
Pechino non è Wuhan (ma la propaganda non cambia mai)

Pechino è una città di oltre 22 milioni di abitanti e i 158 casi di coronavirus scoperti nell’ultima settimana possono sembrare pochi per spaventarla. Se il governo ha preso misure rigide per contenere il contagio, però, è perché sembra avere imparato dai propri errori, commessi a Wuhan, quando per oltre un mese non rivelò ai suoi stessi cittadini l’esistenza dell’epidemia. Ma poiché la propaganda del regime vuole continuare a presentare al mondo la Cina come un paese estraneo al Covid 19, il governo si è affrettato a dare la colpa del nuovo focolaio all’Europa, nonostante la quasi totale assenza di prove.
IL MERCATO PIÙ GRANDE DI TUTTA L’ASIA
I nuovi casi sembrano collegati al mercato più grande della capitale e di tutta l’Asia, lo Xinfadi (che si estende tanto quanto 250 campi da calcio), nel distretto di Fengtai. Le prime infezioni dopo 55 giorni sono state registrate sabato e le autorità hanno subito chiuso il mercato (insieme a quello di Jingshen, distante 10 km ma visitato da un contagiato) e preso misure molto rigide per evitare il diffondersi del virus.
Il rientro in classe dei bambini dell’asilo e dei primi tre gradi delle elementari, previsto per lunedì, è stato posticipato a data da destinarsi. Anche gli studenti delle scuole secondarie, che avevano già ripreso le lezioni in presenza, sono stati rimandati a casa ed è stata ripristinata la didattica a distanza.
IL LOCKDOWN TORNA IN 39 QUARTIERI
Trentanove quartieri nelle vicinanze del mercato, per un totale di circa 50 mila persone, sono stati costretti a tornare alle “vecchie” usanze conosciute durante il lockdown: alcuni hanno semplicemente chiuso gli ingressi a chi viene dall’esterno e reintrodotto il controllo della temperatura e degli spostamenti dei residenti; altri sono stati blindati e le persone non potranno uscire per 14 giorni. Ogni necessità, dal rifornimento di cibo a quello di medicine, verrà presa in carico dai funzionari che il Partito ha assegnato a ogni unità residenziale, come avvenuto a Wuhan.
Anche gli spostamenti sono stati limitati. Quasi tutte le province cinesi hanno imposto la quarantena obbligatoria a chi è stato a Pechino a partire dall’1 giugno. Chiunque abbia sintomi o sia venuto a contatto con il mercato di Xinfadi o abbia rapporti con una persona che l’ha fatto o che presenta sintomi non potrà lasciare la capitale. Chiunque voglia uscire da Pechino deve mostrare i risultati negativi di un tampone effettuato almeno una settimana prima della data del viaggio. Ma trovare un laboratorio disponibile in questi giorni non è facile, visto che le autorità hanno già testato quasi 400 mila persone. Migliaia di voli da e per la capitale sono inoltre stati cancellati.
«È COLPA DEL SALMONE EUROPEO»
Il governo cinese si è affrettato ad addossare la colpa del nuovo focolaio all’Europa. E precisamente al salmone di importazione che veniva pulito e sfilettato, insieme a centinaia di altri pesci provenienti da tutta la Cina, sul bancone di un negozio nel mercato di Xinfadi dove è stato rinvenuto il virus. Wu Zunyou, il capo epidemiologo del Centro per il controllo delle malattie cinese, ha dichiarato che la sequenza genetica del virus ritrovato sul bancone è «molto simile» a quella rinvenuta in infetti europei.
Giovanni Mancarella, portavoce del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie europeo, ha risposto che la sequenza genetica «non basta a determinare l’origine del virus», che «muta in continuazione». Il «cosiddetto clade europeo», inoltre, «è probabilmente emerso in Europa durante l’introduzione del virus in Europa». Un modo gentile per ricordare a Pechino che, a prescindere dagli sforzi, difficilmente potrà cancellare l’origine del virus e le proprie responsabilità nella sua diffusione.
IL REGIME HA IMPARATO LA LEZIONE
Al di là della propaganda sull’origine del focolaio, nonostante il livello di allerta sia stato posto a 2 dalle autorità, la vita a Pechino prosegue quasi come prima per gli oltre 21 milioni di abitanti che non si trovano nei quartieri interessati. Solo alcuni luoghi di ritrovo pubblico, come parchi e musei, possono fare entrare solo il 30 per cento dei visitatori rispetto al normale. Il regime, insomma, sembra avere imparato la lezione: intervenendo subito, senza nascondere per oltre un mese la presenza dell’epidemia, il contagio si può fermare.
Foto Ansa
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