Di cosa ha bisogno un partito conservatore per funzionare
Con questo intervento di Lorenzo Malagola, segretario generale della Fondazione De Gasperi, prosegue il dibattito sul conservatorismo in Italia iniziato su Tempi con l’intervento di Lorenzo Castellani, e le interviste a Eugenio Capozzi e Giuseppe De Rita. Nei prossimi giorni pubblicheremo altri contributi, commenti e interviste.
La prospettiva tracciata da Giorgia Meloni di un partito conservatore sta generando un largo dibattito sull’opportunità e le criticità di tale progetto in Italia. L’idea di fondo è chiara: compiere un’operazione di fusionismo tra diverse, benché complementari, tradizioni politiche che popolano il campo del centrodestra.
Perché chi si riconosce nelle storie del liberalismo, del cattolicesimo popolare o addirittura del riformismo sta guardando con interesse a questo tentativo? Innanzitutto, perché i contenitori politici nei quali queste comunità si sono tradizionalmente organizzate sono venuti meno o versano in profonda crisi. Esse sono dunque alla ricerca di una nuova casa, certamente più composita ma più ampia, dove poter continuare a coltivare i propri ideali, mettendoli contestualmente alla prova dell’incontro con quelli degli altri inquilini.
Il campo conservatore e quello progressista
Il secondo motivo credo poggi su un cambiamento del paradigma storico e globale nel quale si gioca la grande partita delle idee. Sulle ceneri del comunismo si sta consolidando una nuova ideologia, quella del progressismo, che sta pezzo dopo pezzo smontando e rimontando la nostra società secondo criteri in netta contrapposizione con la visione antropologica su cui si è fondato l’Occidente. Tale ideologia è figlia del comunismo ma, al tempo stesso, ha trovato linfa vitale nella crisi e nella torsione individualista del liberalismo.
Di fronte ad essa, si pone pertanto la questione di fondo di come organizzare il campo opposto. Quello di quanti credono ancora in una dimensione identitaria e comunitaria della società, di quanti guardano alla persona nella sua natura unitaria e trascendente, di quanti cercano nuove vie di sviluppo oltre al mercato. Ecco allora che la traiettoria posta da Giorgia Meloni focalizza un tema che va oltre e precede la declinazione politica, interessando la società nelle sue espressioni più profonde e composite.
Il ruolo del cattolicesimo popolare
Del conservatorismo, i popolari possono condividere alcune grandi idee: l’attenzione per i padri, un modo comunitario di fare politica, una preminenza logica della legge di natura, e quindi della realtà. Potrebbero trovare in questa proposta una casa in cui riconnettersi con un pezzo del proprio popolo; non quello che qualcuno pensa sia un’avanguardia (o i più critici una retroguardia), ma piuttosto un resto creativo. Al tempo stesso, il conservatorismo ha bisogno dell’interclassismo popolare per rappresentare un intero e non solo una parte, anche attraverso i principi propri della tradizione popolare legati alla sussidiarietà, al garantismo, all’europeismo e alla libertà economica.
La sfida si gioca pertanto su due piani che si parlano e si condizionano: da una parte, la crescita nella società di un fronte che sappia leggere i pericoli del progressismo e trovare nuove vie di presenza e di impatto culturale e sociale; dall’altra parte, la capacità di Giorgia Meloni di perseverare nella traiettoria tracciata, sperimentando e contaminandosi con altre culture e dimostrando quindi di saper dare forma politica a una proposta conservatrice. Si tratta di una strada difficile, non scontata, ma certamente molto interessante.
L’autore è segretario generale della Fondazione De Gasperi
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