Petrolio. Come i folli trivellatori americani hanno rovinato i piani dell’Arabia Saudita
Molti osservatori internazionali hanno individuato nel crollo del prezzo del petrolio uno dei motivi della “crisi cinese”. Oggi sulla Stampa, un interessante articolo di Luigi Grassia racconta come le strategie saudite siano state scompaginate dalla caparbietà dei «trivellatori folli» americani.
LA STRATEGIA SAUDITA. La questione gira tutto intorno alle shale oil, il petrolio di scisto statunitense, che ha fatto crollare il prezzo del barile. Di qui, la contro-strategia saudita sui prezzi che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto mandare fuori giri i produttori Usa per poi far ritornare tutto nelle loro mani.
Ora, qui il discorso si fa interessante perché i numeri ci dicono che mentre il numero delle torri di trivellazione dello shale oil vanno «a gambe all’aria» (da 1609 a 674 in un anno) e le grandi compagnie Usa svalutano gli asset, al tempo stesso la produzione di shale oil continua a crescere. «La produzione di petrolio alternativo, negli Stati Uniti quest’anno sarà da record e supererà i 7 milioni di barili al giorno, contro 2 milioni di barili di greggio convenzionale», scrive la Stampa. Il risultato è disastroso per i sauditi che, dato che il prezzo del petrolio non riparte, sono costretti «a bruciare 2 miliardi di dollari a settimana dei loro investimenti esteri per tappare i buchi del bilancio interno».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]MARGINI MINIMI. Come è possibile? Il quotidiano riporta le parole di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: «Un anno fa si credeva che un prezzo del barile al di sotto dei 60 o 70 dollari non avrebbe ripagato le spese di produzione del petrolio alternativo. E invece molti produttori hanno scoperto di poter tagliare i costi e aumentare la produttività in una maniera impensata. I robottini che estraggono lo shale oil adesso fanno un secondo passaggio e spesso anche un terzo. E l’agricoltore o l’allevatore di bestiame americano che ha scoperto di avere il petrolio sottoterra era ben felice di incassare 50 mila dollari di royalty al mese, ma è felice anche adesso che ne incassa solo 5 mila. Quindi continua a produrre, o produce anche più di prima, con margini minimi».
NUOVA CORSA ALL’ORO. Accade così che, mentre le grandi compagnie americane – con il barile a 40 dollari – si sono comportate esattamente come i sauditi prevedevano, così non hanno fatto i “lillipuziani”: «I trivellatori del petrolio shale, in questa nuova corsa all’oro, sono l’equivalente di cercatori di pepite che non smettono finché riescono a trovare anche poche pagliuzze auree dall’acqua dei fiumi. Per quanto gli arabi abbattano il prezzo del barile, in America ci saranno sempre legioni di trivellatori folli che non si arrendono».
Foto shale oil da Shutterstock
[pubblicita_articolo_piede]
Articoli correlati
4 commenti
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
……..e intanto in Italia stanno ancora discutendo se è il caso di utilizzare i giacimenti in Adriatico e nel Canale di Sicilia.
NoTriv, SiDrog,……e intanto gli altri ci mangiano gli gnocchi in testa, alla facciaccia nostra!
Non ci capisco granché di economia ma mi pare di capire che il crollo del petrolio sia stata una conseguenza della crisi cinese e non una causa. Sbaglio?
Si in parte perché un rallentamento economico crea aspettative negative sulle vendite future. Servirà meno petrolio perché lavoreranno meno fabbriche meno gente acquisterà auto ecc…Meno acquirenti-più difficile collocare il prodotto-ribasso del prezzo.
In realtà a determinare il calo del prezzo del petrolio più che le turbolenze cinesi è stata la decisione dei paesi prodotti di riuniti in un cartello chiamato OPEC di continuare a produrre molto più petrolio di quanto sia necessario, una mossa apparentemente contraria agli interessi di questi paesi perché rende più difficile collocare il prodotto e costringe a venderlo a prezzi più bassi. Allora perché questa scelta? Gli analisti hanno dato numerose spiegazioni tra cui quella di danneggiare economicamente la Russia (altro paese esportatore di petrolio) e di reggere la concorrenza dell’Iran che ora può ricominciare a vendere petrolio nei mercati occidentali e poteva sottrarre alle petromonarchie del golfo quote di mercato vendendo a un prezzo più competitivo.
Ma un’altra ragione è stata la scoperta negli USA di un nuovo metodo di estrarre petrolio e gas il cosiddetto fracking che ha permesso agli USA di raggiungere l’autosufficienza energetica interna. Tuttavia questa tecnica è molto più costosa e impegnativa dei metodi usati nei paesi opec e quindi necessità di un prezzo alto per ricavare un profitto. Rendendo disponibile petrolio a un prezzo più basso il cartello dell’opec resta competitivo e impedisce per il momento ai nuovi produttori di entrare nel mercato perché ovviamente gli acquirenti preferiscono comprare a un prezzo più basso un bene in un regime di libero mercato.
Il tuo ragionamento è corretto il mio “si” si riferiva al fatto che il petrolio è conseguenza non causa della crisi cinese