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Perché la Consulta non ha ammesso i referendum su cannabis e omicidio del consenziente

Sono state rese note le motivazioni con le quali la Corte costituzionale ha "bocciato" le consultazioni referendarie

Centro studi Livatino
04/03/2022 - 6:23
Giustizia
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corte costituzionale, il palazzo della Consulta
Il palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale

Articolo tratto dal Centro Studi Livatino – Oggi, 2 marzo, la Corte costituzionale ha depositato le sentenze con la quali, all’esito dell’udienza del 15 febbraio scorso, ha dichiarato l’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente, che si allegano a seguito.

Le due pronunce per un verso chiariscono l’oggetto effettivo dell’una e dell’altra iniziativa referendaria, che i promotori avevano impropriamente qualificato ‘eutanasia legale’ e ‘cannabis legale’, per altro verso illustrano le ragioni impeditive della consultazione popolare, alla luce dell’art. 75 Cost..

1. Per il quesito sull’omicidio del consenziente, premesso essere “il bene della vita umana del connotato dell’indisponibilità da parte del suo titolare”, la Consulta precisa che, all’esito del referendum, “la norma verrebbe a sancire, all’inverso di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo”, con la conseguenza che “l’effetto di liceizzazione (…) non risulterebbe affatto circoscritto alla causazione, con il suo consenso, della morte di una persona affetta da malattie gravi e irreversibili”. Infatti (…) “la “liberalizzazione” del fatto prescinderebbe dalle motivazioni che possono indurre a chiedere la propria morte, le quali non dovrebbero risultare necessariamente legate a un corpo prigioniero di uno stato di malattia con particolari caratteristiche, potendo connettersi anche a situazioni di disagio di natura del tutto diversa (affettiva, familiare, sociale, economica e via dicendo), sino al mero taedium vitae, ovvero pure a scelte che implichino, comunque sia, l’accettazione della propria morte per mano altrui. Egualmente irrilevanti risulterebbero la qualità del soggetto attivo (il quale potrebbe bene non identificarsi in un esercente la professione sanitaria), le ragioni da cui questo è mosso, le forme di manifestazione del consenso e i mezzi usati per provocare la morte (potendo l’agente servirsi non solo di farmaci che garantiscano una morte indolore, ma anche di armi o mezzi violenti di altro genere). Né può tacersi che tra le ipotesi di liceità rientrerebbe anche il caso del consenso prestato per errore spontaneo e non indotto da suggestione”.

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La Corte confuta anche la tesi “che l’iniziativa referendaria (…) sia destinata, nell’idea dei promotori, a fungere da volano per il varo di una legge che riempia i vuoti lasciati dal referendum”, poiché “la domanda abrogativa, che va valutata nella sua portata oggettiva e nei suoi effetti diretti, per esaminare, tra l’altro, se essa abbia per avventura un contenuto non consentito perché in contrasto con la Costituzione (sentenza n. 17 del 1997)”. E conclude che “quando viene in rilievo il bene della vita umana, dunque, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima”.

2. Per il quesito sulla droga il primo ostacolo è costituito, nel confronto con l’art. 75 Cost., dal “quadro degli obblighi internazionali rilevanti in questa materia (…) definito dalla Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e dal relativo Protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972, entrambi ratificati e resi esecutivi in Italia (…); dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope di Vienna del 21 febbraio 1971 (…); dalla Convenzione delle Nazioni Unite, adottata a Vienna il 20 dicembre 1988, contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope (…)”, oltre che dalla “decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, la quale, nel dettare norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, ha indicato anche la coltivazione della cannabis tra le condotte per le quali i singoli Stati devono applicare sanzioni penali”, e infine dalla “direttiva (UE) 2017/2103 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017 ha modificato la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, al fine di includere nuove sostanze psicoattive nella definizione di stupefacenti”.

La Consulta sottolinea che il quesito “per un verso produrrebbe un risultato ben più esteso (rispetto alla sola cannabis), riguardando direttamente ogni coltivazione delle piante per estrarre sostanze stupefacenti cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche la coltivazione, agricola o domestica che sia, della pianta di canapa; risultato complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati che non consentono l’ammissibilità di un referendum di questa portata. Per altro verso, questo apparente risultato più ampio sarebbe in realtà vano e illusorio, perché rimarrebbe in ogni caso immutata la rilevanza penale, prevista dall’art. 28 t.u. stupefacenti, non oggetto della richiesta referendaria, per ogni coltivazione non autorizzata di piante di cui all’art. 26, tra cui proprio la canapa indiana”.

L’effetto sarebbe stato una “proposta referendaria (…) fuorviante per il corpo elettorale, che diversamente da quanto proclamato dal Comitato promotore non sarebbe, in realtà, affatto chiamato a esprimersi sull’alternativa, di portata ridotta, se depenalizzare, o no, la coltivazione della canapa in forma domestica “rudimentale”, bensì si troverebbe di fronte all’alternativa, sopra indicata, ad un tempo ben più ampia (in quanto comprensiva della depenalizzazione anche della coltivazione del papavero sonnifero e delle foglie di coca), quanto illusoria (rimanendo, in realtà, la rilevanza penale di tutte tali condotte); e ciò ridonda in irrimediabile difetto di chiarezza e univocità del quesito”.

3. Se si pongono a confronto le motivazioni della Corte costituzionali con quelle contenute nelle memorie presentate dagli avv. Mario Esposito, Carmelo Domenico Leotta, Mauro Paladini, Domenico Menorello e Angelo Salvi per per il Comitato per il no all’omicidio del consenziente, e dagli avv. Mauro Ronco, Domenico Menorello, Mario Esposito e Francesco Cavallo per il Comitato per il no alla droga legale, quasi tutti aderenti al Centro studi Rosario Livatino (il prof Ronco ne è il presidente), si può constatare come le prime abbiano ampiamente ripreso le seconde. Gli avv. Esposito e Leotta, Menorello e Ronco le hanno anche illustrate nella discussione orale.

Leggi la motivazione relativa al referendum sulla droga.

Leggi la motivazione relativa al referendum sull’omicidio del consenziente

Foto Ansa

Tags: cannabiscorte costituzionaleEutanasiaomicidio del consenziente
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