La preghiera del mattino

Finalmente emerge un pensiero critico anche tra gli adepti del culto Ue

Lorenzo Bini Smaghi
Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, membro del comitato esecutivo della Bce dal 2005 al 2011 (foto Ansa)

Su Formiche Ferdinando Adornato scrive: «Negli ultimi trent’anni, solo per sette anni abbiamo avuto governi politici. Per i restanti 23 abbiamo avuto tecnici o imprenditori che si sono inventati una partecipazione politica. Dunque qui si configura l’opportunità non tanto per Meloni, quanto più per la democrazia italiana. Se il governo riesce a durare, riabiliterà la politica agli occhi degli elettori».

La riflessione di Adornato è convincente. Al di là di questo o quel comportamento fuori di misura, talvolta particolarmente irritante, di uomini dell’esecutivo i carica (ora sui rave, ora sulle navi delle Ong, ora sul rapporto Pd-mafia) il governo Meloni sta offrendo all’Italia l’opportunità di diventare una nazione normale. Il suicidio di una sinistra nella quale il morto (ex Pci ed ex Dc) ha afferrato il vivo, fa sì che il processo di ricostruzione di una democrazia funzionante passi attraverso innanzi tutto la formazione di un partito conservatore che ridando stabilità al nostro Stato gli consente di pesare politicamente anche nell’Unione Europea. Ecco un dato di cui non si potrà tener conto anche nelle prossime elezioni in Lazio e Lombardia: stabilizzare il governo è oggi la scelta più opportuna.

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Su Firstonline si scrive: «L’Italia firma con l’Algeria 5 accordi. Il gas nordafricano è cruciale nella strategia di approvvigionamento energetica per l’Italia, nel quadro del processo di affrancamento dalle forniture di gas russo: nel primo semestre 2022 l’Algeria è diventato il primo fornitore di gas naturale e a dicembre il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha dichiarato l’impegno preso con Roma per aumentare le forniture di gas dagli attuali 20 “ad almeno 35 miliardi di metri cubi”. Il dossier energia è perciò al centro della missione di due giorni di Giorgia Meloni in corso ad Algeri, la sua prima visita ufficiale nel paese nordafricano durante la quale sono stati firmati importanti accordi di cooperazione. Anche l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi si è recato due volte durante il suo mandato, chiudendo una serie di accordi con l’Algeria per consentire di sostituire fino a un terzo del metano russo. Inoltre, è stata firmata la dichiarazione congiunta per rafforzare le relazioni tra i due paesi per celebrare il ventennale del trattato di amicizia fra Italia e Algeria, siglato il 27 gennaio 2003. “Noi celebriamo la ricorrenza firmando una dichiarazione congiunta che sottolinea l’eccellenza delle nostre relazioni, ma non ci vogliamo fermare qui”, ha detto Giorgia Meloni».

È interessante notare come due grandi protagonisti di una certa evidente riscossa italiana di queste ultime settimane siano l’Eni di Claudio Descalzi e i Ros dei carabinieri, un corpo nel quale un ruolo particolarmente rilevante l’ha avuto il generare Mario Mori. È difficile scordare come solo qualche mese fa Descalzi e Mori erano nel mirino dei pm più arrembanti delle procure di Palermo e Milano. Per nostra fortuna, però, la magistratura giudicante ha cassato accuse basate su presupposti mal fondati. Da una parte è giusto ricordare che nessuno deve essere al di sopra della legge e dunque i pm devono poter fare sempre il proprio dovere. Dall’altra va osservato che non l’azione giudiziaria, ma l’attività di propaganda di alcuni dei pm che hanno gestito le due inchieste giudiziarie citate, è stata poco rispettosa dell’interesse nazionale come le vicende successive hanno dimostrato. E dunque non si può non costatare come alla massima ammirazione per chi osa colpire i potenti che commettono reati, si debba accompagnare anche una valutazione negativa di chi non sa, innanzi tutto in casi di strategico interesse nazionale, garantire un’avveduta gestione delle proprie indagini e poi degli stessi processi.

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Su Startmag Giuseppe Liturri scrive: «Sul Corriere della Sera di sabato sembrava di leggere le osservazioni di un pericoloso euroscettico. Invece abbiamo letto Lorenzo Bini Smaghi – economista, attuale presidente di Société Générale e membro del comitato esecutivo della Bce dal 2005 al 2011 – tutto intento a sottolineare i pericoli per l’Italia derivanti dalla riforma del Patto di stabilità. Ricordiamo che risale ai primi di novembre la proposta della Commissione che dovrebbe applicarsi a partire dal 2024. Prima di entrare nei dettagli, ci sia consentito di rilevare – senza voler con questo peccare di pregiudizio verso l’autore – che il suo passaggio in Bce è stato caratterizzato da due intempestivi rialzi di tassi nel 2008 e nel 2011 e, soprattutto, dalla famosa lettera dell’agosto 2011, a firma congiunta di Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, con cui si commissariò di fatto il governo Berlusconi e si favorì la sua caduta. Le prescrizioni di politica economica di quella lettera, pedissequamente applicate sotto il ricatto dello spread, sono state la causa principale di un decennio di crescita asfittica del nostro paese».

Siamo in una fase nella quale è in atto un duplice movimento. Da una parte, anche in presenza di un avvenimento così tragico come la guerra in Ucraina, tutte le varie spinte a mettere radicalmente in discussione l’Unione Europea si sono drasticamente ridimensionate. Dall’altra va rivelato un certo smarrimento di Parigi e Berlino: non sono decisi nel determinare nuovi passi in avanti dell’integrazione europea e insieme sono consapevoli che certi dogmi dell’europeismo doc, come la ritirata degli aiuti di Stato, stanno vacillando. Di fatto stanno mettendo in crisi l’euroretorica corrente del “tutto va bene madama la marchesa”, e si stanno rendendo conto come il pensiero magico per cui l’integrazione continentale risponderebbe in modo sempre più positivo alle proprie crisi, diventa sempre meno convincente. Ed ecco così avanzare riflessioni finalmente complesse anche da parte di economisti italiani come Francesco Giavazzi e Bini Smaghi, a lungo cantori della perfezione di Bruxelles. Al fondo il merito di questa nuova stagione va al dialogo fattivo tra Giorgia Meloni e Mario Draghi.

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Su Affaritaliani Stefano Bonaccini dice: «La mia proposta di autonomia differenziata è diventata sostanzialmente quella del Pd. Primo: non si deve spaccare il paese. E da questo punto di vista la preoccupazione di Bonomi è più che legittima. Secondo: la nostra idea di autonomia differenziata non è di dare più risorse a qualcuno perché vorrebbe dire toglierle ad altri. Autonomia differenziata è dare la possibilità che le stesse risorse vengano poi gestite da noi e non da Roma e con i nostri criteri: programmabilità degli investimenti e sburocratizzazione».

Siamo per l’autonomia ma non siamo per l’autonomia, sia per il 41 bis ma siamo contro il 41 bis, siamo per la centralità del lavoro ma anche per il reddito di cittadinanza, siamo per difesa della privacy dei cittadini ma anche per le intercettazioni libere e selvagge. C’è una differenza tra il cogliere la tragicità di alcuni dilemmi (la difesa dei diritti e la repressione del crimine, valorizzare il territorio e garantire un indirizzo nazionale, sostenere i poveri e incentivare l’occupazione) e l’annullamento del principio di non contraddizione. Chissà se un testone pragmatico come Bonaccini potrà superare la deriva innanzi tutto logica che condiziona sempre di più la sinistra italiana. Dalla citazione qui riportata sembra molto ancora dentro il pantano. Chissà se da cardinale diventato papa saprà essere all’altezza del momento.

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