Europea. Perché vedevano nel South Stream un eccessivo potenziamento della Russia, uno strumento con cui la Russia diventava un fornitore essenziale di gas per l’Europa del sud-est. Nel frattempo veniva costruito il North Stream senza nessun ostacolo, e adesso lo vogliono raddoppiare…”.

    Praticamente ci hanno fregato.

    1. Ma esiste il biometano che annulla il TAP-Tanap

  3. Menelik

    Praticamente Scaroni ha ribadito quello che già pensavo:
    le rinnovabili eolico e solare, allo stato attuale della tecnologia, sono solo dei validi sistemi per il risparmio energetico da combustibili fossili, che restano la fonte energetica dominante, che lo si accetti o meno, la realtà è questa qui, prendere o lasciare.
    Un minuto fa (16.20), 5 KW nominali di pannelli solari erogavano una potenza utile di…..74 W, l’1,48% di resa.
    Giornata soleggiata, cielo limpido, tardo pomeriggio, è vero, ma durante il giorno poco più fanno.
    Due anni fa sono costati 13.500 euro.
    Il massimo che li ho visti passavano di poco i 4 KW.
    Comunque svolgono la funzione per la quale sono stati installati, il risparmio energetico (non di soldi, ma energetico, è diverso).
    Poi c’è la grande risorsa delle biomasse, praticamente legna da ardere.
    Questa fonte merita un capitolo a parte, che non svolgo qua.
    Dico solo che, se attuato col cervello, ha tante caratteristiche positive, anche se è in atto un tentativo di demonizzarla.
    Una Nazione che demonizza le proprie risorse agrarie e forestali, è un’entità che non capisce niente.
    Si meriterebbe davvero una crisi energetica da metterla in ginocchio.
    Si sono susseguiti troppi incompetenti al Ministero Agricoltura e Foreste.

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